giovedì 17 aprile 2014

Ferrata Che Guevara, parete sud del monte Casale a picco sul Sarca

Dedicata a Che Guevara, ferrata ignorante fin dall'avvicinamento: parcheggi di fianco a una cava, ne costeggi le recinzioni, cominci a salire per i ripidi boschi sotto la parete sud del monte Casale, 1300 metri di roccia... Se alla sua base ci fosse Grindelwald al posto di ruderi fatiscenti, questa montagna avrebbe la fama che si merita! Ma forse è meglio così, non si sa mai che ci costruiscano uno scivolo giallo per scendere...


La ferrata vera e propria comincia subito bella pepata, con un diedro vista cave: ti prende la tentazione di arrampicare usando solo la roccia, ma è meglio afferrare il cavo senza farsi grossi problemi di performance, c'è ancora tanta strada davanti! La prima parte della ferrata alterna tratti di sentiero in traverso - poco esposti e in genere non attrezzati - a brevi passaggi su roccia, generalmente attrezzati.


Necessario sottolineare il generalmente: lo spirito anarchico di questa ferrata giustifica in parte la sporadica mancanza del cavo: certo, i tratti più delicati ed esposti sono attrezzati, ma capita di farsi qualche gradino di ferro o passaggio su roccia sfasciumata a mani libere, oppure con il cavo lasco per fittoni saltati via, magari legato con la canapa ad un alberello, o infine letteralmente portato via da una frana.

La cosa non preoccuperà di certo i tanti campioncini che affrontano le ferrate senza assicurarsi, o facendolo con metodi rudimentali, e ogni tanto si spiattellano a valle; ma dovrebbe fare scattare un campanellino di allarme a chi pensa di percorrerle in totale sicurezza con casco, imbrago e set: qui siamo in mezzo a una grande parete, le difficoltà tecniche sono ridotte (come sottolineano le relazioni), ma l'impegno globale dell'escursione si può considerare alpinistico.

Non siamo insomma su una ferrata sportiva, da fumarsi in poche come allenamento, e nemmeno su una ferrata adatta ai principianti: siamo sulla Che Guevara. Un pericolo da non sottovalutare è la caduta di sassi: 1000 metri di parete sopra il tuo cervello bastano a far guadagnare a un sassolino la velocità e la potenza distruttiva di un proiettile: se ne stava per accorgere Luca, che ne ha visto (o meglio intuito) uno passare molto vicino. Evita dunque di salire nei periodi di maggiore affollamento.

Anche l'estate e le giornate calde in genere sono sconsigliatissime per una ferrata simile: 4 ore abbondanti di salita esposti a sud, in pieno sole, con pochissimi alberelli a fare da riparo, farebbero evaporare la mente pure a un idrocefalo: portati dunque tanta acqua, non come Luca e Carlo che pensavano di liquidare quasi senza liquidi un percorso simile.

Ma torniamo ad appoggiare gli scarponi (non le scarpette da arrampicata, eh?) sulla Che Guevara: dopo un tratto abbastanza lungo di sentiero, si attraversa un boschetto, seguito da alcune facili roccette. Ormai davanti c'è solo un muro di roccia, e qui (quota 650) inizia la seconda parte della ferrata, la più interessante e continuativa. Il fatto che le foto postate siano quasi tutte verticali dovrebbe far riflettere!

Si parte con un divertente zig zag di traversi in aderenza su placche appoggiate, grandi superfici di roccia calcarea che lasciano ben sperare per il seguito; peccato che presto ricomincino i passaggi su roccia meno solida, dove occorre prestare molta attenzione nello scegliere gli appigli giusti senza non far cadere sassi su chi ti segue.




Dopo aver seguito a lungo le parti più deboli della parete, la ferrata la affronta faccia a faccia, con una lunga scalinata quasi verticale: è questo il momento più spettacolare, dove si sente tutta l'esposizione sulla valle verdeggiante del Sarca, circa 700 metri sotto il tuo fondo-schiena. Un nuovo, lungo traverso in semi-cengia, l'ennesima fila di scalini inchiodati alla roccia, e ormai siamo agli sgoccioli della ferrata - e del sudore!


Sopra di noi ci sarebbero ancora 500 metri di roccia, ma il nostro percorso si avvicina ad un boschetto pensile dove è posto il libro di "vetta": quest'ultima in realtà è ancora lontana, e la ferrata non si può considerare terminata. Arrivano anzi ora i passaggi più pericolosi di tutta l'escursione! Il sentiero, segnato con sporadici bollini rossi, attraversa un paio di canali dove la montagna scarica tutte le sue deiezioni.


 Se in un primo tratto il cavo c'è ancora, nel secondo non c'è più: terriccio, sassi lisci, rametti poco affidabili segnano un 15-20 metri di traverso dove scivolare è facile (specie se affaticati dalla lunga ferrata) e potenzialmente letale. Una corda nello zaino non avrebbe fatto male, un'occhiatina da parte della SAT farebbe ancora meglio.

Faticosi strappi in salita conducono ad attraversare un terzo canalone ghiaioso: qui il cavo è sospeso a due metri da terra, ma il fondo per fortuna è più sicuro. Con uno scorcio dal sapore dolomitico, appare dietro il ghiaione - per la prima volta - la croce del monte Casale, ancora molto in alto! A questo punto un cartello indica a sinistra percorso facile, a destra difficile. Ci fidiamo di Carlo e seguiamo il difficile, in quanto più breve.

Siamo finalmente nel bosco, ma non mancano balconi panoramici sull'alto Garda e il Bondone: notiamo la pista da motocross dove si sta svolgendo il campionato mondiale, che ci ha accompagnato durante parte la salita con lontani schiamazzi e rombi di motore: le centinaia di macchine parcheggiate, i furgoni, il pubblico... sembra davvero di essere su un aereo!


Nuovi passaggi attrezzati non semplici, dove conviene assicurarsi, preludono alla fine della salita: comincia a vedersi qualche chiazza sparuta di neve, comincia a intuirsi la presenza di una distesa dolce di campi sopra di noi. Ecco il miracolo del monte Casale, della ferrata Che Guevara: dopo la dittatura del proletariato, aspra di roccia e ferro, si spalanca una morbida piana d'erba fiorita di bucaneve, dove ti aspetteresti di vedere gli hippies seduti nudi con la chitarra a cantare il trionfo di una società egualitaria di pace e amore.

Carlo entra subito nello spirito comunista del post-ferrata, e valuta l'opportunità di mangiare neve e bucaneve per placare la sua sete... peccato che la neve sia più marcia di Janis Joplin! Così la nostra guida pseudo-local si accontenta di una foto in cima alla croce del Casale, robusta ma decisamente esposta: Luca gli fa compagnia, mentre io e Mario non ci sentiamo abbastanza anarco-temerari per replicare questo gesto scaramantico.


Il Rifugio Don Zio è chiuso, così andiamo a occupare il tavolino esattamente sulla cima: i ghiacciai dell'Adamello e le guglie dolomitiche del Brenta ci osservano mangiare velocemente, facendo ogni tanto capolino fra le nubi. Sono le 16 passate però, non possiamo permetterci di perdere troppo tempo siccome il rientro è lungo!


Dal rifugio partono i vari sentieri: noi scegliamo il 427, indicato anche da un cartello apposito come discesa consigliata per Pietramurata dopo la ferrata: bisogna prendere come riferimento le indicazioni per Sarche, tenendo la destra praticamente in tutti i numerosi bivi che si presentano. Il primo tratto attraversa i bei prati d'alta quota del Casale, con ancora la neve, fino ad affacciarsi su un pulpito con vista aerea sui laghi di Toblino e Massenza.


In seguito il sentiero scende decisamente nella faggeta, compie un lungo traverso verso destra poi cala di nuovo a lungo fino a immettersi su una sterrata: possibile tagliare tre o quattro tornanti, seguire sempre per Sarche e tenere la destra come riferimento. I faggi lasciano posto mano a mano ad alberi da quote più basse, già verdi, mentre montagne che prima erano quasi alla nostra altezza appaiono sempre più imponenti, ancora bianche.



Incrociamo la strada fra Trento e Tione presso un ampio tornante con baracchino che vende bibite e panini: giusto il tempo di attraversarla e imbocchiamo un altro taglione ripido, purtroppo ridotto a discarica, e in breve siamo alle ultime case di Sarche. Non attraversiamo il fiume per andare in paese, ma seguiamo una bella sterrata di fianco alle vigne (cartello Pietramurata).



Attorno a noi le cime innevate di Baldo e Bondone ricevono gli ultimi raggi del sole, mentre la grande parete del Casale è ormai tutta in ombra. Conveniva parcheggiare davanti all'outlet e al bar di Pietramurata, siccome la sterrata non arriva alla cava ma si immette nella SS45, di cui percorre giusto 200 metri. Siamo all'auto alle 19,30, dopo 8 ore di camminata ci meritiamo una bella birrona ad Arco, sbavando davanti a un po' di vetrine. Ma non compriamo nulla, siamo ancora nello spirito anti-consumistico della Che Guevara... e poi i negozi sono chiusi, per non sbagliare!

Dati tecnici:
Punto di partenza: Pietramurata (250)
Punto più elevato: Monte Casale (1631)
Dislivello in salita: 1400
Tempo totale di percorrenza: 8 ore  
Grado di difficoltà: EEA
Segnaletica: Bollini rossi essenziali lungo la ferrata; ottima sul sentiero di rientro
Punti d'appoggio: Rifugio Don Zio (aperto in estate)

Mappa: vedi qui: http://maps.kompass.at/?expanded=false#lat=46.035651130822416&lon=10.941032258453323&z=15&s=KOMPASS Touristik


2 commenti:

  1. Ti sei scordato i miei borbotii dopo il rifiuto di fare autostop :)

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  2. Dai in compenso ti ho fatto mangiare bucaneve!!!

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