lunedì 23 novembre 2015

Via Detassis al secondo torrione della Corna Rossa. Arrampicare in Brenta a novembre

Immagina se ancora fosse vivo: a passi lunghissimi entra in una palestra di Boulder, il fumo della pipa fra la barba lunghissima riempie lo stanzone, ragazzini tossiscono... tre colpi di bastone, cala il silenzio:
 << Se rampega prima cola testa, po' coi pei, e sol ala fin cole man!>>

Stavi per chiudere un blocco difficile, l'ultimo movimento per afferrare il top, quando ti accorgi con la coda dell'occhio di questa figura oltretombale, e ti viene a mancare il respiro: sbagli, cadi... ma non trovi il solito materasso, continui a volare, sempre più a lungo, sempre più veloce; l'accelerazione smisurata ti fa attraversare nuvole, galassie, decenni, finché davanti ai tuoi occhi non scorrono pareti di dolomia.

Ed è qu che atterri, su un esile terrazzino, una fune di canapa legata attorno alla vita: 50 metri sopra di te Bruno Detassis, ancora giovane e prestante, ti invita a salire, facendoti sicura a spalla. La corda sale quasi dritta, giusto un paio di chiodi ne indirizzano il tragitto. Tu cerchi di affrontare la parete seguendo la linea verticale, ma Bruno dall'alto ti grida di seguire quella cengia fin dove puoi, poi salire in diagonale, senza farti ingannare dalla placca sopra di te.

Non riesci a leggere la parete, sali d'istinto cercando le prese migliori, ed ecco che ti ritrovi sotto uno strapiombo... e non c'è verso di passare. Provi, riprovi, ma gli appigli sono troppo lontani. Di nuovo molli, non ce la fai più! La corda è in tiro, ma uno spuncione tagliente la lacera, voli di nuovo, riattraversi lo spazio e atterri sul materasso famigliare, le prese di resina robuste e colorate sopra la tua testa.




Dati della via
Data uscita: 7 novembre 2015

Punto di partenza: Parcheggio Vallesinella (1513)

Durata: 6,5 / 7 h (1,5 avvicinamento, 3,5/4 la via, 1,5 rientro)

Dislivello in salita: 575 avvicinamento, 250 la via

Grado di difficoltà: D (IV, un passaggio V-)

Chiodatura: Alpinistica, chiodi ben presenti ma non sempre affidabili nei passaggi più difficili. Soste quasi tutte su due chiodi. Un paio di varianti spittate raddrizzano la via.

Punti d'appoggio: Rifugio Graffer abbastanza vicino al termine della via (aperto tutto l'anno)

Esposizione della via: sud

Prima salita: Bruno e Nella Detassis, settembre 1942

Periodo consigliato: Da maggio a ottobre, se fa caldo anche dopo, come nel nostro caso!

In sosta. Sullo sfondo lo spigolo su cui corre la via Detassis Vidi

Avvicinamento: Dal parcheggio di Vallesinella (a pagamento nei mesi estivi, non a novembre) seguire il sentiero diretto al rifugio Graffer. Si superano gli alpeggi di Malga Vallesinella di Sopra, il bosco si fa più rado e ci si trova ai piedi della Corna Rossa. Il sentiero (segnavia 382) svolta bruscamente a sinistra, e lo si abbandona seguendo un faticoso ghiaione verso le pareti. Imboccare una traccia sul prato puntando al secondo torrione, più piccolo del primo. La via attacca sulla destra del secondo torrione, nei vicino a un profondo canale.

Faticoso avvicinamento fra i mughi

Racconto
Attraversare in novembre Madonna di Campiglio è un po' come vagare per la città nel pieno di quegli agosti di non tanti anni fa, quando ancora la maggior parte dei comuni mortali era tutta in ferie. Qui le cose non sono ancora cambiate: la gente in vacanza preferisce venirci d'estate e inverno, tutta assieme; e gli operatori del turismo si adeguano volentieri.



C'è già la didascalia!

Il risultato è che nelle stagioni morte, come ottobre e novembre, alberghi impianti e rifugi (salvo rare eccezioni) restano chiusi, e questi splendidi luoghi rimangono appannaggio di pochi amanti della montagna. In genere escursionisti affascinati da colori caldi e cieli limpidi, ma pure qualche alpinista in cerca di pareti baciate dal sole. Ci sarebbero anche i cacciatori, ma non li annovero fra gli amanti della montagna.

Autunno in Brenta * (foto Mario)
Arriviamo al parcheggio di Vallesinella poco dopo le 9, e scopriamo con piacere che non dobbiamo pagare alcun obolo: i gabbiotti sono chiusi e il parcheggio è quasi vuoto. Mario ricorda con amarezza quel giorno dello scorso agosto in cui, diretto al Campanile Basso, non trovò posto qui e dovette lasciare l'auto in paese a Madonna - con relativa pettinata - per poi ritornare su in autobus!

La Corna Rossa *

Ci incamminiamo, fa fresco e il cielo è velato; le pareti della Corna Rossa sono ancora all'ombra, sovrastate da quelle ben più imponenti di Castelletto e Cima Sella. Raggiunta la Malga Vallesinella di Sopra, finalmente le velature si diradano, il sole inonda la valle con i larici ancora gialli; sullo sfondo scintilla il ghiacciaio dell'Adamello, con le piramidi di granito di Caré Alto e Presanella. Una settimana fa eravamo da quelle parti a faticare sulla neve, oggi vogliamo spassarcela sulla roccia!


Ghiacciaio dell'Adamello: a sinistra il Carè Alto
Raggiunta la svolta del sentiero 382, lascio lo zaino con un po' di materiale inutile dentro, mentre Mario tiene il suo. Il ghiaione che conduce ai piedi delle pareti, sotto il sole battente, è piuttosto traumatico, ma la visione degli spigoli elegantissimi ci conforta. Una cordata da tre è appena partita su una via più difficile sulla parete del primo torrione. Si scala in maglietta in questa Estate di San Martino!

Cercando l'attacco

La nostra intenzione iniziale era di salire la via Detassis Vidi, ma facciamo una gran confusione con le relazioni: questa via infatti sale sull'evidente spigolo a destra del primo torrione, mentre noi attacchiamo il secondo, dove l'unica via presente è la Nella Detassis, che comincia vicino al canale a destra del secondo torrione, seguendone grosso modo lo spigolo.

Al centro della foto, il secondo torrione

Tutto questo mi diventerà chiaro solo ora che sto scrivendo, 10 giorni dopo i fatti... allora, ansioso di salire, ho seguito una linea verticale sopra a un chiodo con cordino, in tasca la relazione della Detassis/Vidi. Pensando di incontrare del III mi sono ritrovato a vagare su per la parete - con passi che III non erano! - fino a incontrare dopo almeno 40 metri uno spit: qui ho capito di avere incrociato la via Nella Detassis e ho sostato, per recuperare Mario e decidere insieme il da farsi.


Inizio del nostro primo tiro (notare il cordino) *

Tutto questo ricercare ci ha fatto buttare molto tempo prezioso, in un attimo si è fatta l'una. Non troviamo nello zaino di Mario la relazione della Nella Detassis, per un attimo sposiamo l'idea di calarci, ma poi la relazione salta fuori e scegliamo di andare avanti. Salgo circa 20 metri e trovo una nuova sosta su due chiodi nuovi. Recupero Mario per evitare troppi attriti.


Ancora non sappiamo esattamente a che punto della via ci troviamo: continuo a salire puntando vagamente lo spigolo, trovo un diedro nero con chiodo di cui si parla nella relazione e sosto qui. Sopra di noi vediamo un grosso pino mugo sullo spigolo, e intuiamo finalmente la linea di salita della via. Ho però sostato per due volte a metà dei tiri, e ora mi trovo a dover recuperare un po' del tempo perso.

Mario sullo spigolo nel secondo tiro

L'arrampicata dopo il diedro nero è facile e divertente, sul filo dello spigolo. Alla sosta fra secondo e terzo tiro, posta sullo spigolo dritto sotto il mugo (una variante a spit sale verticale), decido di proseguire, affrontando per una decina di metri un delicato traverso a sinistra. Faccio qui sosta su due chiodi e una piccola clessidra.

Si fa con quel che c'è...

Mario mi raggiunge e tira la mezza lunghezza presente, che inizia con una bella fessura (due chiodi, IV). A un certo punto sento cadere qualcosa dall'alto: penso a un sasso, ma il rumore è più delicato... mentre mi vola davanti al naso, riconosco il foglio piegato con la relazione, scivolato dalla tasca di Mario! Per fortuna si deposita su un terrazzino pochi metri sotto la sosta, e lo recupero abbastanza facilmente grazie all'alluce opponibile. Si usa proprio tutto in via! Mario può ripartire, e si riporta verso destra fino al famoso pino mugo; appena oltre, sul lato in ombra dello spigolo, c'è la quarta sosta.

Il traverso iniziale del terzo tiro (o finale del secondo per noi)

Se Dio vuole, ora possiamo seguire la via tiro per tiro in modo regolare! Mi aspetta la lunghezza chiave, Mario ha deciso che oggi fa lo sherpa! Il diedro, unico passaggio di V- della via, è ben chiodato, ma fa sudare ugualmente.

Il diedro *

Anche perché superato il primo passaggio in leggero strapiombo, le difficoltà non terminano... una placca delicata, una fessura con un chiodo non proprio stabile, l'uscita a destra in piena esposizione... e poi di nuovo sullo spigolo col sole in faccia. Veramente bello e sostenuto!

In sosta sul quarto tiro

Quinto tiro, ancora spigolo: ormai ho preso confidenza con la roccia, scaldata dal sole pomeridiano, e guadagno metri con scioltezza senza preoccuparmi tanto delle protezioni, che del resto sono scarse. Trovo due chiodi nuovi su un bel terrazzo: una sosta perfetta, ma la relazione dice di traversare a sinistra per 10 metri e sostare alla base di una fessura.

Il traverso iniziale del sesto tiro (finale del quinto per noi!)

Allora traverso sulla facile cengia, però alla base della fessura non c'è nulla! Non ho voglia di tornare indietro, e perdo minuti preziosi di sole nel decidere dove piazzare i friend di Mario. Il sesto tiro è lungo, quasi tutto sullo spigolo, con passaggi più tecnici (IV+) e chiodatura essenziale. Mario mi comunica che ha già visto il tramonto, e tra un movimento e l'altro butto veloci occhiate sul ghiacciaio dell'Adamello, dietro il quale il sole sembra volersi da un secondo all'altro assopire. La parete ormai è tutta in ombra, ma siamo ancora in maglietta e ci manca pochissimo alla fine delle difficoltà.

Uscita dal sesto tiro
 
L'ultimo tiro è per Mario, e c'è ancora spazio per passaggi estetici sullo spigolo e un traverso esposto sull'intera parete, poi facili roccette ci conducono in cima. Di solito l'uscita da una via è un momento in cui scaricare la tensione: ci si guarda attorno, si mangia qualcosa, ci si scambiano impressioni... oggi non ce lo possiamo permettere, siccome il buio incalza e la prima parte di discesa non è banale.

Traverso sul settimo tiro

Indossiamo la frontale e procediamo in una sorta di conserva lunga. Il rifugio Graffer, meno vicino di quanto sperassimo, è illuminato e ne giunge un insistente abbaiare di cani. Traversiamo sotto a un cavo di ferro sospeso fra primo e secondo torrione, usato forse da qualche funambolo; poco dopo saliamo sulla facile cresta e la seguiamo fino a un salto di una decina di metri, sul quale disarrampichiamo (I) fino a raggiungere un profondo intaglio.

Tramonto dietro il Carè Alto

Il buio qui sotto si fa più avvolgente, e il sentiero da seguire non è chiaro... non possiamo permetterci di sbagliare a questo punto, e per fortuna facciamo la scelta giusta: uno stretto passaggio fra due rocce ci conduce subito su una larga cengia coperta di neve, lungo la quale corrono rassicuranti impronte!

La neve è poca ma sfondosa, le mie scarpette in goretex fanno il loro buon lavoro. Il sentiero purtroppo al buio non è chiaro, le impronte sembrano prendere direzioni diverse e ci ritroviamo a seguire quelle di un gregge di ungulati. L'altopiano del Grostè ha una struttura geologica di origine glaciale, caratterizzata da piani sovrapposti dolci da un lato e ripidi dall'altro; un po' come le cenge sulle pareti circostanti, ma spostate su una dimensione orizzontale.

Rispettare una direzione in linea retta su questo terreno non è scontato, in quanto si tende a proseguire in spiano continuando a traversare accanto al salto di roccia di turno. L'abbaiare ininterrotto de cani comunque ci segnala che il rifugio, non più visibile, è sempre più vicino. Finalmente svalicato un crinaletto più alto degli altri lo vediamo, e vi ci dirigiamo dritti per dritti.

Man mano che ci avviciniamo, le urla e le ombre dei cani si fanno sempre più minacciose: sembrano schierati davanti alla costruzione in assetto di battaglia. Arrivati a un centinaio di metri di distanza, capiamo che proseguire è rischioso, e ci mettiamo a urlare se c'è qualcuno... nessuna risposta. Andiamo allora presso la stazione intermedia della cabinovia Grostè, dove sistemiamo le corde continuando a fare del casino, ma i cani ne fanno di più.

Scuri aperti al rifugio Graffer!
Finalmente sentiamo un fischio: il rifugista c'è, possiamo avvicinarci senza il rischio di essere sbranati! Non so se fosse più sorpreso lui nel vedere arrivare due persone a quest'ora, o noi nel trovare un rifugio aperto a novembre a Madonna di Campiglio! E c'erano pure altri due ospiti. Birra d'obbligo e piacevole chiacchierata col rifugista, argentino appassionato di ghiaccio con altre esperienze nei rifugi lombardi e andini, poi ci tocca ripartire.

Non senza passi falsi, troviamo l'imbocco del sentiero 382, comodo e ben battuto. Non c'è la luna, e nello scendere possiamo goderci una stellata d'alta quota autunnale senza nemmeno la giacca addosso. Raggiunta la curva secca da cui parte la traccia per le pareti, ci mettiamo a sondare i vari cespugli in cerca del mio zaino: per fortuna lo ritrovo abbastanza in fretta.


Ultime luci su Cima Grostè
 
L'anello è concluso, conclusa una giornata speciale. Bruno Detassis da cime ben più alte ci avrà forse regalato uno sguardo, sorpreso di vedere ancora in pieno novembre persone arrampicare in maglietta sul suo Brenta.

giovedì 12 novembre 2015

Affondo mancato alla cima Cop di Breguzzo, dal Lago di Malga Bissina


La Cima Cop di Breguzzo è il tremila più a sud nel gruppo dell'Adamello, e di conseguenza quello più vicino in linea d'aria alla mia città. Un tremila tondo tondo, tanto che qualche malalingua sostiene addirittura la sua altezza sia stata camuffata dagli austriaci ai tempi della Grande Guerra, per potervi indirizzare maggiori rifornimenti di armi.

Cresta sud-ovest di Cima Cop di Breguzzo

Una meta piuttosto ambiziosa per un'uscita in giornata il primo di novembre; ma siamo ansiosi di tornare in alta quota e pestare un po' di buona neve, e decidiamo di provarci. Almeno della neve ci leveremo sicuramente la voglia!


Cima Bissina, versante nord

Partiti prima delle 5 da Parma, raggiungiamo il Lago di Malga Bissina (1780), ancora avvolto nell'ombra, poco dopo le 7.30. Solo un'altra auto ci ha preceduto. Costeggiamo il lago con la sterrata pianeggiante, un poco noiosa ma adatta per scaldarsi, anche se tutto sommato non fa per niente freddo. L'aria è pulita, gli alberi colorati dall'autunno, le vette innevate creano uno scenario a dir poco meraviglioso.



Giunti a Malga Breguzzo (1806), alle porte della val di Fumo, abbandoniamo il sentiero principale per il 223, diretto al passo di Breguzzo. Fin da subito l'avanzare si dimostra complicato: il versante è a ovest, tutto in ombra, il ghiaccio ricopre alcune rocce alternandosi con il fango, il sentiero sale ripido senza tanti complimenti e con i segnavia ridotti all'essenziale. Sembra che su di qui ci sia davvero poco passaggio.

Ghiaccio sul sentiero

Raggiungiamo un pianoro glaciale a quota 2100 circa, dove si incrociano tre sentieri: a sinistra il 248B per il rifugio val di Fumo, a destra il 249 per le Porte di Danerba, diritto lungo la valle il nostro 223. Inizialmente attraversiamo una zona paludosa, per poi costeggiare il torrentello ricco di meandri. Il passo è ancora lontano, compreso fra le pareti nord innevate di Cima Danerba e Corno di Trivena e le creste spoglie sud ed est del Cop di Breguzzo.

Presso il bivio. Sullo sfondo Corno di Trivena
 
La neve copre sempre più porzioni di terreno, è dura, suona acuta sotto gli scarponi. Sembra tutto perfetto... ma ecco che di fronte, e presto tutto attorno a noi si distende una pietraia interminabile, che il sentiero attraversa senza un percorso definito: di fatto avanziamo saltando da un sasso all'altro, sfruttando i pochi ponti di neve dura che sembra sostenere il nostro peso.

Una sassaia interminabile!!
 
La neve però è sempre di più, e salendo di quota, anche se siamo ancora all'ombra, si fa meno portante. I sassi dal canto loro sembrano non voler finire mai... Indossiamo le ghette e iniziamo a battere la traccia cercando la via migliore in mezzo a questo labirinto. Dopo un po' però prevale la voglia di spostarci sul versante ripido a destra, quello a nord, dove sono scese diverse valanghe.

Traverso sul versante nord
 
La neve rimestata si dimostra più dura, ma non di molto, e la pendenza si fa al limite per procedere senza ramponi. Terminato il traverso, rieccoci in mezzo alla valanga di pietre, ormai totalmente coperte di bianco. Cerco di seguire le schiene dei sassi, dove la neve è più abbondante e minore è il rischio di cadere in una buca. A ogni passo ormai sprofondiamo quasi mezzo metro, e la fatica si fa sentire prepotente!

Traccia contorta
 
Ci imponiamo comunque di raggiungere il sole per fare sosta, e quando i raggi ci scaldano ormai siamo quasi arrivati al passo. Un'ultima impennata nel canale (circa 35 gradi), con tanto di filo spinato vecchio di 100 anni, e ci affacciamo sul versante della val Rendena dai 2768 metri del Passo di Breguzzo.

Ultimo canalino (cavo presente)

Il versante est, che ci aspettavamo di trovare pulito, si dimostra invece coperto a sua volta di neve, crosta non portante. Diamo giusto un'occhiata alla cresta sud, che sembra lunga e tutt'altro che semplice. E' l'una, siamo stanchi e il sentiero di ritorno è lungo e complesso, quindi optiamo saggiamente per fare retrofront.

La cresta verso il Corno di Trivena

Anche a ritorno ci manteniamo il più a lungo possibile sui pendii svalangati, ancora in ombra, poi cominciamo a cavalcare in discesa i sassi coperti di neve, sempre seguendo le linee convesse. Il sole è arrivato anche qui, luminoso e caldo a livelli quasi fastidiosi. I ramponi cominciano a raschiare i sassi, ci fermiamo a toglierli riparandoci all'ombra di un masso più grande (il primo novembre, a 2300 metri di quota, sottolineo).

Traverso improvvisato su erba per inseguire il sole
 
Dopo un tentativo poco fortunato di tagliare per i campi sul versante opposto, infestati da ginepro tagliente e nuove rocce, torniamo a valle in mezzo alla palude, poi di nuovo sulle rocce ghiacciate e infangate che il sole non ha fatto in tempo a lambire. Una fatica tremenda... Torniamo a Malga Breguzzo con il Caré Alto illuminato dagli ultimi raggi di sole, che nell'arco di pochi minuti cambia colore quasi in diretta, in stile Pop Art.

Carè Alto. Nessun filtro!

Ultimissimi raggi sulla parete

Luce finita!

All'auto arriveremo con il buio: siamo gli ultimi ad andarcene dal parcheggio, custode della diga escluso!

E buonanotte al Carè Alto

venerdì 6 novembre 2015

Cascate e Lago Acqua Fraggia, anello da Borgonuovo per Savogno

Acqua Fraggia sta per acqua fracta, cioè spezzata. Una parete alta più di 150 metri spezza infatti il corso naturale del torrente omonimo, poco prima del fondovalle, dando vita ad una delle cascate più grandiose e celebrate delle Alpi. E non è che la prima fra le tante che incontreremo in questa escursione, decisamente varia per gli ambienti attraversati.
Cascate dell'Acqua Fraggia

Più breve e meno isolata rispetto alla vicina val Codera, la valle dell'Acqua Fraggia rappresenta comunque un'occasione per allontanarsi dal traffico delle strade, che rimangono fitte giù nel fondovalle di Chiavenna. I 3000 gradini scolpiti nel granito che salgono a Savogno, paese salvato negli ultimi anni dall'abbandono, conducono faticosamente indietro nel tempo.

Savogno di notte

Ci sorprenderemo di notare la civiltà sia arrivata con coraggio non solo qui, ma ben oltre, negli alpeggi ai piedi delle pareti, fino a fianco del grande surreale Lago dell'Acqua Fraggia, dove pochi anni fa era in una malga si vendeva ancora il formaggio. A quattro ore di cammino dalla strada più vicina!
Lago dell'Acqua Fraggia e Pizzo Galleggione

Data uscita: 24-25 ottobre 2015
Punto di partenza: Borgonuovo di Piuro (450)
Punto più elevato: Lago dell'Acqua Fraggia (2043)
Dislivello in salita: 1700
Tempo totale di percorrenza: 8/9 ore
Grado di difficoltà: EE
Punti d'appoggio: Rifugio Savogno (932)
Periodo consigliato: Inizio estate e autunno
Note segnaletica: Buona / ottima su tutto il percorso
Accesso stradale: Raggiunto il paese di Borgonuovo, svoltare a sinistra appena prima del ponte, verso Sant'Abbondio. Poco dopo, ormai ai piedi della cascata, svoltare a destra, superare il fiume e parcheggiare in uno dei posteggi non a pagamento.
Note: Consigliabile alleggerire l'escursione dormendo al rifugio Savogno (si mangia molto bene, camere comode). Gli arrampicatori possono approfittare della posizione per dare un'occhiata alla comodissima falesia della Mezzera, con vie mediamente difficili su granito immerse in uno splendido castagneto.

Falesia della Mezzera

Lasciamo alla nostra sinistra la cascata dell'Acqua Fraggia, seguendo un sentiero Cai fino alle ultime case di Borgonuovo, dove termina la strada asfaltata con un piccolo parcheggio. Qui incontriamo un bivio, e teniamo la sinistra (sentiero Panoramico, indicazioni per Dasile). Con ripide scalinate, più in cemento e ferro che non intagliate nel sasso, guadagniamo quota rapidamente; una breve deviazione a sinistra raggiunge un notevole belvedere a circa metà della cascata.


Si riprende a salire vicino a pareti poderose, fino a ritrovare il fiume appena sopra al salto. La salita si fa ora meno ripida, all'interno del castagneto. Si ignorano due sentieri sulla sinistra che attraversano il fiume, e in una mezzoretta ci si interseca con il sentiero principale che sale Borgonovo, la famosa scalinata (segnavia B25).


In breve raggiungiamo Savogno: la chiesa con il campanile in sasso asimmetrico e la piazzetta erbosa affacciata sulla valle di Chiavenna; le balconate in legno che sembrano sfidare la gravità; i borghetti paralleli uniti trasversalmente da vicoli con archi e scalinate; l'immancabile teleferica. Così ci si presenta questo borgo dove qualcuno continua ad abitare anche dopo l'estate.

Savogno, balconi caratteristici


Siamo accolti al rifugio Savogno, ricavato nell'edificio dell'ex scuola elementare durata molto poco. Già alle 17 i rifugisti sono accanto ai fornelli, e a cena apprezzeremo la cura del loro lavoro! Dopo un immancabile giretto notturno per i viottoli silenziosi, ci ritroviamo con una manciata dei pochi abitanti nella Cooperativa Enal (ente soppresso nel 1978: ma qui non devono essersene accorti): bancone ben fornito di alcolici, posacenere pieni zeppi, TV sintonizzata sulle demenzialità del sabato sera su Canale 5, tante ottime riviste di montagna sparse sui tavoli... passiamo così il tempo fino all'ora della nanna, su comodissimi letti con lenzuola pulite.


La mattina lasciamo il paese e superiamo per la prima volta il torrente, diretti a Dasile (1032). Un paesino ancora più ameno, posto sopra un grande prato simile a una dolina. Lo attraversiamo percorrendo il sentiero B28, direzione Corbia. Superate le ultime case, ci addentriamo in uno splendido castagneto, pieno di muri a secco e vecchi essiccatoi.


Riprendiamo a salire più ripidamente nel bosco, dove compaiono i primi larici ormai vicini al giallo, ed eccoci in quel piccolo paradiso chiamato Alpe Corbia (1373): capre sospettose ci sorvegliano dai tetti delle baite, decine di pecore pascolano su questi prati rigogliosi esposti a mezzogiorno. Sul lato opposto della val Bregaglia si impongono alla vista i giganti di granito, con le loro pareti incrostate di neve: il Pizzo Badile, il Cengalo, l'Ago di Sciora.

Capre sorveglianti a Corbia

Riprendiamo la salita, sperando di non venire aggrediti dal caprone, per fortuna piuttosto defilato dal sentiero... il sentiero passa dalle baite più alte e si porta verso sinistra, presentandosi ora più ripido e meno segnato; per fortuna è stato ripulito recentemente, come poi ci diranno in paese, da alcuni cacciatori.
Alpe Corbia: sullo sfondo i Pizzi Cengalo e Badile


A un certo punto si incontra una brusca deviazione a destra, mentre verrebbe naturale tirare diritto verso una bella baita in sasso presso un canale: qui si trova una fontana. Raggiungiamo faticosamente il crinale boscoso dal quale ci riaffacciamo sulla valle dell'Acqua Fraggia, a circa 1800 metri. Inizia ora un lungo tratto in traverso, con alcuni passaggi che richiedono un po' di attenzione.

Sentiero B28, panorami a picco sulla valle

Di là dai larici sempre più radi e spogli, compare l'elegante mole del Pizzo Galleggione (3107), la cima più alta della valle dove l'inverno è già arrivato. Dopo alcune pietraie e un facile tratto attrezzato dopo un fiume, gli alberi lasciano spazio una volta per tutte ai pascoli; superiamo le baite in rovina di Serigno, e presso quelle di Ponciaga (1816) ci ricongiungiamo con il sentiero B25 che sale da Savogno.

Ai piedi del Pizzo Galleggione

Lo seguiamo, toccando altri edifici abbandonati (fontana), e con un ultimo sforzo puntiamo alla croce posta sullo sbarramento morenico, chiaro confine con l'ambiente di alta quota, oltre il quale si nasconde il Lago dell'Acqua Fraggia. Pure qui ci sono capre al pascolo e qualche camoscio lontano. Anche se fa vento e freddo e l'erba è bagnata, ci sistemiamo qui per affettare formaggio e salame come da buona consolidata abitudine. E chissenefrega del cancro.
Fa caldo!

Per scendere torniamo sui nostri passi fino a Ponciaga, dove proseguiamo con il B25, la strada più diretta per Savogno. Nuovi alpeggi, cascate, alberi nel pieno del foliage autunnale, deliziano la discesa comunque lunga. Notevole in particolare la località di Alpigia, dove sono stati ammucchiati sassi in quantità immane per ripulire i pascoli.

Alpigia

A Savogno recuperiamo le poche cose lasciate al rifugio, e notiamo con piacere che ci sono molti escursionisti e commensali in giro. Ci aspettano ora i quasi 3000 gradini per Borgonuovo, affrontati forse con un po' troppa baldanza... si faranno spiacevolmente sentire sui polpacci nei giorni seguenti!

Sant'Antonio col suo maialino