giovedì 30 luglio 2015

Brenta selvaggio. Anello da Malga Movlina per Passo delle Ortiche, Busa delle Gere, Passo del Forno e Vallon

Data uscita: 18 Luglio 2015
Punto di partenza: Parcheggio sotto Malga Movlina (1786)
Punto più elevato: Passo del Vallon (2800 circa). Con percorso corretto, Cima Pratofiorito (2900 circa)
Dislivello in salita: 1300 circa
Tempo totale di percorrenza: 8 / 9 ore
Grado di difficoltà: PD. Traversi esposti su ghiaione, pendii nevosi, un canale con qualche passo di II.
Punti d'appoggio: Rifugio XII Apostoli
Periodo consigliato: Estate, autunno. Evitare le giornate troppo calde. Percorso sicuramente più interessante d'inverno, ma complesso per via della lunghezza e delle varie esposizioni.
Note segnaletica: Assente in tutto il tratto dal Baito dei Pastori al Vallon, salvo rari ometti e segni di vernice. Buona nella prima parte del Vallon, più confusa nell'ultimo tratto. Ottima sul resto del percorso.
Note: Escursione consigliabile in linea di massima agli amanti della wilderness. Necessario ottimo senso dell'orientamento, malizia nell'indovinare i punti migliori in cui passare, confidenza con terreni ripidi, esposti e cedevoli. Non scendere come ho fatto io dalla Vedretta dei XII Apostoli, ma proseguire fino a Cima Pratofiorito (2900) per poi scendere dall'omonima, più facile, vedretta.

Il Vallon

I luoghi più selvaggi che abbia mai attraversato sono proprio qui, sulle Dolomiti più vicine alla pianura lombarda, a pochi passi dalle funivie di Pinzolo e Madonna di Campiglio. Parlo del gruppo chiamato Vallon, la parte più meridionale delle Dolomiti di Brenta: vi penetra la val d'Algone, sopra Stenico, risalita da una strada che arriva quasi sino a 1800 metri: una quota interessante se paragonata agli altri ingressi classici al gruppo, generalmente più bassi (funivie escluse!).

Malga Movlina

Già percorrendo la lunga strada si penetra mano a mano in un mondo diverso, dove il tempo scorre più lentamente, al ritmo delle bestie che pascolano attorno alle numerose malghe. La più alta della valle, presso cui si parcheggia, si chiama Malga Movlina, ed è un balcone a dir poco straordinario sui ghiacciai di Adamello e Presanella e i bastioni rocciosi del Brenta.

La Presanella

Non sono gli scorci più famosi e fotografati, quelli delle Bocchette e delle vallate che vi conducono; si tratta di cime un po' più rozze, ma ugualmente imponenti, sulle quali si avventurano pochissimi alpinisti. I sentieri che vi girano attorno sono frequentati più che altro da cacciatori, e dalle loro prede: i camosci, che scorrazzano numerosi su per i ghiaioni sterminati crollati da queste fragili montagne.


Dopo avere fatto quasi la coda per salire sul monte Disgrazia, cercavo qualcosa di meno impegnativo ma più selvaggio, e la zona del Vallon si è rivelata un'ottima scelta. Partito da Parma alle 5.15, entro nella val d'Algone verso le 8. Scambio due chiacchiere con il ragazzo che vende i permessi per la strada presso l'Albergo Brenta, e ottengo utili suggerimenti sull'itinerario che intendo seguire, decisamente fuori dalle classiche rotte escursionistiche.



Da Malga Movlina (1786) proseguo fino al bivio con il sentiero 341, che imbocco a destra addentrandomi nella val di Sacco. Il piacevole riscaldamento termina presso il Baito dei Cacciatori (1800) dove, ignorato il sentiero 341B per Malga Nambi, attraverso in direzione sud il campo appena dietro la costruzione. L'erba è già pestata, e presto compare la traccia di un vero e proprio sentierino, pure abbastanza pulito.

Baito dei Cacciatori

Il primo tratto è pianeggiante, nella vegetazione, per fortuna ancora all'ombra; poi la traccia si fa più confusa in prossimità di un ripido pendio di pini mughi. Conviene mantenersi il più possibile a sinistra, a distanza dal canale ghiaioso, che si attraversa più in alto possibile, laddove i mughi terminano. Una serie di traversi su terreno molto instabile mi mettono subito a dura prova: saranno una costante della giornata.

Inizio dei traversi verso il passo delle Ortiche. Il sentiero passa nella cengia centrale

Per fortuna c'è ancora ombra, garantita dalla Cima della Finestra (2618) sopra la mia testa. La traccia è abbastanza chiara e segue talora alcune cenge, e sotto una di queste trovo una pietra arancione luminosa incastonata fra altri sassi: davvero fiabesco come segnavia! Più avanti ne troverò altre, come in una sorta di caccia al tesoro.


Il terreno rimane ripido, spietato: per fortuna c'è qualche mugo pronto a offrirmi i suoi rami e le sue radici! Sono quasi le 11 quando raggiungo il Passo delle Ortiche (2081), vicino a una caratteristica guglia aguzza accanto a un'altra struttura rocciosa più tozza.


Di fatto mi trovo soltanto all'inizio della traversata. Paurosi precipizi sprofondano a valle, a monte torrioni e picchi si innalzano quasi volessero difendere i pezzi grossi di questa scacchiera di dolomia: la cima Padaiola e quella del Vallon (2969), il Re del gruppo.


Il sentiero scende dall'altra parte del passo, di nuovo fra i pini mughi ma ora al sole; poi incomincia a traversare in direzione sud-est alcuni campi, terrazzati da cenge appena accennate. Ci sono ora varie tracce parallele: io seguo la direzione intuitiva, cominciando a salire fino ad affacciarmi su un nuovo versante.

Avvicinandosi alla Busa delle Gere

Di fronte a me c'è ora l'impressionante Busa delle Gere, un larghissimo ghiaione dominato dalle pareti sud della Cima di Vallon: ai loro piedi, in cerca di un po' di ombra nei pressi degli ultimi scarni nevai, intravvedo i primi camosci della giornata.

Busa delle Gere, da quanto è grande non sta tutta nella foto: parte bassa (il sentiero passa sull'erba a destra)

Non intendo attraversare tutto il ghiaione - col caldo di mezzogiorno sarebbe una scelta da pazzi - ma mi porto alla sua base per poi costeggiarlo dal basso su terreno più erboso. Una nuova salita mi porta poi all'orlo di una nuova vallatina, ben più stretta, che termina proprio sotto il Passo di Forno (2241).

...e parte alta, con Cima Vallon

Per salirvi percorro all'inizio alcune cenge stando piuttosto basso; poi decido di salire i ripidissimi pendii erbosi alla mia sinistra, che mi danno più fiducia rispetto al canale sotto il passo. Una volta su posso riprendere il fiato ammirando il selvaggio, ampio Vallon, al quale sono diretto. Si tratta di una valle molto lunga, che attraversa tutto il gruppo con percorso sinuoso, dai 1200 metri del fondovalle fino ai 2800 del Passo di Vallon. Di fatto ora mi trovo all'altezza della sua metà.

Il gruppo di Cima Vallon visto dal passo del Forno

La discesa dal Passo di Forno si rivela complessa e molto pericolosa. La traccia ormai non si riconosce più: a logica continuerebbe a seguire le cenge molto esposte sulla mia sinistra, a ridosso della montagna: ma di nuovo preferisco mantenermi finché possibile sui prati. Il problema è che presto o tardi occorre per forza traversare, per raggiungere il fondovalle appena sotto un vastissimo ghiaione dove intravvedo la traccia. I prati infatti terminano su una ben più temibile scarpata.

Delicate cenge nella discesa dal Passo del Forno

Non ci sono più mughi pronti a darmi una mano ora, al più qualche piantina spinosa. Di fatto la progressione è legata all'equilibrio, alla leggerezza estrema di ogni passo, alla scelta attenta di quel poco che tiene in mezzo a questa scabrosa, perenne frana di materiale. Ritrovo la traccia presso una cengia, che almeno mi dà qualche presa buona per le mani. Attraversato l'ennesimo ghiaione "pulito" (sono quelli più delicati e scivolosi) finalmente ne trovo uno "sporco", pieno di sassi che a ogni passo posso permettermi di lasciar rotolare a valle senza farmi troppi patemi.

Il versante da cui scende il "sentiero": il passo è la piccola sella erbosa a sinistra

Sono sul fondovalle, sano e salvo: alcuni segni Cai, dopo tanto tempo, mi ridanno anche una spinta morale in più in vista della nuova, lunga salita del Vallon. Prima però scendo di un centinaio di metri in cerca di una sorgente di cui parlano le vetuste Guide dei Monti d'Italia. In mezzo a un terreno tanto arido l'acqua sembrerebbe un miraggio, ma quando ormai temo ne sia rimasto solo il ricordo, ecco, circondata da una vegetazione rigogliosa, la sorgente: luminosa, fresca, commovente. Quota circa 2000 metri.


Ne approfitto per mangiare, in compagnia di una curiosa farfalla e un ranocchio. E' l'una passata, la giornata è ancora lunga e sembra mantenersi stabile. Recuperate le forze, mi attende la salita in pieno sole del Vallon. Dopo gli equilibrismi sui sentieri di stamattina, questo risulta quasi una passeggiata; inoltre sono presenti segni di vernice che aiutano a non smarrire la traccia, comunque poco battuta.

Vallon, verso monte...

Ad ogni nuova svolta, salendo, si aprono conche grandiose, con ai lati ghiaioni sui quali corrono spaventati e sorpresi nuovi camosci. Il sentiero è tutto sommato rilassante, spesso in piano: passo la Busa del Vallon inferiore e quella superiore, che costeggio tenendomi sulla mia sinistra. Ormai sono in vista delle pareti che chiudono (così almeno credo) il vallone, e purtroppo finisce il relax.

...e verso valle

La traccia infatti si fa più debole fino a sparire, insieme ai segni di vernice che la identificano. Mi tocca così salire lo sterminato ghiaione nella direzione che mi sembra più logica, cioè verso sinistra. Di nuovo la progressione si fa faticosa, instabile, e le gambe non sono più fresche come prima. Tanti sassi rotolano a valle, i camosci probabilmente mi deridono mentre vedono che salgo con tanta fatica a quattro zampe dove loro probabilmente sono abituati a danzare!

Fatica pura!

A un certo punto, lasciatomi ormai a sinistra un primo salto roccioso, devo decidere se proseguire dritto verso le pareti o tenere la sinistra seguendo il ghiaione, che sembra diminuire di pendenza. Ricordandomi di un canale e non volendomi spostare troppo dalla linea logica di salita, scelgo la prima opzione: il venditore di permessi aveva parlato di un canale, e dalla base del ghiaione mi era sembrato di intravvederlo qui... devo superare un paio di salti, sono le cenge che bordano la montagna, e qui formano come un angolo: quasi meglio questa roccia, comunque insana, rispetto ai sassi mobili del ghiaione!

In verde la mia linea di salita, con il senno di poi non così logica

La provvidenza (che in montagna non dovrebbe mai intervenire...) mi fa ritrovare un segno rosso: la direzione era giusta, solo il diavolo sa dove salisse il sentiero abbandonato 100 metri sotto! I segni puntano alla parete, mi fanno passare da una cengia molto esposta con tetto (II grado) ed ecco finalmente il canale, incassato, ripido, dall'aria molto fragile. Probabilmente non è quello che mi diceva il rifugista, ma lo scoprirò soltanto all'uscita...

Inizio del canale

Percorrerlo ghiacciato con piccozza/e e ramponi è senz'altro più semplice e meno rischioso che non ora, con il fondo cedevole di polvere e ghiaia. Salgo affidandomi alla parete a sinistra, che fornisce appigli non sempre buoni, ma pur sempre appigli. A valle rotola di tutto, per fortuna non io. L'ultimissimo tratto di fatto è un diedro (II, una decina di metri), ma sempre meglio che procedere sui rottami che ho in mezzo ai piedi!

Fine del canale

Il canale non sbuca sul crinale come speravo, ma in una nuova conca, l'ultima di questa interminabile cavalcata del Vallon... e pensare che l'ho intrapreso soltanto da metà salita! Ormai però si distinguono gli intagli di quelli che penso siano i Passi Vallon Occidentale e Orientale (2800 circa). Dalle relazioni so che devo raggiungere quello a est, dal quale è possibile la discesa verso il rifugio XII Apostoli, mentre l'altro ha sotto delle pareti rocciose.

A sinistra il passo occidentale, a destra l'orientale. Il sentiero CAI sale probabilmente sul ghiaione a destra per poi raggiungere il passo tramite un altro canale (quello di cui mi parlava il bigliettaio).

Proseguendo nella stessa direzione, puntando leggermente a destra, raggiungo brevemente il valico che penso sia giusto: ecco l'alta val Nardis, con le sue vedrette ormai magre, il "Dodici" là in fondo appollaiato come un'aquila sul bordo dell'antica morena, e i primi 3000 del Brenta che fanno capolino a nord-est.



Mi fermo per recuperare le energie, convinto che la discesa sia facile... ma sotto di me precipita una parete dalla quale nessun sentiero, per quanto cattivo, può scendere. E' ormai chiaro che mi trovo sul Passo occidentale!

La Vedretta dei XII Apostoli dall'alto

Mi tocca dunque percorrere la cresta verso est. Ci sono segnavia bianchi e rossi che però spariscono subito mentre comincio a traversare mantenendomi sul versante del Vallon. Una cengia sembra condurmi direttamente sulla vedretta, ma la scarto perché troppo esposta. Poco dopo trovo una forcella con alcune scritte di vernice indecifrabili, e la battezzo definitivamente come il Passo di Vallon orientale.

Passo del Vallon Orientale

Secondo il piano originale avrei dovuto salire a cima Pratofiorito per poi scendere dalla facile vedretta, ma preferisco rinunciare alla cima e scendere direttamente, vista anche l'ora (16.30). Sotto di me c'è una vedretta, di cui vedo un'interruzione a metà... i segni di vernice mi danno l'idea di indicare la discesa, che sembra fattibile, e anche se non c'è alcuna traccia - non è una novità oggi - scendo.

Campanile Alto

Il pendio è ripido (30° / 35°) ma la neve molle facilita la discesa con i soli bastoncini. Raggiungo presto l'interruzione, che come temo è una paretina, bassa e non ripida ma percorsa dalle cascate dell'acqua che fonde dalla vedretta. Butto i bastoncini 4 metri sotto e disarrampico, attenzione massima, qui gli errori non sono consentiti... la parete continua ma è più semplice, e appena posso mi trasferisco sul ripido nevaio a destra (anche lui sui 35°) e mi tolgo dalle difficoltà.

Vedretta dei XII Apostoli e Passo di Vallon orientale

Laggiù in fondo scorgo la traccia, e proseguendo un poco capisco anche da dove proviene: quella che ho disceso era la Vedretta dei XII Apostoli, dalla quale non passa alcun sentiero... la Vedretta di Pratofiorito, percorsa dal sentiero segnato per il rifugio Agostini, era più avanti (a destra, a est), e per accedervi dall'alto facilmente avrei dovuto salire l'omonima cima. Un errore stupido, che guardando con un po' di distanza i posti da cui sono sceso non avrei dovuto compiere!

La Vedretta di Pratofiorito

Continuando a traversare i pendii rocciosi modellati dal ghiacciaio, raggiungo la suddetta traccia, segnata a ometti, che segue a lungo il nevaio su pendenze ormai dolci, per poi puntare diretta al rifugio XII Apostoli (2489). Rivedo dopo tante ore degli esseri umani, e per prendermi beffa di tutta la wilderness della giornata mi concedo niente meno che una lattina di Coca Cola, godendomi il sole ai tavoli e lo splendido panorama.

Il XII Apostoli dall'alto...

La discesa a fondovalle lungo la "Scala Santa" è una caduta nel caldo, accelerata da qualche corsa giù per i ghiaioni: mi getterei volentieri in un torrente, ma una volta a valle, nel grazioso Piano del Nardis, scopro che l'acqua non c'è, sicuramente risucchiata dall'infame sottosuolo carsico di queste rocce calcaree. Alle mie spalle il rifugio Dodici Apostoli, che un paio di ore fa osservavo dall'alto, adesso si affaccia piccolo piccolo da un balcone roccioso che sembra chissà dove.

...e dal basso

Al bivio seguo il sentiero 307 per Malga Movlina, salendo brevemente in un bel bosco di larici. Il sentiero diventa comodo, ombroso, pianeggiante: davvero un toccasana per le gambe dopo tanti sassi. Presto mi sono concessi begli scorci sul Lago di Val d'Agola, le cime nord del Brenta, i soliti Adamello e Presanella. Mi immetto poi nel 354, che seguo a sinistra fino al vicino Passo del Gotro (1848), rientrando così in val d'Algone.

Lago di val d'Agola

Ultima sorpresa: un gregge di capre, non sorvegliate da pastori né cani, si spaventa al mio passaggio, e comincia a dirigersi frettolosamente verso Malga Movlina. Non c'è maniera di seminarle o aggirarle, sembra proprio che le capre vogliano rientrare in compagnia stasera. Una volta alla malga si mischiano con le mucche, tutte assiepate attorno alla fontana dove stamattina avevo riempito la borraccia.

Meee meee beee eeee

Sono le 19 passate, l'aria è fresca e pulita, quanta voglia di fermarsi in questa valle meravigliosa... ma gli impegni, la fretta, la gravità mi riportano giù nell'afosa pianura, a tutto gas per arrivare al metano di Rovereto prima della chiusura. La giornata si concluderà dopo 19 ore con una lauta cena e lautissima dormita!

Muuu

martedì 28 luglio 2015

Monte Disgrazia, via normale. La sottile cresta rossa in mezzo al granito

Data uscita: 11 e 12 Luglio 2015
Punto di partenza: Parcheggio Preda Rossa (1955)
Punto più elevato: Monte Disgrazia (3678)
Dislivello in salita: 1700
Tempo totale di percorrenza: 1,5 / 2 h da Preda Rossa al rifugio Ponti; 4 - 5 ore dal Rifugio Ponti alla vetta; 4 - 5 ore per la discesa al parcheggio
Grado di difficoltà: PD+: ghiacciaio, pendio a 45°, cresta esposta con passaggi di II e traversi su neve
Punti d'appoggio: Rifugio Ponti (2559), bivacco Rauzi presso la vetta
Periodo consigliato: Inizio estate
Note segnaletica: Ottima Cai fino al rifugio Ponti, ometti fino al ghiacciaio, poi tracce
Accesso stradale: Da Cataeggio seguire le indicazioni per i Rifugi Scotti e Ponti; la strada è percorribile acquistando un permesso giornaliero di 5 euro, in vendita nei bar della valle.
Note: foto con asterisco di Mario Brunelli

Sulla cresta ovest *
Quanti sguardi, nelle mattinate serene, tesi a scrutare i particolari di quelle cupole di roccia e neve ordinate in fila da nord a ovest, a dare una misura, un senso alla pianura. Dopo averle tanto guardate, ho imparato a riconoscerle, almeno le più importanti: il Disgrazia ad esempio appare massiccio, isolato, più vicino rispetto ai ghiacciai del Bernina alla sua destra.

Disgrazia al tramonto *

Da tempo con Mario attendevamo l'occasione di compiere un'escursione impegnativa in alta quota, il più possibile completa, senza andare oltre alla nostra - e specialmente mia - scarsa esperienza. Il Disgrazia è stata una scelta un pizzico ambiziosa: abbiamo accusato la fatica, la tensione dei lunghi tratti delicati, forse anche la quota; ma è valsa la pena di spingersi vicino ai propri limiti per godere degli scenari grandiosi tutt'attorno e sotto di noi.


Avevo già ammirato dal basso il Disgrazia questa primavera, nella cornice incantata della val di Mello; questa volta, volendo salire dalla via normale, lo rivediamo improvvisamente in fondo alla valle di Preda Rossa, risalita dalla lunga e ripida strada di Sasso Bisolo.

Valle di Preda Rossa

Già a pochi passi dal parcheggio (1955 m) ci si presenta uno scorcio a dir poco straordinario: siamo all'inizio di una grande piana, fiancheggiata da boschi di larici; sulla nostra sinistra si innalzano cime grigio scure di granito, a fare da spartiacque con la val di Mello; a destra invece le montagne appaiono rossastre, formate da rocce chiamate serpentini: sono i Corni Bruciati e la lunghissima cresta di Cornarossa, diretta al Monte Disgrazia, il quale chiude la valle dominando il ghiacciaio di Preda Rossa.

*

Attraversiamo la piana su un comodo sentiero pianeggiante, ideale per fare amicizia con i nostri zaini davvero pesanti. Sono quasi le 18, ma il caldo è soffocante nonostante i 2000 metri di altezza. Ce ne accorgiamo quando il sentiero comincia a salire, costeggiando il fiume freschissimo che sgorga dal ghiacciaio, e si getta nella piana sotto di noi dove si riposa in uno splendido gioco di anse.

Acqua di fusione di ghiacciaio, e si apprezza!

Oltrepassiamo un altra breve piana alluvionale, per poi salire con più decisione su un dosso erboso sulla destra orografica del fiume. Gli alberi terminano, ma l'aria mano a mano si fa più fresca, il paesaggio attorno a noi cambia le sue tinte pacate per assumere quelle tipiche degli anfiteatri glaciali racchiusi fra le cime granitiche del Masino.

In arrivo al rifugio Ponti

Al rifugio Ponti (2559 m) arriviamo verso le 19.15, giusto in tempo per la cena. Ci sono più persone di quante pensassi, tutte (o quasi) con in programma il Disgrazia per domani. Alle 21.45 siamo gli unici a non essere ancora andati a letto, godendoci le ultime luci del tramonto dietro le Orobie, e i massi di granito sotto il rifugio ancora tiepidi del sole raccolto tutto il giorno.

I Corni Bruciati, sulla sinistra il Disgrazia

Il Ponti è una struttura nuova e accogliente, dotata di tutti i servizi, i letti a castello posti lungo un corridoio e separati uno dall'altro da pannelli in legno. Già alle 3.30 si comincia a sentire il formicolio di chi vuole partire presto; ma poco dopo le 4 la sveglia arriva inesorabile per tutti: il rifugista attacca il generatore e luce fu per tutti i corridoi!

Forse forse si dormiva anche fuori! *

Colazione spartana, e alle 5 siamo in cammino, con la stessa luce fioca di 7 ore prima. Costeggiamo i pendii detritici alla destra del rifugio, attraversiamo il torrente su un ponte di neve e subito dopo saliamo decisamente a sinistra (indicazione monte Disgrazia su un masso, proseguendo si raggiunge invece l'ex rifugio Desio.)


Rimontiamo una sorta di cresta morenica, formata dagli sfasciumi accumulati sul suo lato sinistro dal ghiacciaio di Preda Rossa. Il sentiero risulta molto comodo e con il fresco del mattino procediamo di buon passo, nonostante gli zaini siano ancora pesanti. Il Disgrazia con il suo ghiacciaio un po' agonizzante esposto a sud, sembra aspettarci pazientemente, mentre alle sue spalle fa capolino la luce rosa dell'alba.

L'evidentissima traccia sui depositi morenici. Orobie sullo sfondo *

Attorno alle 6.15, preceduti da altre due cordate, raggiungiamo il ghiacciaio. E' la prima volta per me sulle nevi perenni, e mi sorprende subito l'aspetto a ondine del manto bianco, sembra uno di quei pannelli per insonorizzare le sale prove... Con Mario attrezziamo una conserva a 10 metri, forse un po' accademica vista la traccia marcata e le pendenze moderate, ma a nostro giudizio necessaria in un ambiente simile.

Ghiacciaio di Preda Rossa. Sulla destra il canale Schenatti, dietro Mario il "canalino" della normale

Un gruppo nutrito di tedeschi presenti al rifugio nel frattempo ci supera, un altra cordata diretta al Canale Schienatti è poco dietro di noi. Sembrano tutti formichine che salgono piano piano a zig zag nel ghiacciaio tutto in ombra. La traccia si mantiene abbastanza vicina alle rocce sulla destra orografica del ghiacciaio, che aumenta progressivamente di pendenza (circa 30°) fino ad una piana posta sotto la Sella di Pioda, con una striscia ordinata di rocce in cresta che ricorda le barriere artificiali di scogli. Poco sotto c'è la terminale del ghiacciaio, ben coperta di neve ma riconoscibile dall'alto.

*

Notando che nessuno affronta la cresta direttamente dalla sella, ma tutti salgono dal primo breve pendio-canale - riconoscibile per un masso al centro - decidiamo di fare così anche noi. Man mano che saliamo capiamo il motivo per cui le formichine si muovevano tanto piano sul ghiacciaio: la progressione è faticosa, forse anche la quota si fa sentire... è solo la quinta volta per me oltre i 3000.

La vista si apre sulla val di Mello *

Per raggiungere il canale, una volta che la pendenza cala la traccia traversa decisamente a destra, per poi impennarsi fino a circa 45 gradi poco prima dell'uscita, con un delicato passaggio su rocce marce... chissà come mai nessuno, e dunque nemmeno noi, ha pensato di aggirarle da destra? Le strane mode arrivano fino a quassù!

Il pendio e l'inizio della cresta ovest

Il canale sbuca in un caratteristico colletto (circa 3400 m), affacciato sul baratro del versante nord, con la ben più severa e crepacciata Vedretta del Disgrazia. Una successione di creste meravigliose la circonda, e sullo sfondo compare finalmente il gruppo del Bernina, con i suoi ghiacciai e i suoi picchi apparentemente inespugnabili.

Versante nord del Disgrazia e cresta della Corda Molla

Sono circa le 9, abbiamo tutto il tempo di affrontare con calma il tratto più delicato della salita, cioè la cresta nord-ovest, percorsa dalla via normale. Sono caratteristici i segni dei ramponi sulle rocce, che fanno come da guida verso la cima in un ambiente decisamente poco addomesticato, senza alcun segno di vernice od ometto di pietra. Ma gli uomini in carne ed ossa oggi salgono e scendono numerosi, godendosi la calda giornata di sole.


Continuiamo a salire in conserva, sfruttando di volta in volta i numerosi spuncioni come assicurazione più psicologica che altro. Quasi tutti salgono slegati, ma in certi punti occorre davvero molta sicurezza, vista l'esposizione notevole, le rocce non sempre ferme, qualche passaggio di I e II grado.

*

La tentazione di togliersi i ramponi è forte, ma sappiamo che a 3500 metri non si può... e facciamo bene, siccome incontriamo tre traversi, di cui uno ghiacciato e particolarmente insidioso che preferiamo superare uno alla volta con mezzo barcaiolo e soste improvvisate.

Il traverso chiave

Il tempo vola, la cresta è lunga, il fiato e le gambe non sono più quelle di stamattina... ciononostante la concentrazione va tenuta sempre al massimo, anche perché l'errore di uno - spietata legge della conserva - coinvolge anche l'altro; responsabilità, pazienza nel cercare gli spuncioni giusti e i passaggi più sicuri... in questo Mario all'andata si dimostra più diligente che non me al ritorno!

Tratti di I grado, sullo sfondo il traverso di prima *

Dopo il traverso delicato (sul versante Preda Rossa) una lunga salita con tratti sostenuti di I e II ci riporta sul filo di cresta, con un passaggio davvero esposto e adrenalinico. Nuovo traversino su neve, nuova salita su sfasciumi e finalmente raggiungiamo l'anticima. Dalla vetta vera e propria ci separa un gendarmotto alto 4 o 5 metri piantato giusto in mezzo alla esile cresta.

La vetta vista dall'anticima. Davanti a Mario l'ostacolo finale

Sono tre o quattro movimenti su prese buone e tacchette adatte ai ramponi, ma è comunque un III grado esposto a 3600 metri, e preferiamo farlo in sicura! A questo punto la vetta è a un passo, tutte le cime dell'alta Valtellina rimaste nascoste sfilano di fronte a noi, mentre dall'altra parte le cime fra val Masino e Bregaglia, regno del granito, sconcertanti se viste dal basso, appaiono così piccole da quassù.

Gruppo del Bernina *

Verso sud est nuove creste rosse si dipanano, piccole vedrette, laghi di un azzurro preziosissimo... la vetta è piccola, siamo una decina scarsa di persone, bisogna sfruttare bene gli spazi: e fa uno strano effetto quando vedi tanto spazio tutto attorno!

Verso est

Se ci fosse una giornata tersa probabilmente vedremmo quasi tutte le Alpi e l'Appennino settentrionale; l'occhio invece riesce a spingersi più lontano verso nord, con i picchi e i ghiacciai svizzeri a noi del tutto sconosciuti.

L'aria è leggera!

Sono le 11 passate, la cresta ci ha richiesto molto tempo e ora bisogna scendere con la stessa, se non maggiore attenzione. Il cielo sta anche cominciando ad annuvolarsi, e preferiamo non correre il rischio di riattraversare il ghiacciaio con la nebbia.

Discesa laboriosa sopra le nuvole *

Forse una sosta più lunga avrebbe giovato, siccome dopo metà cresta comincio a sentirmi poco bene. Mi rendo però conto di quanto sia importante uscire in fretta dalle difficoltà, quindi cerco di raccogliere tutte le energie per arrivare al colletto.

La vedretta del Disgrazia (sotto la parete nord)

Qui però necessito di una pausa, provo a inghiottire qualcosa e tolgo il casco che mi dà un po' fastidio. Però c'è vento, il vento porta il freddo, fermarsi a lungo è improponibile, anche perché quasi tutti ormai sono già scesi. Così percorriamo a ritroso il pendio breve ma ripido, affondando le mani nella neve ormai molle, testando tutta la permeabilità dei nostri guanti.

Il pendio-canale in discesa *

Il peggio è passato, la pendenza cala, per fortuna non c'è né la nebbia né il sole battente sul ghiacciaio. Possiamo riprendere di nuovo il fiato. Faccio per togliermi il casco e scopro che invece ho in testa solo la cuffia... il cervello è rimasto sul colletto insieme al casco rosso, compagno di tante salite!

Serpentiniti in mezzo al granito, anche i caschi faranno loro compagnia

Pazienza, ormai su non ci torniamo più di sicuro. Scendiamo fino al limite del ghiacciaio, vogliosi di toglierci imbrago e ramponi che cominciano a pesare. Sono decisamente stremato, provo a coricarmi ma il malessere non passa... Mario che sperava di fermarsi a mangiare qui, deve cambiare i suoi programmi appena mi metto a vomitare di brutto sulla neve, quasi un gesto di sdegno verso la discesa e il furto del casco!

Il Disgrazia incappucciato

Avendo già avuto anni fa una brutta esperienza in alta quota, preferisco spostarmi in fretta verso il rifugio, dove nel caso avrei più possibilità di essere soccorso. Così ho anche una scusa per sbolognare a Mario la corda, che all'andata era spettata a me! Le vomitate si sono rivelate un toccasana, e mano a mano che scendo ritrovo le energie. Arriviamo al rifugio e mangiamo i nostri panini rimasti nello zaino, ora è Mario che patisce forte mal di testa... io mantengo però un diritto di precedenza, essendo stato peggio e dovendo guidare fino a casa, quindi gli tocca tenersi la corda, su uno zaino arricchito anche dal materiale recuperato in rifugio!


Nello scendere, dopo il freddo patito sul ghiacciaio, ci godiamo il caldino via via superiore; fissiamo con trepida attesa la piana con il fiume, aspettando di pestare qualcosa di morbido, di pianeggiante! Fa specie che quando sei in pianura o in fondovalle hai tanta voglia di salire in quota, e una volta salito in quota fremi di tornare giù... piacer figlio d'affanno! Una volta in coda fra Lecco e Milano però non avremo dubbi su dove si stava meglio.

Come il fiume, torniamo sempre a valle