giovedì 10 aprile 2014

In viaggio sulle pietre Apuane: Rifugio del Freo, Pania della Croce, Monte Forato, Pruno

Domenica, ore 7: dopo una notte al quasi-freddo (pipistrello bastardo!, antecedente qui) scendiamo a fare colazione: fuori dalla finestra è tutto grigio, la Pania della Croce ancora incappucciata... il miglioramento previsto dai meteo sembra tardare a venire! Ci prepariamo dunque con calma, tanto fra vento caldo e nuvole la neve in alto sarà comunque pappa a prescindere dall'orario in cui la raggiungeremo.

La Pania della Croce/Pietrapana vista dal Rifugio del Freo

Ci incamminiamo così alle 8 passate, raggiungiamo Foce di Mosceta e cominciamo a salire con il 126 lo spoglio versante ovest della Pania. Mano a mano che guadagniamo quota, compaiono una ad una le cime delle Apuane, confuse nella foschia; la salita non è faticosa: forse perché siamo freschi, forse per l'ambiente selvaggio che stiamo attraversando, con possenti torrioni di roccia grigia e geometrica.

Prima parte della "costa della Pania", il versante ovesr

A quota 1700 circa comincia la neve, che come da copione si rivela molle e bagnata... Procediamo comunque con piccozza e ramponi, giusto per non tenerli nello zaino, anche se il problema maggiore all'inizio sono i buchi che vengono a crearsi sotto la neve fra le rocce. Il pendio si fa poi più ripido avvicinandosi al piccolo valico sul crinale, il cosiddetto Callare della Pania.

Neve e mare



Pizzo delle Saette
Borra di Canala
Il colpo d'occhio è da lasciare senza fiato: a sinistra una successione di rocce accidentate come un domino ciclopico si impenna nel Pizzo delle Saette; di fronte a noi cornici imponenti sprofondano nel baratro della Borra di Canala, ancora piena di neve per l'esposizione a nord. oltre si stagliano i profili della Pania Secca e dell'Uomo morto, dove invece la neve se ne è andata da un pezzo. La piccola costruzione del Rifugio Rossi, appare come un segno umano rassicurante nel cuore di queste montagne selvagge.

Pania Secca, Uomo Morto e Rifugio Rossi

La nostra attenzione comunque è presto catturata dalla facile cresta nord della Pania, che dobbiamo percorrere per raggiungere la cima: qui i ramponi hanno il loro perché, malgrado la neve comunque molle. A un primo tratto con roccette e grandi cornici sporgenti, segue un pendio abbastanza ripido sul versante ovest, che ci consente di guadagnare la parte finale della cresta: una spettacolare lingua di neve sospesa sul mare.

Cresta nord della Pania

Qui incontriamo un cane alpinista e le prime anime vive della giornata, salite da Piglionico e dal vicino Rifugio Rossi. Sono quasi le 11, il tempo è andato migliorando durante la salita: ora c'è un timido sole, ma l'aria umidissima e grigia rovina comunque il panorama; si vedono appena appena il mare, il lago di Massaciucoli e le sagome bianche dell'Appennino.

Panorama dalla cima della Pania, con la croce vecchia fulminata e quella nuova

Sorprendente è il contrasto - tipico delle Apuane - fra i versanti a nord con ancora abbastanza neve e quelli rivolti verso il mare, totalmente ripuliti. La stessa ampia cima della Pania (1858) mostra questi due volti, con un pianoro asciutto di fianco a un accumulo nevoso alto un paio di metri, i cui bordi si sciolgono a vista d'occhio.

Confine netto fra Garfagnana e Versilia!

Dopo aver scambiato quattro chiacchiere con alcuni toscani in vetta - fra cui uno stagionato e gasatissimo alpinista che ci racconta di aver tirato su dalla parete sud del monte Contrario un pezzo grosso come Gino Montipò - ci apprestiamo alla discesa attraverso il Vallone dell'Inferno. Questa conca glaciale, esposta a est, è attraversata dal sentiero 126: le solite rocce imponenti, pendenze da non sottovalutare, uno scenario schiettamente alpino a due passi dal mare!

Verso il Vallone dell'Inferno

Un breve corridoio fra le rocce ci conduce al balcone che fu la morena terminale dell'antico ghiacciaio, poco sotto la Foce del Puntone (1607). In pochi minuti potremmo raggiungere il rifugio Rossi, ma decidiamo di proseguire per non doverci togliere e rimettere i ramponi: la neve sembra quasi finita, ma non sappiamo ancora in che condizioni troveremo il tratto più delicato di tutta l'escursione.

Il centro del vallone


Uscita
Facile catena, la foto inganna!

Imbocchiamo il sentiero 7, segnato EE, che si affaccia (sempre a debita distanza va detto) su orridi impressionanti: per fortuna i passaggi più ostici - attrezzati con una catena - sono ormai sgombri di neve, così possiamo affrontarli senza ramponi e senza doverci imbragare. Dopo un canalaccio con gli ultimi avanzi di neve e una bella fessura... voilà, ci si distende davanti l'ennesimo volto di quella splendida montagna chiamata Pania della Croce.

La Costa Pulita

La "costa pulita" è un vastissimo pendio erboso, all'apparenza liscio, che scende per circa ottocento metri con pendenza costante verso la valle della Turrite. Il passo degli Uomini della Neve (1690), dove ci troviamo, segna il confine nettissimo fra la costa pulita e il suo limite geologico, un precipizio terribile di cui possiamo solo intuire la portata.

Orlo del burrone, sullo sfondo Uomo Morto e Pania Secca

La discesa alla Foce di Valli (1260) sarà lunga e faticosa, un autentico massacro per le ginocchia... arriviamo al valico circa alle 14, e ci concediamo un breve spuntino... per il pranzo è meglio aspettare, abbiamo poca acqua e panini con il pecorino che hanno tutta l'aria di essere molto salati! Ci aspetta il sentiero 110, anch'esso segnato (forse eccessivamente) EE, che segue lo spettacolare crinale fra la Pania e il monte Forato.

La Costa Pulita vista da Foce di Valli

Spostandosi appena sulla destra del sentiero, percorriamo con attenzione il filo di cresta, mai troppo esposto, con scorci vertiginosi sulla valle di Cardoso. Il Forato e i suoi vicini rivelano il volto più dolomitico delle Alpi Apuane, con rocce calcaree miste a marmo che si lanciano in forme bizzarre, fessure, pareti di tutto rispetto.

La cresta verso il Forato

Passata l'ultima elevazione prima del Forato (o meglio, della sua anticima nord, 1215, riconoscibile dalla croce), è bene abbandonare il filo di cresta e seguire il sentiero, se non ci si vuole affacciare improvvisamente su uno strapiombo esagerato come ha fatto Marco. Ormai cominciamo a distinguere il grande arco di roccia che dà il nome al monte Forato, e unisce le sue due cime.

Tratti leggermente esposti del sentiero

Le sue dimensioni però, salendo dal versante di Fornovolasco, appaiono chiare soltanto quando ci si è sotto: un'architettura sublime incornicia la valle di Stazzema con il mare sullo sfondo. Forse distratto da quest'estasi mistica, Marco solleva lo zaino e gli scivola giù dal pendio sotto l'arco la reflex nella custodia (morbida): le persone attorno seguono con il fiato sospeso i vari salti della macchina fotografica, che per fortuna si ferma sull'orlo prima del bosco... funzionerà ancora, ma sull'obiettivo il referto medico è ancora dubbio!

Il foro

Mangiamo voracemente i nostri panini con pecorino di Garfagnana salatissimo, ormai sono le 15,30 e possiamo permetterci di patire un po' di sete! Dopo qualche foto sopra l'arco (che non ci siamo fidati di attraversare), voltiamo le punte degli scarponi verso i paesini laggiù lontano in fondo alla valle, dove abbiamo l'auto. Riguardo alla ferrata del Forato, sarà per un'altra volta! Ci rassegniamo all'idea di aver portato per niente imbrago e set da ferrata.

Marco sulla parte "sicura" dell'arco

Il sentiero 12, che passa sotto l'arco, è anche lui segnato difficile, stavolta con buone ragioni: l'inizio è a rischio sassi/reflex fatti cadere dal fragilissimo versante soprastante, dove tendono naturalmente a fermarsi molti escursionisti; il proseguimento è in un bosco scosceso e scivoloso (dove scivolare però è molto pericoloso, visti canali e dirupi sotto); aggiungi piante cadute, brevi tratti di arrampicata, la sete e la distrazione dell'arco di roccia meraviglioso sempre lì a guardarti, e ci sono tutti gli ingredienti per il sentiero perfetto da evitare dopo 8 ore di camminata con zaini pesanti e piccozze sporgenti.

L'arco del Forato scendendo dal difficile sentiero 12

Arrivati al bivio con il 124, scopriamo che il tratto di quest'ultimo che ci interessava per tornare a Pruno è chiuso causa ponte pericolante... forse è stato meglio così, siccome in parte avremmo allungato il rientro. Il sentiero 12 continua a scendere impietoso verso Cardoso, attraversando vecchie teleferiche: giusto qualche gradino nella parte finale allevia la sofferenza alle ginocchia (i quadricipiti mi fanno ancora male mentre scrivo ora, dopo 43 ore).

La porta degli inferi

Superata una cascata, ci si presenta la visione di una casetta tutta piena di fiori con una fontana... borracce a mattanza! L'apporto di liquidi ci ridona forza, ma innervosisce l'idea di arrivare a Cardoso, che è quasi 200 metri più basso di Pruno, metri da salire quasi sicuramente su strada asfaltata. Così prima che cominci l'asfalto, a quota 400 circa, decidiamo di improvvisare: cartina alla mano, imbocchiamo un sentiero diretto a Orzale e al santuario di San Leonardo.

A valle è primavera inoltrata

Ci ritroviamo sopra una condotta dell'acqua, coperta da mattonelle rettangolari tutte uguali: un percorso simile, perfettamente pianeggiante, è pura goduria de-faticante dopo 1600 metri di discesa! Passiamo persino accanto a grandi pietre con presunte incisioni rupestri, lasciate un po' al loro destino. La condotta però, dovendo seguire le linee di livello della vallata, ci fa percorrere molta più strada, e rivediamo la Pania della Croce avvicinarsi di nuovo, altissima, sopra di noi.

La condotta torna verso la Pania

Superato il torrentello con lo sbarramento, il sentiero pianeggiante "mattonellato" termina, e comincia un tratturo in leggera salita. Marco è abbastanza stanco, ma appena gli chiedo se vuole fare cambio di zaino (il suo è sempre pesantissimo) si trova colpito nell'orgoglio, e si rimette ad andare come un treno. Sopra Orzale incrociamo il sentiero 7 che scende da Foce di Valli, quello che non siamo riusciti a raggiungere per la chiusura del 124.

Dopo l'ennesima valle riappare Pruno!

Dobbiamo improvvisare una nuova deviazione, i cartelli non ci sono, ma si riconosce Pruno oltre il bosco: siamo nella valle giusta! Due splendide maestà ci rassicurano, stiamo percorrendo quelle che un tempo erano le uniche vie che univano questi paesini: tratturi per fortuna ben conservati, che seguono l'andamento della montagna e si confondono con essa, con le loro pietre circondate da erbetta e foglie.


La ciliegina sulla torta arriva con il meraviglioso ponte mediceo di Pruno, che supera il profondo canale Deglio. Un'ultima salita non brevissima su ciottoli piantati da chissà quanti secoli ci porta nell'agognato borgo, che attraversiamo velocemente siccome è tardissimo. Ogni tanto, fra le vecchie case tutto sommato in ordine, fa capolino la Pania della Croce, a sorvegliarci dall'alto.


Concludiamo il giro con una visita alla Pieve, costruita prima dell'anno mille. L'interno ha un bel pavimento in mattonelle di marmo bianche e nere, ma il rifacimento barocco, seppur piacevole, guasta un po' l'atmosfera; è piuttosto la piazzetta di fronte alla chiesa, raccolta in un silenzio lungo centinaia di anni, che invita a fermarsi a riflettere sul lungo cammino.


La facciata romanica, essenziale; il campanile tozzo e imponente, simile a tutti gli altri nei dintorni di Lucca, simile in qualche modo anche al Monte Procinto che sbuca dietro i tetti. Una domanda sorge spontanea: cosa ha spinto l'uomo, fin dai tempi remoti delle incisioni rupestri, ad abitare un ambiente tanto ostile? Decine di paesini abbarbicati sui fianchi scoscesi delle montagne come greggi di capre; tratturi che si affacciano su precipizi impensabili; arditissime vie di lizza con pendenza uniforme per trasportare i blocchi di marmo...

Cardoso, distrutto dall'alluvione del 1996 e ricostruito,
 visto dal monte Forato

Forse è proprio il marmo che ha spinto nel corso dei secoli questa gente a ingegnarsi a fondo per trovare un equilibrio difficile con queste montagne; un equilibrio che oggi altra gente, principalmente straniera, mette a serio repentaglio per il puro profitto: blocchi di marmo sempre più grandi prendono il largo dai porti di Carrara e dintorni, pezzi di montagne scompaiono, potenti esplosioni danneggiano il più grande sistema di grotte d'Italia.

Incisioni rupestri sopra Cardoso

Nonostante questo, per fortuna ci sono enti che hanno preservato parte delle Apuane, valorizzando i sentieri e sistemando i paesini: compito non semplice in zone dove la natura può rivelarsi devastante, come nell'alluvione del 1996. Nella nostra lunga escursione - in realtà solo un assaggio di quanto le Apuane possono offrire - la sensazione è stata proprio quella di sperimentare sulle nostre gambe questa convivenza difficile, che ha qualcosa di epico.

Veduta su tutto il gruppo delle Panie (a sinistra in secondo piano il monte Corchia)

Ma la voglia e il tempo per filosofeggiare vengono dopo, seduti in casa a scrivere... a Pruno dopo 11 ore di camminata abbiamo piuttosto voglia di fiondarci a valle a mangiare: e a Serravezza, come un terno al lotto, ecco sbucare il forno con tanto di farinata, pizza e focaccia tonda farcita con prosciutto cotto e carciofi! La Toscana e le Apuane sono anche questo...

Dati escursione:
Punto di partenza: Pruno (447)
Punto più elevato: Pania della Croce (1858)
Dislivello in salita: 1500
Tempo totale di percorrenza: 13 ore con pernottamento al Rifugio del Freo
Grado di difficoltà: EEI
Segnaletica: Ottima
Punti d'appoggio: Rifugio del Freo, Rifugio Rossi
Accesso stradale: Uscire dalla Genova-Livorno a Versilia, seguire per Alpi Apuane/Serravezza, dunque per Stazzema, infine Pruno. Parcheggio abbastanza ampio sotto il paese


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