giovedì 22 maggio 2014

Via alpinistica Roberto Fava alla cresta dello Sterpara, con tramonto sul Lago Santo

Sbarchiamo a Lagdei attorno alle 15, in una soleggiata domenica pomeriggio: per fortuna troviamo un parcheggio libero per il mio furgoncino. I faggi sono verdi, gli abeti sempreverdi, il prato davanti al rifugio verdeggia anche lui pieno di gente crogiolata al sole: sembra di essere in Piazzale della Pace a Parma, mancano solo gli spacciatori!

Rifugio degli Uffici della Provincia di Parma

Mario sistema la sua bambinona
Attraversiamo il campetto seguiti da sguardi curiosi, della serie: "Ma cosa ci fanno in montagna questi due con la corda e i caschi appesi allo zaino?"; ma forse ho sottovalutato gli avventori di Lagdei, forse sono più svegli dell'apparenza e in realtà si stanno chiedendo: "Cosa ci fanno questi due con una corda da 70 metri a Lagdei? Falesie che non ci sono, o forse vogliono legarci qualcuno che gli sta antipatico?". Col tempo ci procureremo una o due mezze corde!




Lago Santo con cresta dello Sterpara (manca l'ultimo sperone a sinistra)
Mario sembra comunque non patire troppo il peso dello zaino in salita, e brevemente raggiungiamo il Lago Santo: il colpo d'occhio è mozzafiato, come al solito, ma oggi c'è qualcosa di nuovo: un raro esemplare di rugbista - alpinista - mountain runner seduto sul tavolino fuori dal rifugio: è Topper, che già conoscevamo virtualmente per le sue volate qui in Appennino e dintorni; ma le sue origini rimangono avvolte nel mistero.

La prima sosta
Salito al mattino da una via a Rocca Pumacioletto (sopra i Lagoni) è venuto qui al Lago Santo percorrendo il crinale: così, giusto per fare una passeggiata. Ci fermeremmo volentieri per una birra in compagnia, ma sono le 15,30 passate, un orario in cui gli alpinisti di norma si godono la birra alla fine del giro; noi invece dobbiamo ancora cominciare!


Riprendiamo a camminare, costeggiamo il lago per poi salire alla Pineta: già qui vediamo le indicazioni per la nostra meta, la Via alpinistica Roberto Fava. Passiamo sul 719, lo seguiamo per pochi minuti sino a svoltare a sinistra, salendo nel bosco fino a uscire in un canalotto con ancora neve: lo risaliamo aiutati da ometti di pietra, godendo dello scorcio commovente sul Lago Santo alle nostre spalle.


Vista insolita del Marmagna
Ormai in fondo alla salita, si raggiunge il crinale boscoso che unisce l'Aquilotto allo Sterpara: voltiamo dunque a sinistra, seguendone il filo fino a trovarci sotto il primo sperone roccioso: qui inizia la via alpinistica Roberto Fava. Dopo la salita accalorata, ci accoglie qui un vento gelido, che accompagna nuvolozzi formatisi sul versante marittimo: innocui, ma comunque capaci di coprire il sole e costringerci ad arrampicare ben imbacuccati.




Il primo tratto della via
Attacchiamo la cresta alle 16,30. Mario va sempre da primo, è lui il corsista di alpinismo: io non sono ancora capace di usare la piastrina GiGi per fare sicura, e non vorrei combinare danni! Fin da subito capiamo che la corda così lunga è soltanto un peso: i tiri sono corti, le soste ravvicinatissime (infatti qualcuna la saltiamo fin da subito). Numerosi spit rendono psicologicamente più sicura la progressione, il primo spuntone è abbastanza esposto ma decisamente facile e ben appigliato; peccato solo per qualche roccia un po' ballerina.


Superato un grande masso sporgente, siamo sulla vetta erbosa dello Sterpara (1685): volendo avremmo potuto arrivarci con un unico tiro dall'inizio della via! Le nuvole giocano ad avvolgere le cime attorno a noi: a destra l'elegante cresta di Roccabiasca domina la valle del Pradaccio, riserva naturale integrata, col suo lago ormai avvolto in un sonno d'ombra; mentre sul Lago Santo il sole batterà ancora a lungo. La cresta Sterpara è l'ultima verso ovest delle dorsali minori che si staccano dal crinale tosco-emiliano separando le valli parmensi: tutte interessanti a livello alpinistico, d'estate e inverno.

Roccabiasca vista dallo Sterpara

Ravaniamo per bene nel bosco con ancora neve prima di raggiungere il secondo tiro, uno spigolone bello compatto, che ci induce a metterci le scarpette per procedere meglio. La parte di arrampicata divertente però finisce subito, e ci ritroviamo in una selva di pietre dove Mario fatica a trovare una sosta, ma con un po' d'impegno la trova: siamo nel punto più vicino al lago Santo, che da questa prospettiva nuova sembra ancora più grande.



Il terzo sperone è vicino, ma occorre attraversare un boschetto e rimettersi gli scarponi. Eccoci nel passaggio centrale della via, e probabilmente il più difficile (comunque evitabile passando a destra): una placca di 6 - 7 metri abbastanza liscia, ma comunque a ben vedere prodiga di appigli e soprattutto spit! Siamo sul IV grado "abbondante", ma con le scarpette passiamo senza problemi. Mario fa sosta su un albero, ci rimettiamo per la terza volta gli scarponi sperando di tenerceli una volta per tutte.

Sotto il terzo sperone

Quarto sperone: salita...
...quarto sperone: discesa!
Purtroppo le speranze si rivelano vane: dopo l'ennesimo bosco di collegamento, ci troviamo quasi all'improvviso sotto il quarto sperone, un nuovo spigolo molto estetico all'apparenza non tanto più facile rispetto al passaggio precedente... ci tocca rimetterci le scarpette!

Ormai sono le 19,30, la luce si è fatta radente, le nuvole se ne sono ormai andate, l'atmosfera magica fa godere dell'ora tarda. Potremmo tagliare a destra per scendere direttamente al lago Santo, ma ci manca solo l'ultimo sperone e vogliamo arrivarci in fondo (con gli scarponi, ci trovassimo anche di fronte a un V grado!!!).

Verso l'ultimo salto di roccia

Il bosco è più lungo, procediamo in stile "conserva da falesia", con Brunelli al guinzaglio che va dove gli dice il navigatore. Superiamo un nasino roccioso dove legarsi è inutile e siamo finalmente sotto l'ultimo salto roccioso, più simile al primo come lunghezza. La sosta non c'è, ci leghiamo a due alberi e decidiamo di liquidare tutto con un unico tiro: basterà poco più di metà corda.

La penultima sosta
E' questo il tratto forse più facile fra i 5 della via, ma l'uscita ha il suo fascino: l'ennesimo breve spigolo geometrico di arenaria macigno, vista aerea su due laghi e una successione emozionante di montagne baciate dall'ultimo sole che sta calando lentamente proprio dietro la cima dell'Orsaro. Sono ormai le 20 quando mettiamo nello zaino imbrago, ferri e cordami, apprestandoci alla discesa che non sarà banale.

Quinto e ultimo sperone della via

Fine della cresta!

Rimasti vicino al crinale ormai boscoso (stando sul versante Pradaccio) raggiungiamo una piccola selletta, dove la discesa sul versante Lagdei è ripida ma fattibile, magari aiutandosi con i faggi, mal che vada stampandoseli in volto. Per par condicio porto io la corda di Mario, potendo apprezzare sui ginocchi tutto il suo peso! Sbuchiamo nel sentiero 723 b delle Carbonaie, diretto ai Cancelli; per scendere a Lagdei occorre percorrerlo brevemente a sinistra fino a incrociare il 723a che in una ventina di minuti ci riporta all'auto, una delle ultime rimaste. Rifugio chiuso, Piazzale della Pace sgombro, planiamo verso la vera Parma con una fame non da quarto grado, da quarto mondo!

La relazione che avevamo in tasca by Red Climber!

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