sabato 21 dicembre 2013

Piste vuote governo ladro? Riflessioni sulla crisi dello sci su pista

Sul numero di dicembre del mensile Cai Escursionismo360 è presente un valido articolo sulla crisi delle località sciistiche alpine: l'autore delinea un quadro completo della situazione, proposte vie d'uscita, fornisce spunti di riflessione.

Le località alpine negli ultimi decenni hanno investito quasi tutto sul turismo invernale - ad essere precisi, su un singolo tipo di turismo invernale, quello dello sci su pista: si è speculato sulle seconde case, costruito mega-resort in alta quota, riempito valli e altipiani con una fittissima rete di impianti di risalita.


Piste deserte a Cortina sabato 14 dicembre
(foto da Skiforum)
Tutto questo ha un prezzo altissimo, in termini ambientali ma anche semplicemente economici: ce ne rendiamo conto quando alla cassa paghiamo lo skipass. E se una manciata di ricchissimi russi - che magari usa le banconote come carta igienica - non si fa grossi problemi a sborsare più di 200 euro per uno skipass settimanale, molti italiani ed europei alle prese con la crisi ci pensano su un po' più a lungo.

Il risultato è che gli albergatori, spesso già alle prese con una tassazione poco amichevole, piangono; le seconde case rimangono vuote; e gli impianti girano a vuoto per buona parte dell'inverno.

Ma questo è nulla in confronto alla crisi che lo sci alpino potrebbe subire con i cambiamenti climatici in atto: inverni con meno precipitazioni nevose, innalzamento delle temperature. E' la tendenza sul lungo periodo che va presa in considerazione, andando al di là di scoop e profezie dei meteorologi da tabloid: tra qualche anno sciare a meno di 1500-1800 metri potrebbe rivelarsi arduo, anche con la neve artificiale (la cui produzione consuma peraltro grandissime quantità di acqua).

La soluzione a tutto questo non può essere continuare a costruire e ad ampliare le stazioni sciistiche (come è stato fatto anche negli ultimissimi anni: basti pensare a Pinzolo e Madonna di Campiglio); bisogna piuttosto sfruttare tutto ciò che la montagna può offrire al di là dello sci e al di là dell'inverno: valorizzare le "mezze stagioni", le feste e i prodotti tipici, le forme di turismo alternativo e sostenibile.


Traffico di escursionisti su Cima Comer, Lago di Garda,
 domenica 15 dicembre
Non sono le solite parole vuote: se nell'ultimo weekend (come mi hanno riferito) le piste di Cortina e Canazei erano vuote, sui sentieri del lago di Garda e delle Prealpi bresciane c'erano diversi escursionisti: ma quanta fatica a trovare un bar - non dico un rifugio - aperto! Certo, in pieno autunno queste zone non vedranno mai le folle oceaniche del 15 agosto o del 26 dicembre nelle località più gettonate, ma potrebbero lo stesso offrire qualcosina in più a quei pochi ma buoni avventori: che nelle mezze stagioni stanno diventando sempre di più.
 
Si tratta di persone che badano al risparmio, cercano in montagna un ambiente radicalmente diverso dalla città, sono disposte a scoprire le tradizioni locali e le particolarità naturalistiche del luogo: cercano nella vacanza un riposo, ma anche un arricchimento personale. Certo, non porteranno tantissimi soldi, ma lasceranno senz'altro meno sporcizia di quella che si trova sotto le seggiovie, come ai lati delle strade.

Su questo tipo di turismo bisogna puntare e investire: la montagna non dovrebbe imitare ad oltranza la città, ma fornirle modelli alternativi, per superare il culto del consumo sfrenato e cieco che dietro maschere trionfanti e smaglianti sorrisi cela in realtà la sua perenne insoddisfazione, la sua sempre più evidente agonia.

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