domenica 28 febbraio 2016

Pietra di Bismantova, il nostro purgatorio

Abbiamo tutti dei luoghi del cuore, dove ci sentiamo in sintonia con noi stessi, con gli altri e con l'ambiente attorno; sono luoghi dove torniamo spesso, volutamente o per caso, o tutte e due le cose assieme. Esiste un quadratone di roccia, piazzato così senza motivo apparente in mezzo alle dolci colline reggiane, che ha un posto speciale fra i miei luoghi del cuore: è la Pietra.

Arcobaleno sulla Pietra di Bismantova, ottobre 2015

E' la Pietra, con la sua carica spirituale potentissima: frequentata dall'uomo fin dal Neolitico; sede di fortezze vertiginose e inespugnabili nell'alto Medioevo, menzionata da Dante nel Purgatorio (un purgatorio/montagna che ci somiglia parecchio); colonizzata frati Francescani e monaci Benedettini della cui lunga permanenza rimane il piccolo affascinante Eremo annidato sotto la parete.


Paolo sulla via Zuffa Ruggiero, novembre 2015

E' la Pietra, che agiva per me come un magnete quando gironzolavo per l'Appennino con la moto: ci passavo sotto, ci giravo attorno, ci salivo in cima a piedi, da solo, scoprendo la meraviglia di quel grande prato sospeso sul cielo. Allora non badavo ai climbers; ne scorgevo di tanto in tanto qualcuno uscire sorridente sul pianoro sommitale, e pensavo questi sono pazzi, o supereroi... in montagna già ci andavo a camminare, ma non sapevo nulla dell'alpinismo. Quel mondo verticale mi attraeva e respingeva assieme.

Mario nella falesia Pornografie, maggio 2014

E' la Pietra dove la curiosità di entrare in quella nuova dimensione prevalse in me sull'inerzia, più che sulla paura. Frequentai un corso Cai, conobbi nuovi amici con la mia stessa passione, e insieme a loro (forse per caso?) tornai subito qui. La via ferrata degli Alpini fu il primo vero viaggio verticale: eccomi là, sulla scaletta finale, che esco poco lontano dalla sommità della Pietra... non sento di essere un pazzo, nemmeno un supereroe, semplicemente sono felice e soddisfatto di essere arrivato qui.

Luca sulla ferrata degli Alpini, giugno 2013

E' la Pietra, o più precisamente il suo satellite chiamato Sassolungo, dove per la prima volta toccai la roccia assicurato a una corda, senza il cavo di ferro, e scoprii che è più bello e gratificante salire così. La sua arenaria un po' sabbiosa, tutta tacchette e prese svase con poche maniglie degne di piena fiducia, mi costrinse a fidarmi dei piedi, a usare l'equilibrio più che i muscoli.


Io sul Sassolungo, luglio 2013

E' la Pietra che mi ha visto iniziare a salire vie di più tiri a comando alternato: dopo la variante alta diretta della classicissima Pincelli Brianti, eccoci sbucare ancora una volta sulla morbida erba accesa dal sole, con il solidissimo fittone che sosterrebbe anche un elefante, e dietro un gruppo di bambini venuti a curiosare, gli occhi pieni di sorpresa, i genitori che guardano con un po' di apprensione la scena...

Mario e Luca in uscita dalla Pincelli Brianti variante diretta, novembre 2014

E' la Pietra il mio piccolo purgatorio: un luogo dove misurarmi con me stesso; confrontare il mio metro e sessantotto con l'altezza della parete; cercare di superare la paura, dimenticare per un tempo indefinito quel minuscolo inferno colorato che brulica laggiù nel parcheggio del Piazzale Dante tra gli schiamazzi e i selfie; infilarmi nell'umido di un camino e ritrovarmi dopo l'ultimo sforzo lassù, dove per un attimo mi cullo nell'illusione di avere raggiunto un paradiso sconfinato.


Fabio in uscita dal Diedro Malus, febbraio 2016


Monte Grondilice invernale, tentativo al canalino Nerli

 
Data uscita: 20 febbraio 2016

Punto di partenza: Rifugio Donegani (1150)

Durata: 5 / 6 ore

Dislivello in salita: 650 circa

Grado di difficoltà: AD+ il canale Nerli, PD l'itinerario da noi seguito

Chiodatura: Assente, presenti fessure adatte ai friend

Punti d'appoggio: In inverno tutti i rifugi sono chiusi; presente ottimo bar con alimentari a Minucciano

Esposizione della via: Est

 Periodo consigliato: Inverno

Il monte Grondilice è il cuore orografico delle Alpi Apuane: qui si incontrano Garfagnana Lunigiana e Versilia, nelle rispettive valli di Serchio di Gramolazzo, Lucido di Vinca e Frigido, in un tripudio di creste e profondi canali. E' qui che veniamo a inseguire l'inverno, puntando sulla fama della neve apuanica di trasformarsi velocemente.

Sentiero 179. Sullo sfondo Cavallo e Contrario

Siamo in sette, un bel gruppone, e la val Serenaia ci dà il benvenuto con le sue imponenti montagne tinte di bianco. La copertura nevosa a dire il vero inizia sopra i 1200 metri, per raggiungere circa 30 cm presso il rifugio Orto di Donna (1500). Nel bosco è ancora fresca e senza fondo, non proprio un buon segno!


Parte bassa delle cave nella val Serenaia. Sullo sfondo Pisanino, Pizzi Altare, Maggiore e Cavallo

Dal grande spiazzo di fronte al rifugio possiamo finalmente osservare la nostra destinazione: la parete nord-est del Grondilice, solcata sulla sinistra dall'evidente Canalino Nerli. Salito nel 1953, è una delle ascensioni invernali classiche delle Alpi Apuane, insieme al canale Cambron (Monte Cavallo) e alla via Amoretti di Vestea (Pania della Croce), entrambi saliti lo scorso inverno. Oggi speriamo nel tris!

La compagnia a Orto di Donna: al centro il Pizzo d'Uccello

Poco sopra il rifugio Orto di Donna imbocchiamo il sentiero 179 verso la Foce di Giovo, fino a una valletta che supponiamo condurre sotto la parete. I faggi si fanno via via più magri e contorti, soltanto qualche gigante solitario rimane piazzato sul ripido pendio sfidando i venti. Eccoci fuori dal bosco, il Grondilice si è avvicinato e appare più imponente.

Verso la est del Grondilice: in rosso il Canalino Nerli (la parte tratteggiata non la abbiamo salita)
in verde parte del percorso alternativo

Purtroppo dobbiamo constatare che la neve non si è trasformata neanche su terreno aperto: le croste non sono quasi mai portanti, e sotto ci sono erba e sassi. Manca il fondo! Decidiamo comunque di provare il canalino, sperando sempre che superata una certa quota o pendenza le cose cambino. Federico non vuole sostare su un solidissimo faggio appena a sinistra del canale, e preferisce piazzare un friend nella prima fessura che trova, in un piccolo grottino... quando ci appendo con un po' di provocazione lo zaino, però, dice che è meglio non fidarsi troppo!

Il Cavallo e Pietro

Alberto in cordata con Pietro lo segue, mentre Mario Luca e Carlo aspettano notizie poco più giù. Dopo un primo facile saltino (con paleo traction) si abbandona il canale principale per superare una placca a destra, seguita da un traverso. Non vedo Federico, ma sento bene neve sassolini e poco ghiaccio che cadono dal traverso, proprio sopra la mia sosta... per fortuna un po' riparata dal leggero strapiombo. Poi mi rasserena il fatto di essere assicurato a un friend a prova di zaino da 35 litri!

Primi tratti un poco ripidi e Pisanino

Dopo non molto sento del lasco che avanza sulla corda, e intuisco che lassù hanno preferito lasciar perdere. Troppa neve fresca sul ripido! Traversata a ritroso la placca, i due primi di cordata optano per proseguire lungo il facile canale principale, facendo sosta appena finisce la corda.

Il canale da noi salito verso la Finestra

Li seguiamo, per poi darci il cambio fino a una biforcazione: a destra si incassa un profondo imbuto sovrastato da stalattiti di ghiaccio... immagino che Federico voglia andarci a dare un'occhiata, così faccio sosta proprio al bivio.

Variante non relazionata (ci sarà un motivo?)

Anche questa volta però la saggezza prevale sulla voglia di ripido... A metà del "corridoio" Fede incontra un saltino di ghiaccio seguito da un camino che sembra uscire direttamente in cresta; ma non trovando nulla sulla guida riguardo a questa variante, viste anche le condizioni pessime di oggi, preferisce non prendersi rischi e torna giù subito.

Luca in uscita dal canale
 
Tanto vale tirare dritto lungo la strada principale, che comunque ci regala una bella uscita su cornice, col mare che lampeggia dietro le piccozze... magia delle Apuane! Ci troviamo poco sopra alla Finestra del Grondilice (1750), da cui passa il sentiero 186 che sale da Foce Rasori. La via normale per la vetta è brevissima, ma da non sottovalutare, specialmente con la neve marcia di oggi (il versante è a sud e prende il sole in pieno).

Inizio della via normale, presso la Finestra del Grondilice
 
In cima il panorama è ampio, col Pizzo d'Uccello che perde buona parte della sua imponenza e dietro gli Appennini, pure loro docili colline in confronto al Pisanino. Lontane sfumano nel cielo le cupole di neve delle Alpi Marittime, mentre verso il mare come al solito si sono formate nuvole basse che solo di tanto in tanto lasciano sprazzi di blu.

In vetta

Per scendere ci aiutiamo con una corda nel passo più delicato, ormai ripulito dai tanti passaggi (altre tre persone erano salite poco prima di noi... 10 in tutto oggi sul Grondilice, mica pochi!). Dopodiché tagliamo nel bosco senza tornare a Orto di Donna. Ormai un po' le conosciamo le Apuane, e non ci sorprendiamo che da un momento all'altro la comoda e veloce discesa nella faggeta si interrompa bruscamente.

Discesa e mare

La grande cava di Orto di Donna copre buona parte del versante est della valle, e ci piombiamo letteralmente dentro. Il resto della discesa lo compiamo sulla strada marmifera, fra ruderi di vecchi rifugi ed edifici di servizio, ruspe e auto abbandonate, pneumatici grandi come una Smart... la neve non basta a coprire questo scempio. Pensare che la valle più alta e bella della Garfagnana sia ridotta a una pattumiera fa arrabbiare molto di più che non di avere rinunciato a un canale per le cattive condizioni della neve!

Da sinistra Pietro, Mario, Luca, Alberto, Carlo, Federico e io


venerdì 26 febbraio 2016

Nanga Parbat, ieri e oggi: la montagna condivisa

Una sagoma si avvicinava al Campo V del Nanga Parbat; è il 4 luglio 1953 e quella sagoma si chiama Hermann Buhl. Lo avevano dato per morto, gli altri della spedizione; rimasto solo per 41 ore di scalata, interrotta soltanto da un bivacco poco lontano dalla cima, su cui lasciò e fotografò la sua brava piccozza con annodata la bandiera del Tirolo. La sua impresa rimarrà l'unica prima assoluta di un ottomila in solitaria.

La Piccozza di Buhl in vetta al Nanga Parbat

Il fiume Indo, gonfiato dalle acque raccolte dai ghiacciai del Karakorum, scorre ai piedi del grande colosso, costretto a una lunga deviazione per oltrepassarlo e gettarsi libero nella lunga corsa verso il golfo del Bengala.

Stessa grande montagna, anno 1970; stesso organizzatore della spedizione precedente, Karl Maria Herrlingkoffer, tedesco. I tedeschi hanno sempre considerato il Nanga come una questione nazionale, fin dai tragici tentativi degli anni 30; ma anche questa volta l'impresa di scalare la parete Rupal, la più alta della Terra, è portata a termine da una coppia di tirolesi, anzi sud-tirolesi, anzi italiani: i fratelli Messner.

Reinhold, come Hermann, lasciò il resto della spedizione per tentare l'attacco alla cima in solitaria, dovendo procedere velocemente prima dell'arrivo del maltempo; fu poi raggiunto dal fratello Gunther, che però venne travolto da una valanga durante la laboriosa discesa dal versante Diamir, sterminato e inesplorato.

Reinhold Messner tornato in solitaria sul Nanga Parbat nel 1978

Ci vollero anni perché la versione di Messner, accusato di avere abbandonato a sé stesso il fratello, venisse accertata con tanto di prove. Il Nanga Parbat del resto non è esattamente una cima dove tutte le domeniche salgono comitive di gitanti... La stessa piccozza di Buhl fu trovata e portata a valle soltanto nel 1999.

Altra acqua è passata sotto i pochi ponti che oltrepassano l'Indio, e siamo arrivati a oggi, 26 febbraio 2016. Restava da compiere la prima ascesa invernale del Nanga Parbat, e destino ha voluto che neanche stavolta ci arrivasse un tedesco, bensì tre forti alpinisti provenienti da Italia, Spagna e Pakistan: Simone Moro, Alex Txikon e Muhammad Ali Sapdara.

Il mondo ha potuto seguire le fasi e le immagini della coraggiosa ascensione sui social network, trovandole magari nella stessa finestra in cui compariva il selfie del loro amico salito per l'occasione su una montagna a 45 minuti da casa. L'alpinismo si è evoluto, ha raggiunto nuovi record e nuovi trionfi dal sapore classico come quest'ultimo; si è evoluto anche il modo di comunicare con chi è a casa, seduto davanti al PC, e catapultato in diretta sulle creste di roccia e di ghiaccio.

Simone Moro e soci al Campo base prima della salita

Gli alpinisti che vogliono campare della loro passione, devono diventare professionisti della comunicazione. Eppure al centro di tutto c'è sempre la foto, il poter dimostrare che "io sono qui, ora". E quando ancora non c'era modo di fotografare, ci si dilungava in resoconti dettagliatissimi, che riempiono di polvere gli archivi CAI e affini di mezza Europa, sfogliati soltanto da qualche appassionato di storia dell'alpinismo.

Andare in montagna è un'attività speciale, e qui sentiamo molto più che in tanti altri campi la necessità di documentare, raccontare, condividere. I grandi colossi non se ne accorgono, hanno superato i millenni e non danno certo peso ad attimi per noi così importanti. Il tempo continua a scorrere interminabile, come le acque dei grandi fiumi ai loro piedi.

mercoledì 3 febbraio 2016

Ciaspolata in Val Veny, ai piedi del Monte Bianco per la prima volta

Ci ero sempre e soltanto passato sotto, al monte Bianco: risalendo la valle d'Aosta sembrava giocare a restare nascosto... lo vedi soltanto dopo l'ennesimo tunnel, innalzarsi all'improvviso per quasi 4000 metri sopra il fondovalle. Un gigante che abbaglia e fai fatica ad inquadrare tutto intero dentro il parabrezza!

Val Veny
 
Dalla Francia, tutto un altro discorso. Ricordo una serena giornata d'estate, scendendo verso sud lungo l'Autoroute du Soleil: appena dopo il valico oltre il quale inizia la piana del fiume Saone, o bassa Borgogna, qualcosa compare all'orizzonte: sembra un grande cumulo, ma è immobile, anzi mano a mano che ci avviciniamo sembrano comparirne altri vicini... Poi capisco che non è una nuvola, bensì proprio lui, le Mont Blanc, e la sua mole continua a sorvegliare l'autostrada da lontano - lontanissimo! - fino alle porte di Lione. Poi risulta ovvio che i francesi lo sentano come roba loro...

Alba sul massiccio del Biano

Finalmente si presenta l'occasione per arrivare in auto fino a Courmayeur senza dover proseguire in Francia per lavoro. All'arrivo presso la partenza della nuova funivia Skyway ci accoglie un sole magnifico, con un caldo più da 23 di marzo che non di gennaio. Ci incamminiamo lungo la stradina/pista di rientro dalla val Veny, che si mantiene all'inizio più a fondovalle rispetto al tracciato estivo (quello che passa dalla chiesetta).

Partenza da Entreves lungo la "pista" di rientro

Un rombo rintrona nella valle: si tratta di un elicottero pronto a partire. Subito pensiamo male, della serie sole > valanghe > soccorso alpino; invece poi ne parte un altro, e un altro ancora... possibile che ci siano state tutte queste emergenze? Soltanto dopo ci ricordiamo che da queste parti ci sono persone che possono permettersi (e alle quali è stranamente permesso) di salire sulle montagne volando e scendere sciando.

Tracce di sci lungo la Dora di Veny

Del resto 230 anni sono parecchi: Michel Gabriel Paccard e Jacques Balmat, i primi a calpestare la cima più alta d'Europa dopo essere partiti da Chamonix con abbigliamento e attrezzatura degni del 1786 (ma con tempistiche che ancora oggi fanno venire i brividi: 11 minuti per salire gli ultimi 110 metri prima della cima, ormai sul far della sera) non avrebbero mai immaginato che l'andar per monti prendesse una piega simile.

Stazione di arrivo della Skyway, punta Helbronner

Passiamo sotto alla grande massa bianca del ghiacciaio della Brenva, schiacciato fra pareti di cui si fatica a cogliere le reali dimensioni; le proporzioni ingannano, un po' come fra le navate di una grande chiesa rinascimentale, o al centro di una metropoli dove sorgono soltanto grattacieli, per cui non si riesce a misurare l'immensità di ciò che ci circonda.

Ai piedi del Ghiacciaio della Brenva; sullo sfondo il Bianco

Superato il ponte sulla Dora di Veny, iniziamo a guadagnare quota con qualche curva; sotto di noi appare finalmente il meraviglioso pianoro sul fondo della valle, solcato da poche tracce di sci, costellato di baite coi tetti carichi di bianco. Sentiamo come un fruscio di sottofondo, che poi si fa sempre più forte...

Scarica di neve in val Veny

Guardando le pareti, assistiamo in diretta a un paio di scariche nei canali, piuttosto prolungate... sembrano quasi cascate di neve, e abbiamo tutto il tempo di fotografarle. Riprendiamo il cammino e in breve, su pendenze dolci, raggiungiamo il rifugio Cai Uget Monte Bianco. E' l'ora giusta per il pranzo, non abbiamo fretta e decidiamo di sistemare subito alcune cose in camera e levarci un po' l'appetito.

Vista verso i ghiacciai a ovest del monte Bianco

Ripartiamo comodi, con l'intenzione di avvicinarci più possibile al ghiacciaio del Miage. Ci troviamo dentro l'area sciistica di Courmayeur, versante Val Veny, e il sentierino da noi percorso (un taglione nel bosco) attraversa la pista nera Zerotta. L'operazione si rivela tutt'altro che facile, siccome a bordo pista ci sono muri di neve ghiacciata spostata dai gatti, e nella pista la neve è dura sotto e riportata sopra... roba da tirare fuori la corda rischiando il linciaggio da parte degli sciatori!

Tentativi di superare la pista Zerotta di Courmayeur
 
Comunque tutti e otto superiamo indenni la prova e proseguiamo nel bellissimo bosco di abeti, in leggera discesa. Ci concediamo pure un po' di fuori pista per raggiungere rapidamente il fondo valle presso una caserma, dove alcuni cani fanno più casino degli elicotteri e sembra vogliano spaccare il mondo.

Free-ciaspola in val Veny

Cani a parte, sembra di essere in mezzo a una cartolina: guardando verso valle si apre una distesa pianeggiante coperta di neve, su cui batte l'ultimo sole scaldando i colori; le baite, gli abeti ancora verdi, i fianchi giganteschi del monte Bianco con i suoi ghiacciai incombenti e le sue aguille scure che si avvitano verso il cielo.


Pian Veny

Purtroppo si tratta dell'ultimo sole, anche se è ancora presto, così il fondo valle piomba in ombra. Saliamo comunque lungo la comoda strada bianca, dove incontriamo molti sciatori scesi forse dagli entusiasmanti fuoripista che partono dalla cresta di Arp. Quasi tutti senza zaino, dunque senza pala,
sonda e verosimilmente ARTVA. Lasciatemi rosicare e fare un po' di sano moralismo...

Baita innevata in val Veny

Arriviamo fino alla località la Visaille, a circa 1700 metri di quota. Stappiamo una bottiglia di Vernaccia faticosamente portata fino a qui, e riflettiamo sul da farsi... io volevo proseguire fino al lago del Miage e tornare indietro con il chiaro di luna, ma dopo qualche sorso di Vernaccia cambio decisamente avviso... così scendiamo tutti insieme arrivando al rifugio con un po' di anticipo prima della cena, ma con ancora la luce.

Tramonto sulla Punta Walker, massima elevazione delle Grandes Jorasses

Spendo due parole per pubblicizzare il rifugio Cai Uget, una struttura relativamente nuova e per molti aspetti più simile a un hotel; la grande sala da pranzo è sovrastata da un mirabile sistema di travi in legno, capaci di reggere metri e metri di neve accumulata sul tetto; le camere sono riscaldate, con lenzuola armadietti e lavandino; sono a disposizione le docce, il servizio è impeccabile (abbiamo chiesto se potevano riempirci il thermos e ce l'hanno riportato al tavolo in un vassoio!) ma si respira ugualmente un'atmosfera di famiglia e di rifugio. E in linea con tutti i rifugi di media montagna, particolare importante a Courmayeur, sono i prezzi...

Alba su Dente del Gigante e Grandes Jorasses dal rifugio Cai Uget Monte Bianco

La domenica ci separiamo: io, Giancarlo e Francesco ci concediamo una sciata sulle piste, gli altri una salita sulla Skyway e un giro in paese. Scopriamo con piacere - siccome sul sito non era affatto chiaro - che nello skipass giornaliero è compresa anche la salita con la nuova funivia del Bianco. Quindi smettiamo di sciare entro le 15 per concedercela anche noi.

Piste da sci di Courmayeur, versante Checrouit

Erano più di due anni che non indossavo gli sci, e nel frattempo non ho certo imparato a sciare; comunque nella mia maniera rozza riesco a scendere un po' tutte le piste, godendomi in particolare quelle al sole con una neve davvero ottima; peccato solo per il traffico e la coda interminabile in attesa della funivia Youla... valsa senz'altro la pena per la vista spettacolare sul ghiacciaio del Miage, più che per la pista rossa di rientro.

Il ghiacciaio del Miage visto dalla cresta Youla

Al pomeriggio ci spostiamo in val Veny, dove ci sono piste più tecniche in gran parte nel bosco, con il Bianco che giganteggia sempre davanti agli occhi. Una volta soddisfatti, percorriamo per la terza volta la stradina di rientro a Entreves, ci cambiamo e saliamo per tempo sulla Skyway. In circa 10 minuti ci ritroviamo catapultati a quasi 3500 metri, in un mondo di ghiaccio perenne; pensare che magari nella stessa cabina rotante ci siano persone che poco più di due ore fa erano nel caos di Milano o Torino, mette le vertigini più che superare gli altissimi piloni.

Il famoso "pilone sospeso" (tratto di funivia per la traversata attualmente chiuso) e l'Aguille du Midi
 
L'esperienza è indubbiamente elettrizzante, l'infrastruttura avveniristica, i panorami sterminati, con tutto l'orizzonte verso sud-ovest occupato da vette e ghiacciai. Insomma, uno si convince che i 40 euro del biglietto siano ben spesi. Ma si guarda con occhi ben diversi un orizzonte di montagne guadagnato con la fatica da uno pagato coi soldi.

Mostra permanente di cristalli presso la stazione di arrivo della Skyway