giovedì 26 dicembre 2013

Grugno e San Secondo, il cuore grigio della bassa

Una tenuta agricola, quattro o cinque edifici, i mattoni marroncini lisi dal tempo: le vecchissime mappe IGP le conferiscono ancora l'onore di un nome: località Magrina. Qui, prima ancora che stampassero quelle mappe, passava sicuramente la stradina di campagna che collegava San Secondo a Pontetaro e alla via Emilia, sulla sinistra del Taro, attraversando Bianconese e Grugno: paesini che un nome ancora ce l'hanno, forse per poco.

Oggi località Magrina è compresa fra la Tav e l'A1, da poco congiunta con l'A15, parallela alla stradina di campagna. Questa le gira attorno con un cavalcavia, come se fosse la sua tangenziale. Le finestre sono chiuse, ma qualcuno vive ancora a Magrina: quasi sicuramente zingari, gente che crediamo nomade o stanziata in campi pagati coi nostri contributi, ma che spesso occupa gli edifici un tempo floridi e oggi dimenticati, schiacciati dal nostro magnifico progresso.

E' la mattina di Natale, e per apprezzare il calore del pranzo in famiglia decido di calarmi prima nella desolazione più profonda e sconfinata che soltanto la bassa sa offrire; specialmente in giornate uggiose e grigie come oggi. Bisogna anche farsi venire appetito e smaltire un minimo la cena prima, ma preferisco insistere sulle motivazioni metafisiche, senza rovinare il Natale con bestemmie per non avere portato la macchina fotografica: sperimenterò Google Streetview all'interno del post.

Dopo la via Emilia Bis l'Interporto l'A15 l'A1 la Tav, insomma dopo Magrina, finisce la parte più civilizzata della bassa e comincia quella autentica. La stradina prosegue - pericolosissima - costeggiando un alto argine, finché un cartello non indica Grugno: un nome poco consono a paesi accoglienti. Il primo edificio a darmi il benvenuto infatti è il cimitero, piccolissimo e malandato, forse abbandonato persino dai morti.


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Seguono poche vecchie case, una villa con ancora l'ombra delle sue ricchezze, una chiesa piccola ma elegante, come tutte quelle della bassa; poco più avanti, ecco un edificio rossastro che fu un'osteria, e doveva essere ben nota se ancora oggi il Tom Tom della mia auto chiama queste due o tre case Osteria di Grugno: oggi restano solo le insegne arrugginite, non si legge più nemmeno il nome.

Il cartello con la riga rossa segna la fine di Grugno, e quasi ironicamente appena dietro si ergono i resti di un casale mezzo diroccato, con ancora il suo numero civico in marmo.

Parcheggio l'auto per fare una passeggiata sull'argine, ma presto si mette a spiovigginare. I cani di un paio di abitazioni vicine alla golena mi abbaiano, bagnaticci e increduli; un airone bianchissimo si leva in volo. Tutto attorno è grigio, spoglio, cadente: il Taro con le sue acque fangose compie ampie anse, che anticamente non dovevano esserci.


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Basta infatti osservare con occhio geometrico una buona cartina, per vedere che la strada fra Parma e Roccabianca, cioè via Cremonese, doveva attraversare il fiume da queste parti; un lunghissimo rettilineo si interrompe appena prima di Viarolo e riprende poco dopo Grugno, dove la nostra stradina piena di curve cambia improvvisamente fisionomia e conduce dritta dritta a san Secondo. Chissà quali piene catastrofiche avranno modificato a tal punto il paesaggio... comunque mai quanto un'inondazione di ferro e cemento.

Torno presto all'auto, non voglio sporcarmi troppo: un gattino si è infilato sotto il telaio, e sembra restio ad andarsene e tornare alla sua casa appena di fronte. Io invece preferisco tornare verso la civiltà, ma non subito a casa. Percorro il suddetto rettilineo fino alla vicina San Secondo, e comprendo subito di essere giunto dalla via che un tempo era la principale: prima i filari di platani accanto alla strada, poi sempre dritto ecco il centro, i palazzi coi portici.


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Parcheggio di nuovo per proseguire a piedi il mio itinerario. La gente vestita da festa per il pranzo di Natale si saluta, il paese non è ancora così grande, sono io lo sconosciuto! Diverse attività sono aperte e ne approfitto per un caffè: fatico a entrare e uscire dal bar, facendomi spazio fra i vecchietti ammassati sotto il portico che chiacchierano e sfumacchiano.

San Secondo, come altri paesi storici della bassa, ha tutta la dignità della piccola capitale: palazzi eleganti, chiesette barocche, colori vivaci che sembrano sfidare il grigiore dell'inverno in queste zone. I portici, le vie, le piazzette offrono prospettive sorprendenti: dal vasto piazzale della rocca si può apprezzare l'impianto urbanistico regolare del paese, con tante vie parallele che separano i singoli edifici. Esattamente qui giunge un'altra strada importante, anch'essa costeggiata dai platani, che conduce a Fontanellato.

La possente rocca conserva il ricordo di un passato glorioso, quando fu il cuore del principato di Pier Maria Rossi: nobile parmigiano che nel Quattrocento possedette diversi castelli nella nostra provincia, primo fra tutti Torrechiara. E fu a San Secondo che giunse nel 1482 il potente Ludovico il Moro, per porre fine all'esperienza del signorotto locale: gli squarci che separano i corpi della rocca, forse, sono il risultato di quel lontanissimo assedio.

Affianco alla rocca, che fu adibita a municipio, compare il municipio nuovo, un modesto edificio di colore chiaro in netto contrasto coi bastioni possenti e scuri dei Rossi: diversi aspetti del potere. I Rossi di San Secondo, i Sanvitale di Fontanellato, i Pallavicino a Busseto e Cortemaggiore: famiglie nobili della bassa che con alterne fortune si sono spinte quasi sino ai giorni nostri. E a Soragna, nella sua rocca, vive tuttora il principe Diofebo Meli Lupi: personaggio di spicco nell'ambiente culturale che sicuramente gode ancora di stima e rispetto nel suo paese.

Alla fine della mia breve visita torno a casa percorrendo la "nuova" via Cremonese, fino a incontrare di nuovo la via Emilia e la Petit Capital dove sono nato, oggi governata dal principe Federico Pizzarotti della dinastia 5 stelle.

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