martedì 26 gennaio 2016

Canalino ovest del monte Scala: roccia ghiaccio e neve nell'Appennino parmense

Data uscita: 16 gennaio 2016

Punto di partenza: Cancelli di Lagdei (1100)

Durata: 1 ora e mezzo di avvicinamento, 2 ore il canale, 1 ora e mezzo il rientro

Dislivello in salita: 600 circa

Grado di difficoltà: D+

Chiodatura: A spit; anello di calata prima del passo chiave

Punti d'appoggio: Nessuno

Esposizione della via: Ovest

Prima salita: Alberto Rampini e Andrea Saccani, 17 febbraio 1977

Periodo consigliato: A inizio inverno il canale è più secco e difficile; a stagione avanzata, se ha nevicato molto, risulta meno ostico

Nel vivo dell'azione in mezzo al canale

Dopo la terza nevicata dell'inverno, rieccoci puntuali all'appuntamento con il nostro Appennino. Il freddo e il vento previsti ci spingono a non salire sul crinale; vogliamo comunque tentare una salita impegnativa: il canalino ovest del monte Scala. Dei cinque che compongono il gruppo, tre persone lo hanno già fatto, in condizioni comunque diverse da quelle in cui ci si presenterà oggi. Io faccio parte dei novizi.

Avvicinamento al canale, sullo sfondo Roccabiasca

Siamo fra i primi a parcheggiare ai Cancelli di Lagdei, anche se non è certo presto... sono le 8.30. Ci incamminiamo sulla strada per i Lagoni in un ambiente finalmente invernale, e svoltiamo per il Badignana seguendo le tracce di un fuoristrada curiosamente salito e risceso senza fare manovra!

Badignana

Dopo le prime due curve in salita, prima che la carraia punti a destra, seguiamo una traccia con bolli rossi che non avevo mai percorso prima: sbuchiamo dalla faggeta nel punto più basso della cosiddetta Piana delle Antiche Pietre, proprio ai piedi della parete ovest del monte Scala. Si tratta di salire giusto pochi metri sui prati, ed ecco comparire il canalino, al centro della parete.

Il profilo dello Scala oltre i faggi
 
In vari punti le rocce affiorano, ma la cascata di ghiaccio è formata e basta questo a rassicurarci... nel pendio di avvicinamento (sui 35/40 gradi massimo) la neve è solo in parte trasformata: io che sono molto leggero riesco a non sfondare, gli altri fanno più fatica. Arriviamo alla base del canale dove attrezziamo una sosta su uno spit: partono Alberto e Federico, li segue Mario in cordata da tre con me e Pietro.
 
Federico attacca il canale


Nel primo tiro la neve fresca unita alla pendenza fanno parecchio tribolare: sia Fede sia Mario sprofondano, faticando a uscire dalle fosse che loro stessi si sono create. Un salto di un paio di metri sbarra il canale e costringe a usare le mani (la neve oggi non dà grossa fiducia, almeno a me...). Sono presenti spit che in queste condizioni danno un certo sollievo psicologico.

Pietro nel primo tiro
La seconda sosta è comoda e protetta fino a un certo punto da eventuali scariche nel canale, che qui si impenna in un paio di sbarramenti verticali. Si segue inizialmente una colata che fa una sorta di S, di cui la prima parte è coperta dalla neve, per poi ritrovarsi alla base di una vera e propria cascatella di ghiaccio verticale alta almeno 3 metri.

La cascatina del secondo tiro
 
Saliamo tutti aiutandoci più o meno con la parete a destra: il ghiaccio è molto duro, non sempre affidabile, Alberto e Mario sono bravi a superare da primi l'ostacolo... Pietro e io facciamo un po' più fatica ed entrambi finiamo per testare la bontà delle mezze corde rimanendoci un po' appesi dopo aver piantato con troppa poca convinzione gli attrezzi nel ghiaccio.

Il canalino dall'alto

Il tiro prosegue su terreno sempre ripido alternato a rocce affioranti, generalmente buone come appigli ma da saggiare con cura. Un diedro con uscita affatto banale (III+ su roccia) seguito da nuovi saltini dove l'erba ghiacciata dà più garanzia di tenuta per le picche rispetto alla neve, e siamo alla seconda sosta. Le difficoltà possono dirsi finite!

Terzo tiro

Giusto un passo in traverso sopra il canale, poi un ampio pendio sui 40 gradi con neve sfondosa ci porta sulla selletta fra la cima e l'anticima dello Scala. Il panorama lo conosciamo bene, e il vento si dimostra meno fastidioso rispetto alle aspettative. Per scendere seguiamo la cresta nord (attenzione nella pietraia appena dopo l'anticima a una sorta di fessura/crepaccio).

Cresta nord dello Scala

Un bosco inizialmente ripido e fitto, poi via via più semplice (puntare in direzione nord est), ci riaccompagna brevemente alla strada del Badignana. La lunga passeggiata di rientro ci lascia tutto il tempo per scambiarci le impressioni della salita, sicuramente affrontata in condizioni poco favorevoli ma non inopportune. Le difficoltà per quanto mi riguarda erano un po' sostenute, e ho lasciato senza remore i più esperti a fare da capicordata.

Monte Scala fotografato il giorno seguente: sono visibili le nostre tracce sopra il canale

Consiglio spassionato e fin troppo ovvio ai lettori che volessero ripetere il canale: non salire nell'ottica di idee "tanto ci sono spit e anelli di calata, proviamoci"... di spit lo Scala è pieno zeppo su tre versanti, ma il canalino ovest comporta rischi oggettivi maggiori rispetto a una via multipitch. Evitare le giornate calde e risolvere la salita prima che il sole batta direttamente sulla parete al pomeriggio. Valutare bene anche condizioni e quantità della neve, che possono variare sensibilmente le difficoltà.

giovedì 14 gennaio 2016

Monte Cusna: anello invernale da Febbio per il Passone

Lo chiamano il Gigante... e con buone ragioni. Non ci sono montagne tanto grandi, dall'Umbria alla Liguria; e soltanto una è più alta, seppure di poco: il vicino Cimone. Il Cusna si riconosce bene dalla pianura per il suo profilo lungo e schiacciato, e domina tutto il medio Appennino reggiano con la sua mole: bianca per sei mesi, nelle annate migliori.

La madonnina in vetta al Cusna

Col nome Cusna sulle cartine si trova indicata la cima più alta di una lunga dorsale, per gran parte sul filo dei 2000 metri, che va dal Passone al Passo della Cisa; essa si può considerare come un unico blocco, delimitato a nord dalla valle dell'Ozola e a sud dalla val d'Asta. Conviene includere anche i vicini monti Ravino e Vallestrina nel "grande Cusna", lambito dunque a nord est da una terza valle: quella del Dolo.

Cresta sud-est del Cusna

Sono moltissimi i sentieri che si snodano fra i boschi e sui prati del Gigante, montagna dall'aspetto arrotondato nella quale comunque non mancano spunti più ripidi. L'itinerario descritto consente di cavalcare tutto il dorso della massiccio, raggiungendone la vetta con un'impennata finale; facile trovare ghiaccio lungo il crinale, mentre nei valloni sottostanti occorre prestare attenzione al pericolo valanghe: proprio sotto il Passone nel novembre 2010 ci furono due vittime.

Sculture di roccia e ghiaccio in cresta

Data uscita: 6 Gennaio 2016
Punto di partenza: Rescadore, 1150
Punto più elevato: Monte Cusna, 2121
Dislivello in salita: 1000
Tempo totale di percorrenza: 5/6 ore
Grado di difficoltà: F+
Punti d'appoggio: Nessuno (il rifugio Emilia 2000 sul crinale, presso l'arrivo della seggiovia, è chiuso)
Periodo consigliato: inverno/inizio primavera
Note segnaletica: Ottima Cai su tutto il percorso
Accesso stradale: Da Febbio, seguire le indicazioni per gli impianti (Febbio 2000) e parcheggiare presso la partenza della seggiovia (località Rescadore).

Segnaletica al Passone

Seguire la strada asfaltata che prosegue lasciandosi a destra le piste da sci (segnavia 615, direzione Pian Vallese). Poco oltre un sentiero sale a destra nel bosco, tagliando i tornanti della sterrata, e arriva fino alla radura di Pian Vallese (1300): qui si trova un rifugio/agriturismo aperto in estate. Da qui in avanti il sentiero comincia a guadagnare quota più in fretta, lasciandosi a destra una torbiera.

Pian Vallese

Attorno a quota 1500 i faggi si diradano, e superato un torrentello ci ritroviamo in fondo all'ampia conca sotto il Passone. Il sentiero segue un lungo dosso erboso, per poi piegare a sinistra in traverso; questo può essere evitato continuando a salire sul costone con qualche roccetta (più ripido ma sicuro dopo forti nevicate).

Fosso sotto il Passone

Ci ritroviamo dunque al Passone, dove abbandoniamo il 615 che scende al vicino rifugio Battisti per piegare decisamente a destra lungo l'ampio crinale: inutile scendere fino al bivio col sentiero Cai 697, nel quale ci si reimmette naturalmente poco oltre. In questa porzione d'itinerario orientarsi può non essere facile con la nebbia, visti i pochi punti di riferimento e il terreno pianeggiante.

Da qualche parte fra il Passone e la Piella

Avanzando verso la Piella, la linea spartiacque si fa meglio definita, con grandi lingue di neve formate dal vento che qui non ha ostacoli. Una facile rampa sassosa conduce sulla quota della Piella (2079), dalla quale si raggiunge brevemente l'arrivo della vecchia seggiovia che sale da Febbio, la più alta dell'Emilia Romagna. Qui si trova anche un rifugio, da tempo chiuso e non utilizzabile come riparo di fortuna.

La seggiovia 2000 di Febbio, raramente in funzione

Si prosegue lungo il crinale, superando la caratteristica crestina rocciosa del Sasso del Morto (2079), che il sentiero aggira in traverso da destra. Dopo un saliscendi eccoci alla base della piramide sommitale del Cusna: il sentiero diretto è segnato per escursionisti esperti, e segue la cresta sud-est: breve ma ripida, presenta passaggi fra roccette dove i ramponi sono d'obbligo ed è meglio non scivolare.

Parte centrale della cresta sud-est

Se la neve è sicura, si può scegliere di aggirare la cresta con un traverso sotto il versante nord-est, ritrovandosi sul costone percorso dalla via normale di salita da Febbio (che percorreremo in discesa). Dalla vetta il panorama si apre verso ovest, con l'Alpe di Succiso e l'Appennino parmense; se l'aria è limpida si possono ammirare tutte le Alpi di confine e la Corsica.

La vetta del Cusna

Per la discesa si segue inizialmente la cresta ovest, per poi scendere a destra con il sentiero 619; in corrispondenza di un netto dosso, occorre girare di nuovo a destra sul 617, che scende nello spettacolare vallone della Borra; prima che questo si faccia più stretto e ripido, il sentiero si sposta a nord su pendii più dolci, per poi raggiunge e guadare il torrentello presso l'inizio del bosco, lasciandolo alla propria sinistra.

Tracce nel vallone della Borra

Dopo questo tratto di bosco, arriviamo abbastanza vicini agli impianti e alle piste di Febbio, ma il sentiero piega nuovamente verso nord, guadando ancora una volta il fosso e scendendo in un bel bosco con scorci panoramici. Su pendenze sempre dolci, si raggiunge il sentiero 609, che collega Monte Orsaro a Rescadore, e lo si imbocca a destra; in breve, su terreno pressoché pianeggiante, ci troviamo di nuovo presso la partenza degli impianti.

Contrasti: i boschi del Cusna innevati e il monte Prampa pulito

lunedì 11 gennaio 2016

Rocca del Prete e Maggiorasca, anello dal Passo del Tomarlo

Data uscita: 3 Gennaio 2016
Punto di partenza: Passo del Tomarlo (1482)
Punto più elevato: Monte Maggiorasca (1804)
Dislivello in salita: 500
Tempo totale di percorrenza: 3 h senza soste
Grado di difficoltà: F, EE se non si percorre il canale
Punti d'appoggio: Nessuno sul percorso, poco lontano rifugi Prato Cipolla e Monte Bue
Periodo consigliato: Inverno
Note segnaletica: Giro che si sviluppa anche su sentieri non segnati. Si può fare un po' di confusione fra i segnavia Cai e quelli del Parco dell'Aveto (gialli)
Accesso stradale: Raggiungere il Passo del Tomarlo, vicino al confine fra le province di Parma, Piacenza e Genova. Spiazzi in prossimità del valico e scendendo verso S. Stefano d'Aveto

La statua della Madonna di Guadalupe sul Maggiorasca

Descrizione percorso:
Il gruppo del monte Penna/Maggiorasca si presta molto alle escursioni invernali: in genere dopo le perturbazioni, spesso copiose, il sereno arriva prima qui rispetto alle vette appenniniche più a est, verso Parma e Reggio. La possibilità di salire a quasi 1500 metri con un'ottima strada, i panorami amplissimi sul mare e sull'intero arco alpino, compensano la distanza dalle città della pianura; sono più che altro i genovesi a frequentare queste montagne, del resto le più alte della loro provincia.

Mare di nebbia e di acqua: al centro il monte Tomarlo

Questo itinerario permette di raggiungere la montagna più alta, il Maggiorasca, lungo sentieri poco battuti, ammirando da vicino le pareti della Rocca del Prete e la cascata dell'Acquapendente. Consigliati i ramponi per i tratti ripidi nel bosco e il canale finale; percorso in senso inverso, l'itinerario si presta allo scialpinismo (difficoltà BS).

Cascata dell'Acquapendente

Dal Passo del Tomarlo (1482) si scende per 1 km abbondante sulla strada verso Genova, fino all'imbocco del sentiero per la Rocca del Prete. Volendo si può tagliare già dal passo per il bosco in direzione ovest, incontrando alcune strade forestali che si seguono fino al sentiero Cai, costeggiando tutto il dirupato versante sud del monte Croce Martincano.

Neve e muschio

Il sentiero punta poi verso nord, lasciandosi a destra pareti sempre più incombenti, fino a un pianoro con grandi massi: siamo ai piedi della Rocca del Prete, dove si sviluppano diverse vie alpinistiche su roccia ofiolitica. Dobbiamo ora seguire le indicazioni per la cascata dell'Acquapendente, seguendo un sentiero a bolli gialli che risale il bosco sempre più ripido in direzione sud/est.

Il canale sotto la cascata
 
I faggi si fanno più radi, i bolli conducono nei pressi di un pulpito da cui si può ammirare dall'alto la cascata dell'Acquapendente. La quota decisamente elevata di questo salto d'acqua (circa 1600 metri ) fa sì che lo si possa ammirare ghiacciato quasi tutti gli inverni, nonostante l'esposizione a sud-ovest. Nei pressi della cascata passa un sentiero CAI, che imbocchiamo in salita verso nord.

Di fronte alla Rocca del Prete

Attraversiamo il torrentello che forma la cascata, e ai bivi successivi seguiamo per Prato Cipolla. Poco dopo la deviazione a destra per il Maggiorasca, che stiamo costeggiando a ovest, il sentiero attraversa un pendio spoglio abbastanza ripido e uniforme, sul quale correva una linea elettrica. Lo risaliamo faticosamente fino al suo termine, proseguendo poi nel bosco nella stessa direzione. I faggi lasciano presto il posto a un canalone abbastanza largo, con una pendenza che non supera i 40 gradi.

Vista dell'alta val d'Aveto dal canale ovest del Maggiorasca
 
Dopo un primo tratto suggestivo e un po' incassato, il canale si allarga ed addolcisce, e quasi senza accorgercene ci ritroviamo sui prati sommitali del monte Maggiorasca, con la grande statua della Madonna di Guadalupe e i brutti ripetitori a farle da contraltare. Panorama vastissimo a 360 gradi, ben riconoscibili monte Rosa, Monviso e le Alpi Marittime con la lunga striscia del ponente ligure.

Monte Maggiorasca semi-innevato

Per scendere si seguono le indicazioni per il passo del Tomarlo, che si raggiunge in circa 40 minuti con sentiero comodo e quasi sempre battuto.

martedì 5 gennaio 2016

Canale nord del Pizzo Recastello, salita da Valbondione con bivacco invernale al rifugio Curò

Alpi Orobie: il nome deriva da quello di un popolo molto antico, gli Orobi, che ne abitava le pendici: come i liguri Apuani con le Alpi Apuane. Gli Orobi, secondo Plinio il Vecchio, fondarono secoli prima dell'avvento dei romani la città di Bergamo; e la stessa Bergamo negli ultimi decenni è ingrassata tanto da lambire i due principali fiumi orobici, Brembo e Serio, le cui lunghe vallate costituiscono le porte d'ingresso principali di queste montagne.


Orobie, Rosa e Cervino

Così è da Bergamo che passiamo, intravvedendo fra un tunnel e una barriera sonora le torri della città vecchia abbarbicate sull'ultimo lembo collinare di Orobie. Poi ci infiliamo nella val Seriana, palazzoni e fabbriche via via più radi, le montagne dal finestrino sempre più imponenti. Ma di neve neanche a parlarne!

Canale nord del Pizzo Recastello, prima parte
 
Pian piano sul prudente Cubo di Alberto arriviamo fino a Valbondione, dove la strada asfaltata non ha più il coraggio di proseguire, stringendosi la valle ad imbuto sotto due pizzi troppo ingombranti: il Redorta e il Coca. Stanno uno affianco all'altro, gli unici due tremila delle Orobie; e incombono sull'alta valle con salti verticali nell'ordine dei chilometri.

Pizzo Coca

Non sono propriamente pareti rocciose, bensì pendii ripidissimi di erba mista a roccia bruna/rossastra dall'aspetto tutt'altro che rassicurante. Appollaiato su uno sperone come un gipeto, il rifugio Coca ci osserva mente saliamo verso l'ostello Curò; noi invece cerchiamo di mettere a fuoco le sottili linee di neve che solcano la parete retrostante, dirette verso la punta Scais, la Fetta di Polenta, il Redorta stesso. E poco importa se siamo diretti da tutt'altra parte!

Discesa dal Pizzo Recastello: a sinistra Redorta, Scais e Coca
 
Il sentiero 305 sale dolcemente con ampi tornanti, su cui ci godiamo in maglietta l'ultima ora di sole. Alla nostra sinistra le magrissime cascate del Serio, pronte a sfogare a comando tutta la loro potenza quando la diga del Barbellino viene aperta, richiamando sui ripidi prati attorno una quantità insospettabile di gente; anche in questa domenica pomeriggio a dire il vero incontriamo molte persone che scendono, chi con le piccozze chi senza, i più con cane al seguito.

Avvicinamento

Al Curò arriviamo con l'ultima luce, e troviamo quasi subito il locale invernale. La prima buona notizia (non scontata di questi tempi) è che siamo gli unici ospiti, la seconda è che c'è la luce elettrica! Il locale è confortevole, con sedie, un bel tavolone e sei letti con coperte in abbondanza. La luce elettrica toglie un po' l'atmosfera da bivacco - ma che ne so io, è la prima volta che ci passo una notte? - ma fa comodo, specialmente in questo periodo in cui le ore di buio superano quelle di luce.

Tratto attrezzato facile, sullo sfondo il Coca

Menu a base di parmigiano, risotto ai funghi liofilizzato e simmenthal, con anche il lusso di un po' di birra... ce n'è abbastanza per essere sazi senza russare troppo. Per la notte sfodero un pezzo d'antiquariato, una sorta di tuta in pile fuxia molto anni 80, recuperata dall'armadio delle cose dimenticate di mio padre; mi aspettavo facesse un caldo micidiale, invece patisco freddo quasi tutta la notte. Per fortuna le temperature sono tutt'altro che rigide!

Nel locale invernale:
Alberto alle prese col telefono su cui chiamano per chiedere se è aperto l'ostello!

Al mattino alle 7 fa ancora buio: il chiaro di luna accende la sagoma massiccia del Pizzo Recastello rendendo più romantico il disbrigo dei bisogni corporali. Colazione senza fretta, e lasciato il peso inutile al bivacco, partiamo col cielo ormai chiaro, e il sole che inizia a lambire le cime di Redorta e Coca rispecchiate nel lago del Barberino.

Lago Barberino, Redorta e Coca

Lo costeggiamo fino al bivio con un sentiero diretto al monte Gleno; guadagniamo velocemente quota sui prati fino a una costiera rocciosa sulla nostra destra. Una debole traccia ci permette di superarla trovandoci davanti all'imponente versante nord del Pizzo Recastello, con al centro il canale che andremo a risalire.

Versante nord del Pizzo Recastello, percorso di salita in rosso
 
La neve inizia ad una quota di circa 2300 metri, ed è dura al punto giusto; risaliamo agevolmente l'ampio pendio, ancora poco ripido, che si impenna soltanto in prossimità di una conca; a sinistra una goulotte sale fra un gendarme roccioso e il corpo principale della montagna, mentre noi puntiamo a una strettoia sull'estrema destra del canale.

Il primo salto "pulito" all'inizio della rampa
 
Superatala con poco di facile misto, possiamo finalmente vedere la lunga rampa finale, decisamente più stretta e ripida. La neve qui è a tratti meno dura, e i numerosi passaggi (il canale è molto frequentato) hanno creato una serie di gradini che nei tratti più ripidi si apprezzano. Incontriamo qualche passaggio più pulito, con rocce affioranti e ghiaccio, ma la pendenza non supera mai i 45 / 50 gradi.

Lungo la rampa nella seconda parte

Dopo 3h scarse da quando abbiamo indossato i ramponi, usciamo finalmente in cresta. Il momento come sempre è magico: il sole rimasto a lungo tempo nascosto dietro le pareti ti sbatte di colpo in faccia, illuminando valli e cime che subito ti affretti a riconoscere. Ci mettiamo poco a individuare dietro il mare di nebbia sulla pianura le "nostre" montagne: Cimone, Cusna, Alpe di Succiso.

Cresta finale

Ci togliamo i ramponi con troppa fretta; nel breve ma delicato tratto di cresta che ci separa dalla cima dobbiamo infilarli di nuovo per superare un paio di traversi a nord, che giudichiamo più sicuri della roccia marcia sul versante opposto. Eccoci sotto la croce di vetta (2896), circondati da una successione di montagne sorprendente che include Monviso, Rosa, Cervino, i gruppi di Bernina, Oltres/Cevedale, tutto l'Adamello d'infilata e le sagome lontane degli Appennini già citati.

Il Lago Barberino dalla vetta
 
Sono le 12.30, possiamo goderci questo spettacolo senza eccessiva fretta, anche se l'auto ci aspetta inesorabilmente quasi 2000 metri più giù. Ripercorriamo la cresta fino a un colletto, senza arrivare all'uscita del canale nord; qui una debole traccia con debolissimi ometti (sulla parete è tutto così marcio che non sono rimasti in piedi neppure loro) taglia il versante in direzione sud-est, su sfasciumi, fino a un canale/camino attrezzato con catena. Tutto questo tratto probabilmente diventa molto più complesso con la neve.

Prima parte della discesa

Dalla fine della catena le difficoltà sono ormai terminate, e per ghiaione si raggiunge il fondale della valle di Cornello Rosso prima, e della val Cerviera poi. Qui è rimasta un po' più di neve, nonostante l'esposizione a sud/ovest, e riusciamo a scendere per un bel pezzo coi ramponi su pendenze godibili e il sole pieno in faccia.

Seguendo torrenti ghiacciati verso il fondovalle

I ramponi li dobbiamo poi rimettere l'ennesima volta per superare un'estetica colata di ghiaccio tutta cavolfiori, dopodiché soltanto erba e sassi fino al lago. Al bivacco ci concediamo una pausa prima di recuperare le nostre cose e tornare a Grumelli di Valbondione con il lungo sentiero salito ieri; e come ieri ci godiamo il sole del pomeriggio fino all'ultimo raggio!

Cascata di ghiaccio in val Cerviera

sabato 2 gennaio 2016

Alla ricerca di ghiaccio: una colata per l'Immacolata al Passo del Tonale

Dopo la bella salita su roccia nelle Piccole Dolomiti, per il martedì dell'Immacolata decidiamo di mettere finalmente mano alle piccozze. In realtà la scelta è piuttosto povera per il periodo: in Appennino è ancora ottobre; sulle Alpi in quota ci sono canali in condizioni, ma prevedono lunghi avvicinamenti e bivacchi; le cascate di ghiaccio sono magre e affollate da gente assetata di acqua solidificata come noi.

Prima spiccozzata della stagione per Colan Gully

Dopo lunghe ricerche, optiamo infine per una spedizione esplorativa al Passo del Tonale, dove confuse notizie raccattate qua e là in rete parlano di facili e comode salite su ghiaccio; la fama di congelatore da sempre legata a questo luogo e il tempo un po' grigio ci motivano a tentare l'avventura.

Mario cerca l'equilibrio

Arrivati al parcheggio del Tonale, scopriamo con grande sorpresa di essere gli unici con piccozza e ramponi; la gente oggi preferisce sciare sui nastri di neve artificiale in mezzo ai prati del versante al sole del Passo; noi invece puntiamo a quello in ombra, dove si riconoscono già dalla strada altrettanti budelli biancastri, patetici pure loro ma almeno naturali.


Il Monticello di Mezzo a sinistra, il Superiore a destra; in basso al centro la colata

Alcune colate scendono sotto il monte Castellaccio, sul valloncello a destra rispetto alla cabinovia Paradiso; ci sembrano però molto magre, e di conseguenza meno facili rispetto alle relazioni trovate online; guardando invece dietro agli alberghi, sotto il Monticello Superiore, individuiamo una linea più in carne e meno in piedi, e decidiamo che fa al caso nostro.

Ghiaccio ad oltranza!

Vagando fra le sterpaglie, troviamo il corso ghiacciato del torrentello proveniente dalla colata in questione, e lo seguiamo con qualche saltino e strettoia fino alla base di una pietraia, dove piccozze e ramponi non servono più. Raggiungiamo così l'inizio della colata vera e propria, un salto di circa 10 metri con pendenza sui 70 gradi.

Luca sul primo salto

Lo attacca Luca Co: le piccozze rimaste tanto tempo nell'umido della pianura, si conficcano con rabbia nel ghiaccio vitreo e liscio di questo inizio mite di inverno. Sosta su due viti e saliamo pure io e Mario, non senza fatica... ma il grosso è fatto. E per fortuna! Non è ancora (oppure "è ormai", secondo i punti di vista) mezzogiorno, e il ghiaccio comincia a squagliarsi... il ché, se da un lato rende meno duro il terreno di progressione, dall'altro rende quasi inutili le viti.

Il primo salto visto dal basso

La parte difficile della salita del resto è terminata: la pendenza diminuisce, c'è giusto qualche salto qua e là per divertirsi. In due lunghezze complete di corda, raggiungiamo il punto più alto della lingua ghiacciata, che si trasforma in un canale secco confuso fra gli arbusti; poco sopra vediamo una conca pietrosa dominata da una vaga forcella probabilmente priva di sbocco. Proseguire, vista anche l'ora, non avrebbe alcun senso.

Seconda parte più appoggiata della colata

Scendiamo dunque sulla sinistra della colata, cercando la via migliore fra la vegetazione intricata e fastidiosa. Luca e Mario decidono di tenere i ramponi, forse per infierire anche coi piedi su questo labirinto di nessuno. A un certo punto ci troviamo sopra un salto di roccia (lo stesso su cui si forma la parte più ripida della colata), che dobbiamo aggirare con attenzione traversando ancora più a destra, faccia a valle. Costeggiando dunque la parete dal basso, ci ritroviamo alla base della pietraia.

Rientro: si pota

Ci riavviciniamo al Tonale in maniera abbastanza singolare: io senza ramponi costeggio il torrentello sempre più stretto che Luca e Mario continuano fedelmente a seguire, circondati dall'erba, fino ai primi edifici. Una giornata avventurosa e tutto sommato divertente, malgrado le condizioni poco favorevoli. Riguardo alla colata, non mi sento di consigliarla; il rientro è ravanoso se secco; mentre con neve abbondante c'è un alto pericolo di valanghe. E' comunque una salita su ghiaccio a 30 minuti dagli alberghi del Tonale!

Immagine raccapricciante che ben illustra il dicembre 2015