giovedì 24 dicembre 2015

Spigolo Faccio al Primo Apostolo, cavalcando la nebbia sulle Piccole Dolomiti

Raffreddore, tosse, spossatezza fisica: gli esperti consigliano antibiotici, riposo al chiuso al calduccio... ma fuori dalla finestra c'è la nebbia, questa fetta di cicciolata larga centinaia e centinaia di km quadrati che raccoglie tutto lo schifo prodotto da camini, automobili, sigarette della nostra industriosa pianura.

Quarto tiro, Spilolo Faccio

E tu sai che la superficie terrestre non è tutta piatta: come l'elettrocardiogramma di un ricoverato in coma, a un certo punto la linea retta comincia ad ondeggiare leggermente, poi sempre di più; città e autostrade lasciano il posto ai vigneti, i vigneti ai boschi, i boschi ai pascoli, e i pascoli a piramidi affilate di roccia che squarciano la cicciolata di nebbia come spade. Il malato di coma, con respiri profondi, è tornato alla vita!

 
Per fortuna non mi mancano amici con la voglia di arrampicare al sole; altri amici spediscono foto in canottiera a più di duemila metri, la smania aumenta di frequenza... e dopo un sabato di riposo, alla vigilia di domenica mi sento abbastanza ripreso per mettermi in gioco. Optiamo per una via breve, relativamente facile, con accesso e rientro comodi: lo Spigolo Faccio al Primo Apostolo, nel gruppo di Sengio Alto, Prealpi Vicentine.

 
Terzo tiro

Fino all'ultimo, saliamo con il dubbio di lasciare la testa sotto le nuvole. Sappiamo per certo che sulle Dolomiti grandi splende il sole; ma sulle Piccole, più vicine a casa ma famose per essere sfortunatissime meteorologicamente, non si può scommettere. Superata Vicenza, la nebbia della pianura si dirada, ma le prime montagne restano avvolte da nubi stagnanti.

Durante il primo tiro (di viola...)

Recoaro Terme: il cielo è inesorabilmente coperto e fa freddo, ci sono anche chiazze di neve qua e là nei campi. Saliamo di quota, 1000 metri, 1200... la nebbia si fa più fitta, già temiamo di doverci rassegnare ad una visita all'Ossario del Pasubio: atmosfera e temperatura sarebbero perfette! Ma anche questa volta la montagna si dimostra benevola con noi.

Poche curve prima del Passo di Campogrosso, sbuchiamo fuori dalla coltre grigia, rimasta come incastrata fra gli alberi nei fianchi più alti della valle. La luminosità del cielo subito è schiacciante: gli occhi impiegano qualche istante in più per mettere a fuoco le pareti rocciose di Baffelan e soci. Se ne stanno lì, crogiolandosi al sole coi piedi immersi nel mare di nuvole. Ci aspettano a braccia aperte!


Monte Baffelan

Fuori dalla macchina ci sono comunque 4 gradi; il sole scalda, ma non certo da stare in canottiera! Del resto siamo soltanto a 1400 metri, non a 2000... Ci incamminiamo sulla strada e poi il sentiero, in alcuni punti ghiacciato, verso la base della possente parete est del Baffelan; una cordata sta iniziando la salita, probabilmente sulla facile via Verona - Vicenza.

Lo spigolo est del Primo Apostolo

Presto compare anche il Primo Apostolo, di dimensioni decisamente ridotte, con lo spigolo aereo ed elegante su cui corre la nostra via tutto al sole. Ci dividiamo in due cordate, lasciando un paio di zaini all'attacco (da cui si ripassa anche in discesa). Attacca Luca il primo tiro, che parte su una placca dall'apparenza poco solida, ma in realtà affidabile.

Luca Z sul primo tiro

I chiodi non sono lontani, alternati da ottime clessidre. Questi 50 metri di tiro valutati IV+ (in alcune relazioni V, che ci sembra più verosimile) presentano un bel campionario di arrampicata su calcare: la placca delicata, il lieve strapiombo da aggirare, un corto camino, un traverso atletico su clessidra... mentre stiamo a guardare e fotografare lo Ziliotti alle prese con tutto questo, ci rendiamo conto che l'ombra del Baffelan sta avanzando, coprendo la nostra parete come una chiazza di inchiostro rovesciata su un foglio bianco.

L'ombra avanza...

Sono da poco passate le 11, tutte le pareti est che vediamo si godono ancora il sole, ma noi dobbiamo fare i conti con questo vicino a dir poco ingombrante. Parte Fede da secondo, Mario lo segue a distanza da primo. Il tiro è ormai tutto in ombra, e i 4 gradi effettivi (di temperatura!) si fanno sentire tutti, specialmente sulle mani. La piazzola all'attacco da cui faccio sicura per un po' resta al sole; spostandomi un po' all'indietro riesco ad inseguirlo, ma non posso scendere dal ghiaione, e nemmeno mettermi qualcosa in più addosso siccome Mario non ha un posto comodo per fermarsi.


Quando è il mio turno quindi sono già bello carico di freddo. Mario in via del tutto straordinaria mi ha lasciato in custodia il suo zaino, non certo famoso per la leggerezza... e nella prima parte del tiro faccio piuttosto fatica; riesco ad apprezzare di più l'arrampicata dal camino in su. Una volta in sosta restituisco a Mario il fardello, le cinghie belle strette per aderire alle mie misure da modella, e parto per il secondo tiro con tutta la ferraglia.

Panorama verso il Pasubio


Qui è un po' l'inverso... parto bene, Federico dall'alto mi dà preziose indicazioni sul percorso. Poi però mi incarognisco su un diedro con chiodo un po' basso: un passaggio di IV che nelle ultime uscite avrei superato senza tanti preamboli. Cerco di piazzare una protezione in più, ma non trovo i posti giusti... perdo una marea di tempo. Il tiro poi non è ancora finito, e poco più su mi trovo in una situazione simile. Ci arrivo in fondo piuttosto stanco.

Mario in arrivo alla seconda sosta

Anche Mario a salire ci mette un po', e tempo che entrambi siamo in sosta, Luca e Federico hanno già superato entrambi il quarto tiro, quello col passaggio chiave. Il terzo non è difficile, ma nemmeno intuitivo come linea da seguire sullo spigolo... il singolo chiodo in 30 metri non aiuta di certo. Mario sale con la dovuta cautela, tenendosi il suo zaino per pietà o abitudine, io provvedo a raggiungerlo in fretta perché mi preoccupa un po' il tiro successivo.

Terzo tiro

La sosta è alla base di un nasone strapiombante, caratteristica più lampante dello spigolo; la via lo aggira da destra con un passaggio iniziale in breve strapiombo seguito da una placca verticale, e traverso finale a destra sul comodo terrazzo dove il breve tiro termina. Ormai mi sono acclimatato e mi sento di andare io da primo. Complici le prese ottime e i tre chiodi presenti prima delle difficoltà, riesco a salire bene e in fretta, usando anche una clessidra e un friend indovinato al primo colpo.

Mario sul quarto tiro

Mario arriva e attacca il quinto tiro, che dopo la partenza (IV, due chiodi) segue una cengia a sinistra rispetto allo spigolo, per poi salire di nuovo verticale (fessure per friend) fino all'ultima sosta, un po' meno comoda rispetto allo standard della via. La parte ripida dello spigolo è conclusa, resta da percorrere un breve ma intenso tratto di cresta, con passaggi esposti e un paio di chiodi.

Io sulla cresta finale

Sostiamo su spuntone poco prima dell'inizio dei pini mughi, nei quali una traccia ci porta a congiungerci con il sentiero 149, che imbocchiamo a sinistra; in breve, dopo una galleria, raggiungiamo il passo del Baffelan. Qui per ripido canale (con tratto finale attrezzato) raggiungiamo in 20 minuti circa l'attacco, pochi metri sopra il limite della nebbia.

venerdì 4 dicembre 2015

Via Bucce d'Arancia al Paretone di Arnad

Data uscita: 15 novembre 2015

Punto di partenza: Parcheggio lungo la statale presso Arnad

Durata: 4 / 5 ore

Dislivello in salita: 240 la via

Grado di difficoltà: D+ (un passo di 6a, due o tre di 5c)

Chiodatura: A spit mediamente distanti, più vicini nei tratti difficili

Punti d'appoggio: Osteria l'Arcaden (possibile parcheggiare anche lì)

Esposizione della via: sud-ovest

Periodo consigliato: Primavera e autunno

Avvicinamento: Dal parcheggio lungo la statale (sulla destra, appena prima di Arnad), si sale con il sentiero segnato per circa 20 minuti fino alla base della parete. La via Bucce d'Arancia è la prima che si incontra.


Sul sesto tiro della via Bucce d'Arancia

Il dado è tratto. Attraversando il Po a Piacenza, ci domandiamo: ma ne varrà davvero la pena sorbirsi 500 km abbondanti di autostrada, in una giornata breve e nebbiosa di novembre, per arrampicare sul granito? Ammazziamo la noia con le chiacchiere: dopo i fattacci freschi di Parigi ce n'è da discutere; qualcuno si infervora, il sottoscritto (nonostante le male voci, indiscutibile punto di riferimento in materia di strade) si distrae, ed ecco che sulla tangenziale ovest di Milano ignoriamo il bivio giusto e ci ritroviamo diretti al Lago Maggiore invece che a Torino.

La chiesa di Machaby

 
Riusciamo a limitare i danni imboccando la prima uscita, per poi attraversare verso sud i ridenti paesini dell'hinterland milanese (Arluno e dintorni) pieni di dossi killer e semafori. Di nuovo sull'A4, ci preoccupa ora la nebbia: Novara, Viverone, Ivrea... si sarà riuscita a infilare persino dentro la val d'Aosta?

A Pont San Martin usciamo, e risaliamo la statale; le nuvole sembrano diradarsi da un momento all'altro, il problema è che ormai siamo arrivati! Ma oggi sarà una giornata fortunata. Appena oltre la svolta della valle dominata dal forte di Bard, la nebbia scompare e davanti a noi, vicinissimo alla strada, si innalza il paretone di Arnad: ancora all'ombra, ma con sopra il cielo pressoché sereno.


Il forte di Bard fra la nebbia
Scesi dalla macchina, constatiamo subito il freddo pungente, che se non altro ci spinge a prepararci alla svelta e buttarci su per il sentiero di avvicinamento in ripida salita con tanto di piumino addosso. Questione di 5 minuti, e sentiamo arrivarci addosso una folata di aria calda, tipo forno aperto in una stanza fredda. Le ventate dolci si fanno più frequenti passo dopo passo, riempiono ormai tutta l'aria finché non ci ritroviamo una volta per tutte sopra il campo d'inversione termica, con 10 gradi in più rispetto al parcheggio.

Siamo abbastanza increduli: i piumini finiscono subito nello zaino, dove rimarranno tutto il resto del giorno! Guardando il fondovalle ancora vicino, scorgiamo sia la nebbia proveniente dalla pianura infrangersi contro il forte di Bard, sia la patina di aria fredda coricata di fianco alla Dora Baltea. Oggi sul paretone di Arnad si arrampica in maglietta anche all'ombra!

Appena finito il sentiero di avvicinamento, a circa 30 minuti dal parcheggio, ci ritroviamo di fronte al naso la targhetta con il nome della via che intendiamo percorrere: Bucce di Arancia. Una cordata è appena partita, un'altra da tre è un tiro più su... e mentre noi aspettiamo di partire, arrivano altre 5 persone, che scoraggiate dalla coda cambieranno itinerario.


Quarto tiro

Partono Alberto e Federico, Mario ed io li seguiamo. Bello pensare che a inizio stagione le cordate sarebbero state miste, mentre ora possiamo affrontare la via in autonomia, lasciando comunque che siano i due più esperti a testare i vari tiri. Il primo fa subito prendere confidenza con il tipo di roccia, con lame e fessure per le mani, e gradini a volte molto piccoli per i piedi, costretti spesso a lavorare in aderenza. Verso la fine occorre aggirare a sinistra uno strapiombino con traverso delicato (5b).

Primo tiro, Alberto sotto lo strapiombino

Gli spit sono a distanza giusta, meno frequenti sul facile, le soste tutte comode su catena con anello di calata. Il secondo tiro comincia con un facile traverso a sinistra per poi salire in verticale seguendo due belle fessure (5c). La roccia è solidissima, ruvida, generosa. Dalla seconda sosta traversiamo delicatamente a destra (5a), poi seguiamo una placca più facile con roccia molto lavorata (IV), quasi cancrenosa, bellissima da vedere e da stringere. Spit abbastanza distanziati qui.

Mario all'inizio del quarto tiro

Quarto tiro: rimontiamo il facile spigolo a gradoni sulla nostra sinistra (IV-) fino a un boschetto, che risaliamo con facile sentiero fino alla nuova sosta, alla base di un canale. Qui la via Bucce d'Arancia si mantiene sulla destra, seguendo il canale che man mano va assumendo le fattezze di diedro. Ed è un diedro tosto, con la parete a sinistra (dove ci sono gli spit, per fortuna vicini) che verso la fine diventa quasi del tutto liscia (5c).


Io all'uscita del diedro del quinto tiro

La sosta molto comoda su un boschetto pensile è il preludio al tiro chiave della via, il sesto. I primi passi sono i più difficili: occorre tirare su tacchette dove ci stanno poco più che le dita, su appoggi aleatori per i piedi... alcune relazioni danno 5c, ma un 6a+ ci sta tutto. Si può azzerare questo primo passaggio con il rinvio, ma tutto il tiro è sostenuto.

Sesto tiro: l'inizio...

Un chiodo un po' vecchio può essere utile per una rinviata psicologica per raggiungere con passo delicato lo spit poco più su e uscire presso su un terrazzino con pianta (5c). Ma il tiro non è ancora finito... Si rimonta un pilastrino meraviglioso per poi uscire in forte esposizione a destra in prossimità della sosta (stare bassi, appigli svasi, 5c). Se non mi fosse scivolato (diciamo così) il piede su uno spit, sarebbe stato il tiro più difficile che abbia fatto finora da primo su una via lunga!

...e la fine

Il settimo tiro, dopo la partenza verticale (5a), sale facilmente a destra fino a un gruppetto di piantine. Concateniamo i due tiri successivi: il passo più tecnico è all'inizio, con una bella fessurona che chiama la dulfer (5b), dopodiché la parete si appoggia definitivamente, e l'arrampicata è un divertente defaticamento su lame sempre più grosse (IV-). L'ultimo tiro è facile e conduce all'orlo arrotondato della parete.

Penultimo tiro

Continuando a salire, raggiungiamo un punto panoramico, affacciato sulla valle di Machaby con i suoi borghetti e una cascata. In prossimità del gruppo di case più alto, incontriamo una coppia a cui chiediamo informazioni sul sentiero di rientro. La faccia e la voce di lui a dire il vero non ci sono nuove, ma ci è mancato un soffio che ce ne andassimo senza aver capito chi fosse.

Trova l'intruso!

Si tratta dello skyrunner Bruno Brunod, che tutti e quattro per pura coincidenza avevamo conosciuto il martedì precedente in un film della rassegna del Cai di Parma su Kilian Jornet: un suo collega più giovane che nel 2013 ha battuto il suo record di tre ore e un quarto da Cervinia al Cervino... e ritorno! Una volta riconosciuto Bruno, ci scambiamo volentieri due chiacchiere anche se è tardi, e facciamo tutta la discesa nella bella valle di Machaby meravigliandosi di una coincidenza così fortunata. Degna conclusione di una giornata spettacolare!

Il ponte romano (eh già) di Pont Saint Martin