lunedì 22 luglio 2013

Dai Cancelli a Staiola passando per Roccabiasca e Aquilotto

Dopo una settimana di caldo e afa cittadina, la lancetta del montagnatometro raggiunge livelli allarmanti, peggio del contagiri di un R6 in prima dopo 1 km. Avrei voglia di scoprire nuovi sentieri e ferrate sulle Alpi, ma devo ancora una volta accontentarmi delle montagne di casa: per fortuna riescono sempre a sorprendermi, e qualcosa di impegnativo si trova sempre anche qui, con un po' di fantasia.

In cima a Roccabiasca

Non ho l'auto, e mi faccio lasciare ai Cancelli di Lagdei (1286m), dove termina l'asfalto; mi incammino sulla sterrata diretta ai Lagoni. Sono le 10,30, e comincia ad esserci un discreto passaggio d'auto: niente mi nega una buona porzione di polvere! Proseguo costeggiando la Riserva Naturale Guadine/Pradaccio, di cui la strada è il limite inferiore: spazio interdetto agli escursionisti e in buona parte recintato (vengono organizzate visite guidate), si estende nella valle del torrente Parma di Francia, compresa fra Roccabiasca e monte Sterpara, con al centro il suggestivo Lago del Pradaccio.

Orchidea sui prati in quota

Dopo circa 2 km la rete della Riserva termina, o meglio compie una curva a gomito: qui (quota 1203) comincia il sentiero che devo percorrere, il 721 diretto a Roccabiasca, che costeggia il limite orientale della riserva risalendo l'unico versante dolce (N) di questa splendida montagna. La salita nella faggeta dà poche tregue, e quando sbuco nei primi prati la cima di Roccabiasca appare giusto per un attimo: è ancora lontana, e sembra un balconcino sul nulla, circondato da corvi inquietanti, attratti dalla croce su cui amano lasciare i propri bisogni.


La salita prosegue, alternando brevi tratti di bosco a mirtillaie ombrose, ancora sguarnite di frutti; dopo gli ultimi alberi ricompare finalmente la vetta, ormai vicina. I prati sommitali si restringono sempre di più fino alla croce, e dopo il bivio per le Capanne del Badignana il sentiero si sposta verso O, andando ad affacciarsi sulla conca del Pradaccio: lo specchio d'acqua si presenta piccolo e rotondo, e si può soltanto intuire il precipizio severo che ci separa da lui.


Sulla cima (1727) il sentiero naturalmente si ferma, e si può proseguire solo con lo sguardo (o con esperienza e attrezzatura lungo la cresta Sud, itinerario alpinistico rinomato d'inverno); siamo nel cuore dell'Alta val Parma, e possiamo contare tutte le cime del crinale, oltre a vedere un triangolo di Lunigiana oltre il passo delle Guadine. Purtroppo la giornata è umida e fosca (tanto per cambiare) e fatico addirittura a vedere l'Alpe di Succiso.


Torno indietro sino all'unico bivio, dove volto a destra verso il Badignana; in ripida discesa, costeggio l'accidentato versante E di Roccabiasca, con i suoi regolari gradoni di arenaria macigno.
Rientrato nel bosco, raggiungo la grande Capanna del Badignana (1473): adibita a bivacco (con il sistema innovativo di apertura con codice, fornito all'atto della prenotazione), si trova al limite di una splendida conca pianeggiante, attraversata da ruscelli e dominata su due lati dalle pareti di Roccabiasca e monte Scala.

Capanna del Badignana, sullo sfondo il monte Scala

Sistema per l'apertura del bivacco
Nel bosco sopra la Capanna, dove scendo a rimpinguare la borraccia, trovo il bivio con il 719, diretto al Lago Santo. Riprendo a salire nel bosco, dove incontro i primi due escursionisti della giornata, fino a ritrovare i prati presso la Sella del Brusa: qui comincia la cresta sud di Roccabiasca, preceduta da almeno altre due cime ben distinte.
La cresta sul versante del Badignana: Roccabiasca è in secondo piano in ombra
 Appena girato l'angolo, la fisionomia della montagna cambia di nuovo: si apprezza ora in tutta la sua imponenza la parete (giusto chiamarla così) ovest, che precipita sul lago del Pradaccio.


Il sentiero prosegue in quota verso il vicino passo delle Guadine, attraversando uno splendido vallone pieno di tracce dell'antico ghiacciaio; decido di compiere una deviazione a destra sul 719a, che non avevo mai percorso. Si tratta di una variante a un sentiero già poco frequentato, quindi lascio immaginare in quali condizioni lo ho trovato: i segni di vernice sono pochi e sbiaditi, la vegetazione rigogliosa, di ometti in pietra nemmeno parlarne.

Ambiente verso le Capanne delle Guadine

Mi tocca dunque ravanare un po', ma è il momento più bello della giornata: il sentiero non è più segnato ma con un po' di attenzione si vede, e lo si intuisce seguire la via che oltrepassa nei punti più logici i risalti rocciosi. Si capisce che si tratta di un sentiero vecchio, percorso dai pastori che salivano la valle del Pradaccio (evidentemente non ancora riserva naturale!) per raggiungere il passo delle Guadine e i grandi prati del Monte Brusa.

Antica pavimentazione del sentiero

Superato un avvallamento, intravedo nella direzione del sentiero l'elemento che dimostra quanto detto sopra: le Capanne delle Guadine (1580), ormai ridotte a ruderi, circondate da numerosi mucchi regolari di pietre (anch'essi opera dei pastori per “pulire” i prati) con cui quasi si confondono.
Capanne delle Guadine

Alle capanne non posso più scendere, dato che penetrerei nella Riserva; infatti il 719a torna quasi indietro in salita, con una brusca curva a gomito.

Tracce degli antichi ghiacciai: sullo sfondo il passo delle Guadine

Non si tratta più ora di un tracciato antico e logico, ma con ogni probabilità di un taglione fatto a posteriori per tornare direttamente al passo delle Guadine (1680); essendo anche lui lasciato a se stesso, individuarlo risulta più complesso, così mi tocca attraversare qualche mirtillaia (e orticaia...). Con un po' di fatica raggiungo dunque il valico, affacciato sulla Lunigiana, dove alcuni escursionisti presenti avranno forse seguito curiosamente il mio ravanaggio nella valle sottostante.

Cippo confinario con segno del Granducato di Toscana presso il passo delle Guadine

Della Lunigiana si vede ben poco per colpa della foschia, comunque decido di percorrere ugualmente lo 00, il sentiero di crinale che risale subito i pendii del monte Aquila (1780); superata la cima di questo montagnone arrotondato e un po' anonimo, scendo a una nuova sella e seguendo sempre lo 00 mi preparo ad affrontare il suo fratellino, cioè l'Aquilotto: in realtà leggermente più alto (1788), si differenzia dall'Aquila per la minore grandezza, compensata da un aspetto più agile e roccioso: verso la Lunigiana precipita in strapiombi spaventosi.

In primo piano l'Aquilotto, dietro il Marmagna, sullo sfondo l'Orsaro


Dalla piccola cima (purtroppo infestata da un formicaio perenne) si vedono sia il lago Santo sia quello del Pradaccio, separati dalla boscosa cresta dello Sterpara che parte proprio dall'Aquilotto.
Cima dell'Aquilotto: notare le formichine sul cartello...
Sono così passato nella zona più frequentata del nostro Appennino, specialmente la domenica: si vede molto bene il tracciato del sentiero 723, autentica autostrada fra il Lago Santo e il Marmagna.

A sinistra il lago Santo, a destra quello del Pradaccio

Per salire sull'Aquilotto – e soprattutto per scendere – il sentiero 00 è però abbastanza delicato, e sono presenti ben due varianti che passano sotto la cima. Chi è salito da Lagdei in seggiovia e si avventura su di qui con le scarpette lisce (quando non in ciabatte o sandalini, non rari da vedere sul Marmagna) rischia grosso: il sentiero nei pressi della cima è ripido e reso sdrucciolevole da ghiaia e sfasciumi; e una scivolata qui rischia di concludersi qualche centinaio di metri giù verso la Lunigiana.


Dopo l'Aquilotto raggiungo la Sella del Marmagna (1734), dunque scendo fino al Lago Santo (1508); attorno al bel Rifugio Mariotti c'è un gran brulichio di gente: chi in infradito, chi in paperelle, chi con stivali e giubbotto da moto... incredibile pensare che a meno di mezz'ora da qui, dietro le creste dello Sterprara, si distenda l'alta valle delle Guadine, solitaria nella sua bellezza: una distanza breve, che rispecchia quella fra l'escursionismo e la gita domenicale fuori porta.

Il vallone fra Aquilotto e Marmagna, col Lago Santo
Dopo un caffè al Mariotti, per dare anch'io il mio piccolo contributo all'economia locale, riparto in discesa lungo il trafficato 723, la via diretta che sale da Lagdei. Arrivato a Ponte Rotto però non scendo a destra (col 727) verso il rifugio affollato di auto e moto, ma proseguo sul 723.
Visto sulla cartina, questo tratto di sentiero è meravigliosamente dritto: si tratta del Sentiero Maria Luigia, costruito dalla duchessa di Parma (e moglie di Napoleone) agli inizi dell'Ottocento: un'opera notevole, munita di muri a secco e lastre lisce a mo' di pavimentazione.
Il sentiero di Maria Luigia
Insieme ai cippi di confine col Granducato di Toscana sul crinale e alle pietre ammassate dai pastori negli alpeggi, il Sentiero Maria Luigia è il più antico manufatto dell'alto Appennino Parmense, e ancora oggi è intatto e percorso regolarmente, a dimostrazione dell'abilità degli ingegneri del tempo (mentre le strade che salgono da Parma franano ogni anno).
Il sentiero, ampio e comodo, accompagna così in dolce discesa fino a Prato della Valle (1250), dove si unisce alla sterrata (segnavia 725) fra Lagdei e il monte Tavola. Passato un cancello, raggiungo brevemente i bei pascoli di Roncobuono, dove lascio la carraia per scendere a destra con il 723 diretto a Bosco di Corniglio. Il sentiero, che abbiamo sistemato meno di due mesi fa con il Cai di Parma, si presenta in questo tratto molto sporco, per via della vegetazione cresciuta rigogliosa con tanto di rase e ortiche.


Alternando tratti di sentiero a sterrato e asfalto, raggiungo la bella località Tragiara, dunque il bacino idroelettrico di Bosco, e le prime villette isolate sopra il paese. Un'ultima lunga (e inutile) ravanata, cercando sentieri che non esistono più, mi permette di tagliare un tratto di strada asfaltata: sbuco fuori dai boschi in un campo di fronte al paese di Costa, dove incontro un capriolo: ecco chi traccia questi percorsi!

Tre km di strada asfaltata al sole (e anche se sono le 18 fa ancora caldo) mi separano da una bella birra fresca a Staiola, dove ho seconda casa. Il motivo di questa lunghissima discesa a piedi è stata proprio la frana che isola il mio paesino da Bosco e Lagdei: passando dalla frana (e si passa solo a piedi o in moto da trial) non ho incontrato ruspe, ma solo auto e moto che arrivavano e tornavano indietro, giustamente contrariate... finché non si decideranno a riaprire questa importante arteria fra Berceto (con l'A15) e l'alta val Parma, mi toccherà dunque partire direttamente a piedi verso le montagne del crinale, non esattamente dietro l'angolo... Lo prenderò come un buon allenamento in vista delle distanze e i dislivelli alpini!
Relazione del percorso (parziale, con andata e ritorno dai Cancelli): Tutto attorno alla Riserva del Pradaccio, anello dai Cancelli

2 commenti:

  1. Complimenti per il blog. Mi hai dato un bello spunto per una escursione a ferragosto che non ho ancora fatto. Volevo chiederti dato che conosci molto bene l'appennino, c'è speranza di trovar mirtilli neri e non quelli blu? Io non ne ho mai trovati :(

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  2. Grazie! guarda di mirtilli so che ci sono quelli azzurri (pianta con le foglie scure) e quelli blu scuri (pianta con le foglie chiare), che sono più buoni. Ora li trovi entrambi in abbondanza! buona passeggiata di ferragosto e buoni mirtilli!

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