lunedì 23 novembre 2015

Via Detassis al secondo torrione della Corna Rossa. Arrampicare in Brenta a novembre

Immagina se ancora fosse vivo: a passi lunghissimi entra in una palestra di Boulder, il fumo della pipa fra la barba lunghissima riempie lo stanzone, ragazzini tossiscono... tre colpi di bastone, cala il silenzio:
 << Se rampega prima cola testa, po' coi pei, e sol ala fin cole man!>>

Stavi per chiudere un blocco difficile, l'ultimo movimento per afferrare il top, quando ti accorgi con la coda dell'occhio di questa figura oltretombale, e ti viene a mancare il respiro: sbagli, cadi... ma non trovi il solito materasso, continui a volare, sempre più a lungo, sempre più veloce; l'accelerazione smisurata ti fa attraversare nuvole, galassie, decenni, finché davanti ai tuoi occhi non scorrono pareti di dolomia.

Ed è qu che atterri, su un esile terrazzino, una fune di canapa legata attorno alla vita: 50 metri sopra di te Bruno Detassis, ancora giovane e prestante, ti invita a salire, facendoti sicura a spalla. La corda sale quasi dritta, giusto un paio di chiodi ne indirizzano il tragitto. Tu cerchi di affrontare la parete seguendo la linea verticale, ma Bruno dall'alto ti grida di seguire quella cengia fin dove puoi, poi salire in diagonale, senza farti ingannare dalla placca sopra di te.

Non riesci a leggere la parete, sali d'istinto cercando le prese migliori, ed ecco che ti ritrovi sotto uno strapiombo... e non c'è verso di passare. Provi, riprovi, ma gli appigli sono troppo lontani. Di nuovo molli, non ce la fai più! La corda è in tiro, ma uno spuncione tagliente la lacera, voli di nuovo, riattraversi lo spazio e atterri sul materasso famigliare, le prese di resina robuste e colorate sopra la tua testa.




Dati della via
Data uscita: 7 novembre 2015

Punto di partenza: Parcheggio Vallesinella (1513)

Durata: 6,5 / 7 h (1,5 avvicinamento, 3,5/4 la via, 1,5 rientro)

Dislivello in salita: 575 avvicinamento, 250 la via

Grado di difficoltà: D (IV, un passaggio V-)

Chiodatura: Alpinistica, chiodi ben presenti ma non sempre affidabili nei passaggi più difficili. Soste quasi tutte su due chiodi. Un paio di varianti spittate raddrizzano la via.

Punti d'appoggio: Rifugio Graffer abbastanza vicino al termine della via (aperto tutto l'anno)

Esposizione della via: sud

Prima salita: Bruno e Nella Detassis, settembre 1942

Periodo consigliato: Da maggio a ottobre, se fa caldo anche dopo, come nel nostro caso!

In sosta. Sullo sfondo lo spigolo su cui corre la via Detassis Vidi

Avvicinamento: Dal parcheggio di Vallesinella (a pagamento nei mesi estivi, non a novembre) seguire il sentiero diretto al rifugio Graffer. Si superano gli alpeggi di Malga Vallesinella di Sopra, il bosco si fa più rado e ci si trova ai piedi della Corna Rossa. Il sentiero (segnavia 382) svolta bruscamente a sinistra, e lo si abbandona seguendo un faticoso ghiaione verso le pareti. Imboccare una traccia sul prato puntando al secondo torrione, più piccolo del primo. La via attacca sulla destra del secondo torrione, nei vicino a un profondo canale.

Faticoso avvicinamento fra i mughi

Racconto
Attraversare in novembre Madonna di Campiglio è un po' come vagare per la città nel pieno di quegli agosti di non tanti anni fa, quando ancora la maggior parte dei comuni mortali era tutta in ferie. Qui le cose non sono ancora cambiate: la gente in vacanza preferisce venirci d'estate e inverno, tutta assieme; e gli operatori del turismo si adeguano volentieri.



C'è già la didascalia!

Il risultato è che nelle stagioni morte, come ottobre e novembre, alberghi impianti e rifugi (salvo rare eccezioni) restano chiusi, e questi splendidi luoghi rimangono appannaggio di pochi amanti della montagna. In genere escursionisti affascinati da colori caldi e cieli limpidi, ma pure qualche alpinista in cerca di pareti baciate dal sole. Ci sarebbero anche i cacciatori, ma non li annovero fra gli amanti della montagna.

Autunno in Brenta * (foto Mario)
Arriviamo al parcheggio di Vallesinella poco dopo le 9, e scopriamo con piacere che non dobbiamo pagare alcun obolo: i gabbiotti sono chiusi e il parcheggio è quasi vuoto. Mario ricorda con amarezza quel giorno dello scorso agosto in cui, diretto al Campanile Basso, non trovò posto qui e dovette lasciare l'auto in paese a Madonna - con relativa pettinata - per poi ritornare su in autobus!

La Corna Rossa *

Ci incamminiamo, fa fresco e il cielo è velato; le pareti della Corna Rossa sono ancora all'ombra, sovrastate da quelle ben più imponenti di Castelletto e Cima Sella. Raggiunta la Malga Vallesinella di Sopra, finalmente le velature si diradano, il sole inonda la valle con i larici ancora gialli; sullo sfondo scintilla il ghiacciaio dell'Adamello, con le piramidi di granito di Caré Alto e Presanella. Una settimana fa eravamo da quelle parti a faticare sulla neve, oggi vogliamo spassarcela sulla roccia!


Ghiacciaio dell'Adamello: a sinistra il Carè Alto
Raggiunta la svolta del sentiero 382, lascio lo zaino con un po' di materiale inutile dentro, mentre Mario tiene il suo. Il ghiaione che conduce ai piedi delle pareti, sotto il sole battente, è piuttosto traumatico, ma la visione degli spigoli elegantissimi ci conforta. Una cordata da tre è appena partita su una via più difficile sulla parete del primo torrione. Si scala in maglietta in questa Estate di San Martino!

Cercando l'attacco

La nostra intenzione iniziale era di salire la via Detassis Vidi, ma facciamo una gran confusione con le relazioni: questa via infatti sale sull'evidente spigolo a destra del primo torrione, mentre noi attacchiamo il secondo, dove l'unica via presente è la Nella Detassis, che comincia vicino al canale a destra del secondo torrione, seguendone grosso modo lo spigolo.

Al centro della foto, il secondo torrione

Tutto questo mi diventerà chiaro solo ora che sto scrivendo, 10 giorni dopo i fatti... allora, ansioso di salire, ho seguito una linea verticale sopra a un chiodo con cordino, in tasca la relazione della Detassis/Vidi. Pensando di incontrare del III mi sono ritrovato a vagare su per la parete - con passi che III non erano! - fino a incontrare dopo almeno 40 metri uno spit: qui ho capito di avere incrociato la via Nella Detassis e ho sostato, per recuperare Mario e decidere insieme il da farsi.


Inizio del nostro primo tiro (notare il cordino) *

Tutto questo ricercare ci ha fatto buttare molto tempo prezioso, in un attimo si è fatta l'una. Non troviamo nello zaino di Mario la relazione della Nella Detassis, per un attimo sposiamo l'idea di calarci, ma poi la relazione salta fuori e scegliamo di andare avanti. Salgo circa 20 metri e trovo una nuova sosta su due chiodi nuovi. Recupero Mario per evitare troppi attriti.


Ancora non sappiamo esattamente a che punto della via ci troviamo: continuo a salire puntando vagamente lo spigolo, trovo un diedro nero con chiodo di cui si parla nella relazione e sosto qui. Sopra di noi vediamo un grosso pino mugo sullo spigolo, e intuiamo finalmente la linea di salita della via. Ho però sostato per due volte a metà dei tiri, e ora mi trovo a dover recuperare un po' del tempo perso.

Mario sullo spigolo nel secondo tiro

L'arrampicata dopo il diedro nero è facile e divertente, sul filo dello spigolo. Alla sosta fra secondo e terzo tiro, posta sullo spigolo dritto sotto il mugo (una variante a spit sale verticale), decido di proseguire, affrontando per una decina di metri un delicato traverso a sinistra. Faccio qui sosta su due chiodi e una piccola clessidra.

Si fa con quel che c'è...

Mario mi raggiunge e tira la mezza lunghezza presente, che inizia con una bella fessura (due chiodi, IV). A un certo punto sento cadere qualcosa dall'alto: penso a un sasso, ma il rumore è più delicato... mentre mi vola davanti al naso, riconosco il foglio piegato con la relazione, scivolato dalla tasca di Mario! Per fortuna si deposita su un terrazzino pochi metri sotto la sosta, e lo recupero abbastanza facilmente grazie all'alluce opponibile. Si usa proprio tutto in via! Mario può ripartire, e si riporta verso destra fino al famoso pino mugo; appena oltre, sul lato in ombra dello spigolo, c'è la quarta sosta.

Il traverso iniziale del terzo tiro (o finale del secondo per noi)

Se Dio vuole, ora possiamo seguire la via tiro per tiro in modo regolare! Mi aspetta la lunghezza chiave, Mario ha deciso che oggi fa lo sherpa! Il diedro, unico passaggio di V- della via, è ben chiodato, ma fa sudare ugualmente.

Il diedro *

Anche perché superato il primo passaggio in leggero strapiombo, le difficoltà non terminano... una placca delicata, una fessura con un chiodo non proprio stabile, l'uscita a destra in piena esposizione... e poi di nuovo sullo spigolo col sole in faccia. Veramente bello e sostenuto!

In sosta sul quarto tiro

Quinto tiro, ancora spigolo: ormai ho preso confidenza con la roccia, scaldata dal sole pomeridiano, e guadagno metri con scioltezza senza preoccuparmi tanto delle protezioni, che del resto sono scarse. Trovo due chiodi nuovi su un bel terrazzo: una sosta perfetta, ma la relazione dice di traversare a sinistra per 10 metri e sostare alla base di una fessura.

Il traverso iniziale del sesto tiro (finale del quinto per noi!)

Allora traverso sulla facile cengia, però alla base della fessura non c'è nulla! Non ho voglia di tornare indietro, e perdo minuti preziosi di sole nel decidere dove piazzare i friend di Mario. Il sesto tiro è lungo, quasi tutto sullo spigolo, con passaggi più tecnici (IV+) e chiodatura essenziale. Mario mi comunica che ha già visto il tramonto, e tra un movimento e l'altro butto veloci occhiate sul ghiacciaio dell'Adamello, dietro il quale il sole sembra volersi da un secondo all'altro assopire. La parete ormai è tutta in ombra, ma siamo ancora in maglietta e ci manca pochissimo alla fine delle difficoltà.

Uscita dal sesto tiro
 
L'ultimo tiro è per Mario, e c'è ancora spazio per passaggi estetici sullo spigolo e un traverso esposto sull'intera parete, poi facili roccette ci conducono in cima. Di solito l'uscita da una via è un momento in cui scaricare la tensione: ci si guarda attorno, si mangia qualcosa, ci si scambiano impressioni... oggi non ce lo possiamo permettere, siccome il buio incalza e la prima parte di discesa non è banale.

Traverso sul settimo tiro

Indossiamo la frontale e procediamo in una sorta di conserva lunga. Il rifugio Graffer, meno vicino di quanto sperassimo, è illuminato e ne giunge un insistente abbaiare di cani. Traversiamo sotto a un cavo di ferro sospeso fra primo e secondo torrione, usato forse da qualche funambolo; poco dopo saliamo sulla facile cresta e la seguiamo fino a un salto di una decina di metri, sul quale disarrampichiamo (I) fino a raggiungere un profondo intaglio.

Tramonto dietro il Carè Alto

Il buio qui sotto si fa più avvolgente, e il sentiero da seguire non è chiaro... non possiamo permetterci di sbagliare a questo punto, e per fortuna facciamo la scelta giusta: uno stretto passaggio fra due rocce ci conduce subito su una larga cengia coperta di neve, lungo la quale corrono rassicuranti impronte!

La neve è poca ma sfondosa, le mie scarpette in goretex fanno il loro buon lavoro. Il sentiero purtroppo al buio non è chiaro, le impronte sembrano prendere direzioni diverse e ci ritroviamo a seguire quelle di un gregge di ungulati. L'altopiano del Grostè ha una struttura geologica di origine glaciale, caratterizzata da piani sovrapposti dolci da un lato e ripidi dall'altro; un po' come le cenge sulle pareti circostanti, ma spostate su una dimensione orizzontale.

Rispettare una direzione in linea retta su questo terreno non è scontato, in quanto si tende a proseguire in spiano continuando a traversare accanto al salto di roccia di turno. L'abbaiare ininterrotto de cani comunque ci segnala che il rifugio, non più visibile, è sempre più vicino. Finalmente svalicato un crinaletto più alto degli altri lo vediamo, e vi ci dirigiamo dritti per dritti.

Man mano che ci avviciniamo, le urla e le ombre dei cani si fanno sempre più minacciose: sembrano schierati davanti alla costruzione in assetto di battaglia. Arrivati a un centinaio di metri di distanza, capiamo che proseguire è rischioso, e ci mettiamo a urlare se c'è qualcuno... nessuna risposta. Andiamo allora presso la stazione intermedia della cabinovia Grostè, dove sistemiamo le corde continuando a fare del casino, ma i cani ne fanno di più.

Scuri aperti al rifugio Graffer!
Finalmente sentiamo un fischio: il rifugista c'è, possiamo avvicinarci senza il rischio di essere sbranati! Non so se fosse più sorpreso lui nel vedere arrivare due persone a quest'ora, o noi nel trovare un rifugio aperto a novembre a Madonna di Campiglio! E c'erano pure altri due ospiti. Birra d'obbligo e piacevole chiacchierata col rifugista, argentino appassionato di ghiaccio con altre esperienze nei rifugi lombardi e andini, poi ci tocca ripartire.

Non senza passi falsi, troviamo l'imbocco del sentiero 382, comodo e ben battuto. Non c'è la luna, e nello scendere possiamo goderci una stellata d'alta quota autunnale senza nemmeno la giacca addosso. Raggiunta la curva secca da cui parte la traccia per le pareti, ci mettiamo a sondare i vari cespugli in cerca del mio zaino: per fortuna lo ritrovo abbastanza in fretta.


Ultime luci su Cima Grostè
 
L'anello è concluso, conclusa una giornata speciale. Bruno Detassis da cime ben più alte ci avrà forse regalato uno sguardo, sorpreso di vedere ancora in pieno novembre persone arrampicare in maglietta sul suo Brenta.

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