giovedì 27 agosto 2015

Ferrata delle Trincee sulla cresta del Padon

Data uscita: 4 Agosto 2015
Punto di partenza: Arrivo seggiovia Passo Padon (2369)
Punto più elevato: Bech da Mesdì (2727)
Dislivello in salita: 600 circa
Tempo totale di percorrenza: 4 ore
Grado di difficoltà: EEA
Punti d'appoggio: Rifugio Passo Padon, Bivacco Bontadini
Periodo consigliato: Estate e inizio autunno
Note segnaletica: Ottima CAI su tutto il percorso
Accesso stradale: Dal Passo Fedaia, salendo da Canazei, proseguire in discesa sul versante veneto fino alla partenza della seggiovia Passo Padon (parcheggio gratuito, andata e ritorno 9 euro)
Note: Ferrata difficile, specialmente nella prima parte; sconsigliatissimo percorrerla in verso opposto. Presenti vie di fuga sui prati a nord. Si può salire anche da Arabba con la funivia di Porta Vescovo. Se non si vogliono prendere impianti, conviene partire dal Passo Fedaia.


Il quarto giorno siamo a lungo indecisi su dove salire; non voglio distruggere le gambe a mio padre con una maratona come quella di ieri, e anche io del resto sono abbastanza provato... alla fine optiamo per spostarci in auto al passo Fedaia, per cimentarci nell'impegnativa ferrata delle Trincee sulla cresta del Padon.



Per risparmiarci 400 metri di salita dal lago Fedaia, ci concediamo il lusso della comoda seggiovia per il rifugio Padon (2369), che comincia pochi km dopo il passo, direzione Agordo. Il panorama da questi prati è magnifico, sia verso la Marmolada sia verso la val Badia e le Dolomiti del Cadore. Siamo partiti con comodo, e ci mettiamo in moto dal rifugio che sono ormai le 11.



Seguiamo il sentiero geologico Arabba, che costeggia a sud con qualche saliscendi tutta la cresta che andremo a percorrere con la ferrata; in vista della funivia di Porta Vescovo, puntiamo con una traccia in ripida salita la base della parete del Bech di Mesdì, sul crinale, dove comincia la ferrata. Il primo tratto è molto difficile, selettivo: le rocce vulcaniche della Cresta di Padon sono più avare di buoni appigli rispetto alla dolomia, e il cavo sale verticale o in esposti traversi per un'ottantina di metri, senza alcun aiuto artificiale al di là di lui stesso.


Dopo questa impennata, la ferrata si fa più godibile, con passaggi spettacolari sul filo di cresta, un ponticello in legno, cenge strette e molto esposte sul versante disastrato che guarda Arabba. Si consumano gli scorci su Sella e Dolomiti di Fanes, in netto contrasto cromatico con le rocce su cui stiamo cavalcando.


Non si incontrano più tratti di "arrampicata" sostenuti come l'attacco, ma i passaggi un po' atletici e di forza si susseguono, sia in salita che in discesa, fino a toccare nuovamente il prato. Qui è possibile abbandonare la ferrata, raggiungendo il sentiero geologico; oppure cominciarla da qui, anche in senso opposto al nostro come ha fatto qualche pazzo ignaro di ciò che lo aspetta in discesa...


Credendo di trovarci a metà della ferrata, fra Mesola e Mesolina, affrontiamo con molta calma il tratto successivo, caratterizzato da numerosi manufatti della Grande Guerra, senz'altro ferocissima su questa cresta strategica fra valli ladine e venete. Dopo la costruzione più appariscente comincia un'impegnativa discesa verticale, facilitata da un paio di fittoni. Aggirato l'angolo della montagna, torniamo sui prati, e in ripido traverso raggiungiamo una forcella; convinti che la ferrata sia finita, mangiamo i nostri panini e mettiamo via l'attrezzatura.


Ci sarebbe una buona traccia per scendere al sentiero Geologico percorso stamattina, ma vedendo i segni bianco-rossi sulla cresta decidiamo di proseguire, e incontriamo nuovi tratti attrezzati con il cavo, più facili. Il sentiero però non sembra avere alcuna intenzione di abbandonare la cresta, che da erbosa sta tornando ad essere rocciosa ed esposta... la ferrata insomma non è finita, in realtà abbiamo mangiato poco dopo la metà, fra Mesola e Mesolina!


Mio padre insiste per rimettersi imbrago e kit e seguire la ferrata, mentre io opterei per tagliare dai prati e rientrare al passo Padon con il sentiero... alla fine la vince lui, e ci rimettiamo in assetto da guerra, pronti per entrare nelle trincee. Ed è in questo secondo tratto infatti che la ferrata dà fede al proprio nome, infilandosi in gallerie che tagliano la montagna da una parte all'altra risparmiandoci faticosi sali-scendi.


I tratti più impegnativi - e forse un po' gratuiti - sono ora traversi, in totale esposizione sui prati del Lago Fedaia. Pareti sempre più alte si materializzano sopra di noi, e io sono sempre più tentato dal tagliare giù per i campi... ma mio padre non si fida e proseguiamo seguendo i segni. Ed ecco che la ferrata torna sotto terra, ma stavolta sul serio! Furbescamente ho lasciato in auto la frontale, ma per fortuna c'è poco dietro di noi un'escursionista inglese che ce l'ha, e lo lasciamo passare davanti più che volentieri.


Scalini umidi, bivi, finestrelle che ogni tanto si affacciano a valle riempiendo di luce la galleria... saliamo nel buio a lungo, senza la frontale avremmo probabilmente rischiato, ma con gioia risbuchiamo all'aria aperta proprio di fronte al bivacco Bontadini (2552). Ora la ferrata è davvero finita! Ci aspetta una ripida discesa fino al Passo Padon, dove arriviamo in tempo per tornare a valle comodamente seduti in seggiovia.

martedì 25 agosto 2015

Ferrata Gadotti, Sas Aut e Cima Vallaccia: anello da Soldanella

Data uscita: 3 Agosto 2015
Punto di partenza: Campeggio Vidor (1415)
Punto più elevato: Cima Vallaccia (2637)
Dislivello in salita: 1400
Tempo totale di percorrenza: 8 ore
Grado di difficoltà: EEA
Punti d'appoggio: Bivacco Zeni, Rifugio Vallaccia, Baita Monzoni alta
Periodo consigliato: Estate e inizio autunno
Note segnaletica: Buona, mancano alcuni cartelli nei bivi ma con una buona cartina e un po' di intuito ci si orienta bene 


Sas Aut e Sas de la Luna

Terzo giorno di “accantonamento” in Dolomiti: sveglia comoda dopo la notte solitaria in tenda, gambe fracassate da due giorni intensi di trekking. Non c’è miglior medicina di una passeggiata sulla strada fino a Pozza di Fassa, dove compro da mangiare nell’attesa che mio padre si faccia largo nel traffico lungo la val di Fiemme. La giornata è magnifica: altissime, come le lancette di un orologio, Cima Undici e Dodici attendono mentre il sole si alza.

La Vallaccia dall'alto

Verso le 11 siamo entrambi in campeggio, lasciamo la macchina in piazzola e ripartiamo per l’ennesima volta (io) verso la val San Nicolò, con la ben nota via Crucis fino a Malga Crocifisso (1522). Imbocchiamo lo stesso sentiero di ieri sera, il 615a, ma al bivio proseguiamo a destra verso il Bivacco Zeni. Guadagniamo quota con vari tornantelli nel bosco di larici, fino a sbucare nel fondo della selvaggia Vallaccia.

Vallaccia

Il sentiero risale ora ripidamente i ghiaioni e detriti che caratterizzano questo scolo di frane, valanghe, inondazioni e ogni tipo di evento catastrofico per cui merita il nome di Vallaccia. E’ mezzogiorno, il sole batte a picco fra Sasso delle Undici e delle Dodici, ora più vicine, e la salita è faticosa. Dopo un facile tratto con pioli e cavo di ferro, raggiungiamo il Bivacco Zeni.

Bivacco Zeni, sullo sfondo il Sassolungo

La piccola struttura arancione (4 posti letto, no tavolo) è in posizione panoramica sul bordo del dosso morenico che sbarra la valle. Notevole il colpo d’occhio sul Sassolungo e specialmente sulla testata della Vallaccia, coperta dai ghiaioni e dominata da pareti e pinnacoli altissimi. Il sentiero 615 proseguirebbe lungo la valle per poi salire lungo un canale alla Forcella Valaccia: lo percorremmo in discesa due anni fa; oggi invece dal bivacco saliamo un’evidente traccia a destra (no indicazioni) fino al vicino attacco della Ferrata Gadotti.

Inizio della ferrata Gadotti

Il percorso è abbastanza semplice e riattrezzato dopo la frana del 2012. Si comincia con una cengia e un caratteristico passaggio sopra una grotta; il proseguimento alterna tratti di sentiero, canali ripidi non sempre attrezzati e qualche passaggio verticale. Alle nostre spalle giganteggia la parete ovest di Cima Undici. La salita termina su una sella, non ancora posta sulla spartiacque ma affacciata su una piccola conca glaciale interna a Cima Dodici, invisibile dal fondovalle.

Fine della ferrata Gadotti

Un tratto di sentiero in traverso ci conduce a una nuova sella, vicina alla vetta di Cima Dodici (2446): ora il panorama si apre sulla bassa val di Fassa, case e hotel di Moena appaiono piccoli piccoli a confronto con le pareti immense del Catinaccio. Un nuovo sentiero attrezzato comincia dopo un breve tratto sulla cresta: si tratta della ferrata Sass Aut. Qui il cavo è davvero nuovo di zecca, e non sempre risulta indispensabile; risaliamo con qualche zig zag il versante sud del Sass Aut (2555), godendo di un panorama sempre più vasto.

Sulla ferrata Sas Aut, Catinaccio sullo sfondo

La sorpresa però ci attende alla fine del cavo, dopo un facile canale… mentre le più famose Dolomiti fassane – Catinaccio, Sassolungo, Sella – si presentano circondate dai prati, questo estremo lembo della Marmolada si spicca senza pause dai boschi del fondovalle e nessuno sospetterebbe di trovarceli in cima, i prati. Eccoci così su un sentiero comodissimo, con le Pale di San Martino semi-avvolte dalle nuvole e Cima Vallaccia finalmente visibile, ancora alta ma più vicina.

I prati sommitali del Sas Aut, verso Cima Vallaccia

Il godimento però non dura molto… del resto siamo venuti per fare una ferrata! Quindi non possiamo lamentarci di un altro scabroso canale da cui scende, nuovamente attrezzato, il percorso, con alcuni tratti verticali più impegnativi – se non altro percorsi in discesa. Perdiamo almeno 150 metri, e dopo un simpatico passaggio stretto, ci ritroviamo su un praticello, appena sotto un campanile roccioso impressionante: qui la ferrata finisce, ma riprende la salita, spietata sotto il sole del primo pomeriggio.

Seconda parte della ferrata Sas Aut: il canale

Traversiamo un ghiaione poco sotto la parete est di Cima Vallaccia, le gambe iniziano a patire i 3000 metri abbondanti di salita in tre giorni… raggiungiamo la Forcella Baranchie (2528), affacciata sul crinale dei Monzoni, ma non ancora sulla spartiacque principale. Una traccia taglierebbe verso Forcella la Costela, ma ormai siamo a un passo da una delle vette più panoramiche delle Dolomiti e non possiamo saltarla in una giornata come oggi.

Il traverso prima di Forcella Baranchie

Ultimo strappo molto ripido su un ghiaione ed eccoci in cresta. Pochi minuti di sentiero ora facile e siamo finalmente su Cima Vallaccia (2637), con piccola croce e immancabile prato. Ci fa compagnia una famiglia di portoghesi con i bambini, sicuramente dotati di molta più gamba e fantasia rispetto alle orde di Lanzichenecchi sui prati del Buffaure, dall’altra parte della valle san Nicolò. Queste montagne prive di impianti di risalita sono più selettive, ma sicuramente regalano maggiori soddisfazioni e solitudine.

In vetta

La lunga discesa nella val Monzoni è meno dolce di quanto sperassi, e certo non fa la gioia delle ginocchia di mio padre, 28 anni cadauna… raggiunta Forcella La Costela (2529) scendiamo a sinistra con un traverso ripido e delicato su ghiaia, sotto le pareti stavolta ovest della cima da cui siamo scesi. Non ci mettiamo molto a raggiungere il bel rifugio Vallaccia (2275) per una birra tanto desiderata quanto contenuta… si sta facendo tardi infatti, almeno per il centro benessere in campeggio.

Rifugio Vallaccia

Riprendiamo a scendere lungo questa valle meravigliosa, con le sue baite di legno, i Monzoni bruni e le dolomiti castane, le tonalità ravvivate dalla luce calda del pomeriggio. Dalla Baita Monzoni Alta non scendiamo con la strada come feci io ieri sera, ma superiamo il fiume per attraversare un nuovo alpeggio lungo una sterrata, e ritrovare la strada più a valle. Nuove varianti su sentierini nel bosco, a pochi passi dall’orrido formato dal rio Monzoni, ci permettono di arrivare fino a Malga Crocifisso quasi senza pestare asfalto.

I Monzoni

Sesta via crucis in due giorni, meritata piscina con idromassaggi e ottima cena all’agriturismo Soldanella (almeno la mia). La dura brandina mi aspetta per l’ultima notte in tenda, aspettando la mattina per nuove puntate in quota!

lunedì 24 agosto 2015

Festa Tà Mont e solitaria serale a Lago delle Sele e Rifugio Taramelli

Per tutta la notte la pioggia ha ticchettato sulla tenda, che fortunatamente ha resistito; poi al mattino il rumore cessa, nubi sbavacciose avvolgono le cime attorno alla val san Nicolò: ci attende una buona giornata.

Chi crea...

La festa Tà Mont, appuntamento fisso nel primo weekend di agosto, coinvolge tutta l'alta valle: artisti di strada, anzi di sentiero; menu diversificati per ogni malga; strada chiusa al traffico - furgoncini-pullman a diesel esclusi - percorsa da centinaia di persone a piedi (da Soldanella alle malghe più alte ci sono 6 km e 400 metri di salita); capre che scorrazzano per i campi inseguite dai bambini... una gran bella atmosfera, in uno scenario naturale meraviglioso, purtroppo rovinata la sera prima dal maltempo.

...e chi consuma

Dopo un lauto ed alcolico pranzo e post-pranzo, torniamo al campeggio: i miei amici rientrano a Parma, io rimango. Sono le 17, il pomeriggio è sereno e io non so cosa fare fino a sera da solo... così preparo lo zaino, indosso di nuovo gli scarponi e faccio dietrofront su per la valle. Abbandono la strada asfaltata poco prima di Malga Crocifisso (1522), dove termina la suggestiva via Crucis formata da tante edicolette bianche.

Colpito!

Il sentiero 615a si stacca a destra, diretto al Bivacco Zeni e a Cima Dodici. Lo seguo per circa mezzora in salita abbastanza ripida fino a un bivio: a destra prosegue il sentiero segnato per il bivacco e la Vallaccia, diritto/sinistra invece - cartina alla mano - si va verso la val Monzoni. In leggera salita, attraverso diagonalmente un bel bosco di larici, fino a immettermi in una nuova mulattiera: stavolta ci sono le indicazioni, e la imbocco a destra verso Malga Monzoni.


Ennesimo incrocio, stavolta con il sentiero CAI 635 che collega la Vallaccia con la Val Monzoni traversando sotto Cima Undici: stavolta seguo a sinistra, e di tanto in tanto il bosco mi regala begli scorci sulle pareti. Con gradevole percorso pianeggiante, sbuco finalmente presso Malga Monzoni Bassa, meglio nota come rifugio da Nello: purtroppo ex rifugio, siccome la scorsa primavera ha preso fuoco e non ne restano che le fondamenta. Una grande foto e alcune bottiglie di grappa sono state lasciate come omaggio a Nello, con le sue mangiate e bevute circondate da un alone di leggenda.

Ciao Nello!

Proseguo sulla strada asfaltata e in breve raggiungo la Malga Monzoni Alta: contavo di fermarmi qui per cena, ma trovo già tutto chiuso... così proseguo, incontrando subito dopo una mandria di asini al pascolo lungo il sentiero. Inutili i fischi del fattore dalla malga, gli asini mi precedono fuggendo fino al bivio fra Rifugio Taramelli e Vallaccia, dove prendiamo strade diverse.

Asini...

Il rifugio Taramelli è il più antico della zona, e si presenta con una caratteristica forma cubica: si trova su uno sperone panoramico, semi-nascosto dai larici, ai piedi del crinale dei Monzoni, con le sue rocce scure di origine vulcanica; fu fondato ai primi del '900 per scopi di studio, e intitolato al geologo Torquato Taramelli.

...e altri asini

All'interno incontro tre ragazzi giovani che lavorano come volontari per la campagna estiva, e mi prenoto per la cena. Sono già le 19.30, ma per fortuna qui hanno orari più cittadini, e ho tempo per camminare ancora un po'. Dopo il rifugio, il sentiero 604 diretto al passo delle Sele supera un paio di ruscelli e risale un dosso erboso.

Il rifugio Taramelli

Sfortunatamente, il sole rimane coperto da un cumulo di nubi fantozziano posizionato proprio a ovest, dietro Cima Undici… Quindi buona parte della valle che sto risalendo rimane in ombra, impedendomi di scattare foto valide. Ma ecco, come per magia, che uno spiraglio di luce sbuca ad accendere la parte alta della valle, appena prima di affacciarmi al di là del dosso.

L'alta val delle Sele

E’ questione di istanti… la conca glaciale torna quasi tutta in ombra prima che raggiunga il vicinissimo Lago delle Sele: soltanto le cime rimangono illuminate, e si riflettono nitide nell’acqua del laghetto.

Lago delle Sele

Guardando verso ovest è invece il gruppo del Rosengarten a dare spettacolo, in pieno controluce: Roda di Vael, Catinaccio, Torri del Vajolet, Antermoia, Larsech sfilano infuocati dall’Enrosadira, premonitrice di un domani sereno.

Catinaccio

Torno di corsa al Taramelli, temendo di essere in ritardo… ma sono l’unico ospite, e il rifugista-cuoco, da poco rientrato, non sembra avere fretta. Ottimo “piatto dell’alpinista”, con patate al forno, uova e speck, e tra una chiacchiera e l’altra cala l’oscurità.

Tentativi

Fuori la pila frontale (prestata dal buon Gianpaolo!) è indispensabile nei tratti di bosco, ma su terreno aperto ci si vede abbastanza bene anche senza; il tratto di strada prima sterrata poi asfaltata dall’ex Nello fino a Malga Crocifisso preferisco farlo di corsa, non si sa mai cosa nasconda il bosco di notte… e qui, oltre a gente poco normale, gironzolano orsi!

sabato 15 agosto 2015

Sasso Piatto per ferrata Oskar Schuster, anello da Passo Sella

Data uscita: 1 Agosto 2015
Punto di partenza: Passo Sella (2180)
Punto più elevato: Sasso Piatto (2958)
Dislivello in salita: 800
Dislivello in discesa: 1100
Tempo totale di percorrenza: 6 ore
Grado di difficoltà: EEA
Punti d'appoggio: Rifugi Dementz, Vicenza, Sasso Piatto, Pertini, Federico Augusto
Periodo consigliato: Estate autunno
Note segnaletica: Ottima lungo la ferrata e i sentieri, attenzione alla discesa dalla vetta del Sasso Piatto
Note: Ovovia dal Passo Sella alla Forcella di Sassolungo consigliata, prezzo adulti 14 euro. Parcheggio a pagamento (5 euro) presso la partenza.

Cima del Sasso Piatto

La ferrata Oskar Schuster al Sasso Piatto è un percorso vario e di soddisfazione, grazie al quale si può raggiungere una cima panoramica di quasi 3000 metri, l’unica accessibile agli escursionisti nel gruppo del Sassolungo. L’avvicinamento risulta addolcito salendo con la cabinovia fra Passo Sella e Forcella Dementz (2685) o del Sassolungo, che permette di risparmiarsi un faticoso ghiaione di 500 metri.

Discesa verso il rifugio Vicenza

Dal trafficato Passo Sella ci aspettano le vecchie cabine bianche biposto, così veloci che gli addetti alla cabinovia devono letteralmente spingerci dentro al volo. Sotto di noi l’ampio ghiaione popolato da marmotte, le pareti che si avvicinano sempre di più, nuove montagne che compaiono con velocità innaturale all’orizzonte.

Nella nebbia, la parete est del Sasso Piatto

Purtroppo la giornata non è delle migliori, il cielo è grigio e nebbioso; raggiunta la forcella cade persino qualche goccia. Ci mettiamo in moto velocemente, si comincia con la discesa nel poderoso vallone nord-ovest del Sassolungo. Ai nostri lati la nebbia gioca ad avvolgere guglie slanciate di dolomia, mentre in fondo alla valle si stendono i prati verdi dell’Alpe di Siusi, in contrasto nettissimo col terreno su cui ci troviamo.

Al rifugio Vicenza

Dopo mezzora dalla forcella raggiungiamo il Rifugio Vicenza, dal quale si stacca sulla sinistra un nuovo vallone, dominato dalla parete est del Sasso Piatto. E’ di qui che sale il sentiero, portandosi alla base delle pareti dopo aver guadagnato faticosamente quota per le ghiaie. La ferrata inizia nei pressi di una cascatella, ma il cavo termina dopo breve. Quasi tutta la prima parte della salita risulta infatti non attrezzata, con passaggi di I e II grado mai troppo esposti ma da affrontare con attenzione (rocce umide e non sempre stabilissime).

Prima parte della ferrata

Al termine di un canale comincia un nuovo lungo tratto di cavo, prima in traverso poi su divertenti placchette ricche di appigli; laddove questi si fanno scarsi, troviamo comodi pioli e un’intera scala di ferro. La ferrata segue un percorso logico, lasciandosi a destra un ripido canale ghiaioso; vi sale una traccia segnata con bolli rossi, forse una via di fuga.

Scaletta esposta

Nuovi salti di roccia, un passaggio un po’ atletico sotto un masso e un breve traverso esposto segnano la fine delle attrezzature, ma non della salita: rimane infatti un ripido (I grado) canale di circa 100 metri che sbuca direttamente sotto la cima, al nostro arrivo purtroppo è già coperta dalla nebbia.

Uscita in cresta dall'ultimo canale

 La discesa sul versante ovest, celebre fra gli sci-alpinisti, è su buon sentiero, ma la scarsa visibilità ce lo fa perdere quasi subito… così ci ritroviamo ad errare fra gli sfasciumi seguendo tracce malcerte, puntando a raggiungere per la via meno peggiore gli invitanti alpeggi dell’alta val Duron, con il rifugio Sasso Piatto (2300).

Dopo tanti sassi, un po' d'erba!

In qualche modo ci leviamo dalle difficoltà, e per pura beffa ritroviamo il sentiero proprio appena raggiunti i prati! Dal rifugio, con sotto il naso una ciotola di canederli affogati nel brodo caldo, osserviamo il versante disceso, che terminava in ripidi dirupi poco sotto al punto in cui abbiamo cominciato a traversare… decisamente meglio fare attenzione ai segni quando si scende!

Al rifugio Sasso Piatto

Finiti i canederli, una sgradita sorpresa: fuori ha iniziato a piovere, e tutta la prima parte del comodo sentiero Federico Augusto, fino al rifugio Pertini (2300 precisi pure lui!), ci tocca farcela sotto l’acqua. Dopo la pioggia, è il fango a rovinare questa passeggiata dolce e panoramica sui prati, apprezzatissima dopo ore passate sui sassi. Superato anche il rifugio Federico Augusto (2298, accidenti), con il suo enorme yak di plastica, scendiamo a sinistra del Col Rodella e torniamo alle auto. La sera in campeggio dimenticheremo le fatiche e la pioggia scrosciante sulle tende il tavolino e i borsoni, sciallandoci nell’acqua calda della piscina coperta con idromassaggio. Siamo pur sempre in vacanza!