venerdì 28 marzo 2014

Ponti tibetani cascate e cenge nella collina reggiana: ferrata alle Balze di Malpasso

Dopo due ore scarse di curve e saliscendi attraverso le colline reggiane, che da un momento all'altro sembrano voler fare l'upgrade per diventare montagne, cali una volta per tutte nell'ennesima vallata: quella del Dolo; e tutto ti aspetteresti tranne che una via ferrata con dei ponti tibetani.


Marco e Gianpaolo infatti hanno dovuto ritrovarsi sospesi sul ponte, con 40 metri di salto sotto gli scarponi, per crederci; e io stesso la prima volta che venni, la scorsa primavera, temevo una mega-bufala organizzata da burloni internauti di Toano per attirare qualche ferratista sprovveduto sulle loro innocue collinette, magari dopo aver rubato due o tre foto dalle brochure di qualche canyon sconosciuto in USA.


Se oggi invece cercate Ferrata di Toano o Balze di Malpasso o Pizzo di Castelpizigolo su Google, trovate le foto di montagnatore, che sono certamente una garanzia per l'Appennino. Quello che non è del tutto garantito è l'ottimo stato di conservazione di questa ferrata, col cavo e gli scalini in alcuni punti un po' arrugginiti e un paio di fittoni staccati... per fortuna non nei pochi passaggi delicati.




Non si può d'altronde chiedere troppo al Gruppo Escursionisti Toanesi, che l'ha attrezzata e se ne prende cura: qui il ritorno economico è praticamente nullo, e tutto l'imponente lavoro di allestimento è stato fatto per pura passione. Non siamo al Passo Gardena o a Campocarlomagno qui: nel paesino di Castagnola non ci sono hotel cinque stelle né funivie - ma un parcheggio riservato agli escursionisti diretti alla ferrata (con tanto di cartello sbiadito), quello sì. E noi lo abbiamo sfruttato!


Insomma, la ferrata va affrontata con le dovute precauzioni (come sempre) e con un pizzico di attenzione in più all'eventualità di trovare qualche fittone o gradino che balla... tolta la sicurezza del cavo, in tre/quattro passaggi si è letteralmente esposti in parete! Indispensabile il casco siccome è facile smuovere sassi, indispensabile il set da ferrata anche per attraversare i due ponti tibetani (un cartello lo ricorda), altrimenti si va all'avventura con tutti i rischi del caso.


La ferrata (i dettagli tecnici li trovate sul mio report dell'anno scorso) ha diverse varianti, e non è così intuitivo trovare subito l'itinerario giusto; noi questa volta l'abbiamo studiata bene, e percorrendo un paio di tratti due volte siamo riusciti a concatenare tutte le varianti in un percorso logico, concludendo in bellezza col ponte sospeso lungo. Sviluppo e dislivello sono davvero ridotti, l'unica accortezza magari è non fare il pezzo più difficile in discesa... ma ve ne accorgerete subito.


Finita la ferrata abbiamo mangiato al tavolino dell'area picnic (nessuno in giro), e siccome ci rimaneva un po' di tempo abbiamo proseguito sul sentiero matildico 613, rilassante percorso in mezza costa con bei panorami sulla valle del Dolo e l'antico ponte di Cadignano.


Raggiunte le quattro case del paesino appunto di Cadignano (che sta per Ca' di Gnano o simile), siamo accolti da un simpatico cagnolone, seguito a breve dal padrone: all'inizio un po' meno simpatico, lui, ma è stata colpa del cappello di Marco che a quanto pare ha un cattivo appeal sugli abitanti di Ca' di Gnano... peccato, perché è uguale al mio: vedremo di risolvere questo problema magari chiedendo aiuto a Obama.


Insomma fra una chiacchiera e l'altra veniamo a conoscere questo personaggio pittoresco, che ha dipinto il garage in stile indiano e anche lui si presenta un po' in stile indiano ma lo tradisce l'accento modenese stretto come il ponte di Cadignano. Ci racconta alcuni divertenti aneddoti, come quello sull'origine etimologica del nome Romanoro (un paese qui vicino): siccome in dialetto suona 'Armanur, secondo lui risalirebbe a non meglio identificati "Galli armani", che avrebbero abitato questa zona prima dei romani, fondando anche Modena. Il nome sarebbe poi stato storpiato in Romanoro in tempi successivi, in una sorta di damnatio memoriae anti-gallica: similmente a Latina, che durante il fascio si chiamava Littoria, o al paesino piacentino di Belnome in val di Zerba che prima si chiamava Merda. E ritengo che questa sia una conclusione all'altezza della dissertazione.


Cerchiamo di liquidare il buon indiano di Cadignano che vorrebbe liquidarci con un bicchiere di vino, siccome il tempo stringe e volge al brutto, e noi vorremmo vedere il ponte senza liquidarci con un temporale... proseguiamo in discesa scortati dal suo cane, e lo salutiamo al rientro. Ci consiglia una scorciatoia e si raccomanda di non lasciare in giro rifiuti e rispettare l'ambiente... giustissimo, peccato che lungo la scorciatoia, pochi metri a monte del paese, troviamo niente meno che la carcassa di un'auto (risalente forse ai Galli armani); e poco più su un po' di amianto a pezzi (non si sa mai che si scivoli, sulla terra!)... e difficilmente un escursionista, per quanto maleducato sia, si porta un'utilitaria e lastre di amianto nello zaino. Noi al massimo lasciamo in giro qualche buccia di banana, specialmente Fabio.


Amianto a parte, la scorciatoia si rivela ripida ma azzeccata; e dopo un po' di strada asfaltata, con giusto qualche goccia di pioggia del tempo che non ne poteva più dopo 20 giorni di sole, raggiungiamo Montebiotto e da qui, in discesa, Castagnola: la nostra auto è ancora l'unica parcheggiata nel posto riservato ai ferratisti diretti al Pizzo di Castelpizigolo, nome strano tanto quanto alcune persone che si trovano da queste parti! Ma sempre meglio un tipo strano in montagna che uno banale in città.


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