venerdì 26 dicembre 2014

Val di Funes quasi sulle ciaspole: col di Poma da Malga Zannes

La magia delle Dolomiti comincia nel profondo della valle: la strada segue come può il corso che il fiume si è scavato fra rupi sinuose. Con un tettuccio di vetro potremmo ammirare meglio il castello che sorveglia dall'alto l'imbocco della vallata, in perfetto stile alto-atesino; ma ci basta il parabrezza, nell'attesa che dopo l'ennesima svolta il paesaggio si apra sulle Odle, coi loro spigoli dall'eleganza sfacciata a svettare sull'orizzonte della val di Funes: in perfetto stile dolomitico.


San Pietro, Pizzago e Santa Maddalena, patria di Reinhold Messner: baite e chiesette sparse per i campi, scorci da cartolina. La stagione non è certo la più felice per trovarsi qui: non basta l'ombra del mattino, tutto è stinto e senza neve salvo quella sparata da qualche isolato cannone sull'erba secca, per garantire almeno qualche metro di pista agli avventori natalizi. Chiazze bianche che viste dall'alto sembrano campi da golf in negativo: un'immagine piuttosto patetica!


Qualche chilometro di strada tortuosa ci porta a Malga Zannes, 1685, dove lasciamo l'auto e ci incamminiamo nel bosco lungo il sentiero 25; di neve ce n'è, ma troppo esigua per partire subito con le ciaspole; le Odle, dominate dai tremila-per-un-pelo della Furcheta e del Sass Rigais, ci stanno ora letteralmente sopra la testa, nascondendoci il sole per buona parte della salita.


Ci manteniamo sulla destra idrografica del Rio Caseril (sentiero 31), superiamo un pianoro pieno di alpeggi in legno, e presto ci appare aguzza la cima del Col di Poma / Zendleser Kofel, posta fra le due biforcazioni finali della valle: è lassù che siamo diretti. Dopo Malga Caseril (1920) possiamo finalmente fermarci al sole: ci sorprende il contrasto fra la neve che ormai copre tutto il terreno a fondo valle e i versanti ripidi e spogli esposti a sud, dove l'inverno sembra essere venuto e scappato con la velocità di una valanga.


Altre meravigliose costruzioni in legno ci danno il benvenuto a Wornde Locham, l'ultimo alpeggio della valle. Da qui in poi il paesaggio si fa meno addomesticato, con massi erratici coperti di neve e le pareti a nord del Col di Poma solcate da interessanti canali; mano a mano che saliamo però la nostra meta mostra versanti sempre più dolci ed erbosi, solcati dal passaggio di sci e snowboard.


La neve ormai è abbastanza alta, e dovendo puntare alla cima per la via più logica ci perdiamo le tracce sul sentiero, finora numerose... è il momento di mettere le ciaspole, rimaste anche troppo tempo sullo zaino. Pensando di trovare meno neve però ne abbiamo portate solo cinque paia per sei persone, pensando che l'ultimo trovasse già un'autostrada spianata... in realtà le cose non sono andate proprio così, e mentre qualcuno, spinto dall'ingordigia di battezzare il pendio vergine, è subito partito a razzo, qualcun altro più generosamente ha prestato le proprie ciaspole a chi non le aveva e procedeva con un po' di fatica.


La salita comunque è breve, e senza difficoltà raggiungiamo tutti la bella cima del Col di Poma (2422): dietro la croce affacciata sulla val di Funes si scorge tutta la sfilata bianca delle Alpi Retiche dall'Adamello fino al Wildspitze; dalla parte opposta qualche prezioso picco dolomitico visto da un'angolazione nuova (nessuno riconosce la Tofana di Rozes, ci è voluto Peakfinder...); e in primo piano sempre loro, purtroppo tutto il giorno controluce: le Odle.


Scendiamo costeggiando una scenografica recinzione che segue il filo del crinale, per poi planare sul vicino Rifugio Genova (2306). Abbiamo la fortuna di trovare un gabbiotto in legno con tavolo e sedili, protetto da vetrate, e ancora al sole: non potevamo chiedere di meglio per affettare pane e sfoderare speck e formaggio comprati a valle!


Più laborioso il problema dolomitico del Tappo del Teroldego, rimasto di fatto irrisolto in quanto il nostro amico di silicone è finito nella bottiglia dopo essere stato lacerato da colpi di coltello, fornendo un aroma non proprio consono a questo rosso, freddo di Odle ma ancora buono. Emil Solleder, a ritorno dalla sua impresa sulla nord della Furchetta nel 1925, avrà fatto senz'altro meno fatica a stappare la sua bottiglia: allora i coltellini erano di gran lunga migliori (e forse anche il Teroldego).


Dopo pranzo scendiamo per la via più diretta, il sentiero 32. Il sole cala insieme a noi, e ce lo godiamo mentre si affaccia dalle più alte fenditure fra le Odle a darci l'ultimo saluto per questa giornata magnifica. Prima di ributtarci sulla noiosa autostrada del Brennero, per fortuna poco trafficata, facciamo un giro ai graziosi mercatini di Chiusa Val Gardena, dove incontriamo niente meno che un cammello... poveraccio, a stare così al freddo, deve avere trangugiato litri e litri di cioccolata calda.

Dati escursione:
Punto di partenza: Malga Zannes (1680)
Punto più elevato: Col di Poma (2422)
Dislivello in salita: 750
Tempo totale di percorrenza: 5 ore
Grado di difficoltà: E
Segnaletica: Ottima
Punti d'appoggio: Rifugio Genova (2306)



sabato 13 dicembre 2014

Vallee Etroite e Mont Thabor: cavalcando le Alpi Cozie sulle ciaspole

A Occidente, dove il sole tramonta dietro grappoli sconfinati di cime altissime a me quasi sconosciute; dove valli selvagge si affiancano a quelle più sfigurate da impianti e piste da sci, con paesi a 2000 metri pieni di casermoni stile sovietico; a occidente abbiamo deciso di vivere fino all'estremo bagliore di luce la prima escursione sulla neve della stagione.

L'alta valle Etroite: a destra innevato il Tabor, a sinistra le rocce di Gran e Petit Serù

Non abbiamo voluto fare le corse, così ci siamo presi due giorni, in occasione del "ponte" dell'Immacolata. Spinta fondamentale a venire in Valle Etroite (Valle Stretta) è stata l'apertura del Rifugio Terza Divisione Alpini, ancora raggiungibile in auto grazie - o per colpa, punti di vista! - a un inverno che tarda ad arrivare.

Les Granges de la Vallee Etroite

Ma sopra i 2000 metri la neve non si è fatta desiderare sulle Alpi piemontesi; e lungo l'autostrada, usciti dal tappo di nebbia poco oltre Torino, la loro sagoma bianca ci ha dato il benvenuto, illuminata da un sole che non vedevo da almeno una settimana. Facciamo rifornimento di formaggi a un banco ambulante nel grazioso borgo di Salbertrand, poi sopra Bardonecchia oltrepassiamo il confine con la Francia - più politico che reale - e risaliamo la Valle Etroite fino al rifugio, pieno di gente che ancora sta pranzando.

Il borthetto di Salbertrand e il tavolo prescelto per i formaggi 

Sono le 14 ma la bassa valle è già in gran parte avvolta dall'ombra, e soffia un vento molto freddo... almeno per noi venuti da un novembre in pianura con temperature sempre altissime. Ci cambiamo e copriamo a dovere per un giretto rilassante nei dintorni: il Monte Tabor ci guarda da lontano, da molto lontano, tutto bianco con la sua cappelletta in cima.


Raggiungiamo il piccolo Lac Vert, Lago Verde: uno dei tanti con questo nome, che però appare davvero verde, forse per via degli abeti che lo circondano, in una conca dove il sole batterà cinque minuti al giorno... ciononostante qualche fenomeno si arrischia a misurare su di sé la temperatura delle acque.


Prima del buio torniamo al calduccio del rifugio, che nel frattempo si è svuotato: saremo soltanto noi cinque e altri due escursionisti, diretti anche loro al Tabor, a passare qui la notte. Cena abbondante e di qualità, qualche utile chiacchiera col rifugista e alle 22 tutti a nanna; ore 6 colazione, anch'essa generosa, e ai primi bagliori timidi di luce ci incamminiamo fra il silenzio delle baite lungo lo stradello che risale la valle.


Saliamo, e l'autunno lascia progressivamente posto all'inverno, mentre l'alba imminente tinge di rosso qualche nube filamentosa, avvolta attorno ai bastioni di dolomia alla nostra destra.


I primi raggi ci colpiscono alla Maison du Chamois, la Casa dei Camosci, che vedremo poco dopo affacciarsi sospettosi da rocce non lontano da noi - neanche in questa stagione si può stare in pace, eh?

Maison...

...et chamois

Raggiungiamo un ponticello di legno dove indossiamo le ciaspole: alcune tracce proseguono costeggiando il fiume, altre attraversano il ponte: sono quelle dei due escursionisti partiti stamattina un po' prima di noi dal rifugio. Consultata con un po' troppa leggerezza la cartina, optiamo per la seconda soluzione, salendo con decisione su tracce incerte fino ad un vallone sotto la cresta del Petit Serù.


Perdiamo tempo prezioso a cercare l'itinerario migliore per raggiungere una selletta, poi dopo un breve traverso (posto da evitare con rischio valanghe!) ci ritroviamo su un terreno più facile e ondulato, ai piedi delle imponenti pareti del Serù. Le nubi vanno diradandosi con l'aumentare della temperatura, e finalmente appare la cima del Thabor ancora abbastanza lontana: gli sguardi già cercano l'itinerario più logico per raggiungerla.


Procediamo con numerosi saliscendi fino al Plan du Diner, circa 2600 metri, dove ritroviamo le tracce perdute al ponte: è ora evidente che il sentiero si manteneva sul fondovalle, mentre noi ci siamo inutilmente complicati la vita! Inizia qui una vera e propria Via Crucis, contrassegnata da croci in ferro che sbucano dalla neve rivelandosi buoni punti di riferimento.

In primo piano il Grand Seù
Inizia anche la salita, quella vera, che complice la quota e la distanza già percorsa si fa sentire sempre di più passo dopo passo. La pendenza va aumentando sino ad alcune rocce fra cui scendono brevi canaloni. Scegliamo l'itinerario che ci sembra più logico, puntando diretti ad una croce sopra di noi; in realtà il canale a destra, più incassato, è molto meno ripido: comunque siamo ai limiti del ciaspolabile!


Guadagniamo quota con fatica, ma il panorama ci regala ad ogni metro nuove sorprese. Fabio Giancarlo e gli altri due escursionisti si accontentano, anche per non tirare troppo la corda; io Mario e Marco proseguiamo, la vetta ci sembra ormai a portata di mano... in realtà manca ancora un bel pezzo, almeno in termini di sforzo fisico: non ci capita spesso di muoverci sopra i 3000 metri, specialmente dopo essere partiti da 1700.

Into the white!

Nell'ultima rampa personalmente mi avvicino al limite, anche perché il tempo stringe e non ci è concesso di fermarci troppo a lungo per riprendere il fiato: respiri profondi, sincronizzati ad ogni passo, la cappelletta potrebbe essere un bar pieno di birre gelate e brasiliane vestite d'azzurro in mezzo a un deserto, invece è solo la vetta del mio primo 3000.


Anzi non è neanche la vetta, siccome una volta arrivati vediamo che c'è ancora un pezzetto di montagna; piccolo per fortuna, ma a questo punto anche pochi passi fanno la differenza!
Giusto il tempo di qualche foto veloce, ci raggiunge anche Marco che per un attimo aveva pensato di lasciar perdere.


attorno a noi lunghe sequenze di montagne si dileguano all'orizzonte in ogni direzione. La neve presente un po' ovunque ci rende difficile individuare i "giganti", ma sappiamo che almeno tre quattromila di prim'ordine ci stanno guardando dall'alto: la Barre des Ecrins, la più vicina, il Gran Paradiso e il Cervino.


Purtroppo l'orario non è dalla nostra parte, dobbiamo scendere velocemente: come al solito prendo un po' troppa confidenza con le ciaspole in discesa, e una volta sul ripido le mie due facciate non me le leva nessuno... per fortuna sul morbido! In breve siamo di nuovo al Plan du Diner, sono le 14.30 e possiamo permetterci un panino.


Intuiamo che Fabio e Giancarlo sono scesi per il percorso di andata (li avevamo intravisti dall'alto già distanti), mentre noi preferiamo mantenerci sul sentiero giusto, che sta in fondovalle, seguito da diverse tracce sia di oggi sia di ieri. La scelta si rivela giusta, siccome la via è più logica e con una pendenza più regolare.


La luce si fa più calda, le ombre più lunghe, dopo l'ultima discesa in campo aperto ci tocca salutare il sole: oggi è stato in cielo per poche ore, ma le abbiamo sfruttate bene! Raggiungiamo un ponticello al centro di un ampio pianoro (Prat du Plan, 2208, nome eloquente): qui si uniscono i tre ruscelli che danno vita al Ruisseau de la Valle Etroite, e qui saremmo dovuti passare se al mattino avessimo consultato la cartina con più attenzione, senza attraversare il primo ponte sulla nostra strada!


Dopo breve ci leviamo le ciaspole e la lunga strada di ritorno ci riporta al rifugio ormai in chiusura. Ancora più lunga la (auto)strada di rientro a casa, ma non tutti dormirono e vissero sempre felici e contenti. Thabor.


Dati Escursione
Punto di partenza: Rifugio Terzio Alpini (1780)
Punto più elevato: Monte Tabor (3178)
Dislivello in salita: 1400
Tempo totale di percorrenza: 9 ore  
Grado di difficoltà: EE
Segnaletica: Buona, traccia molto frequentata
Punti d'appoggio: Maison du Chamois
Accesso stradale: Il rifugio normalmente in inverno è raggiungibile solo a piedi, siccome in presenza di neve la strada è chiusa sopra Bardonecchia.