Prima di tutto per la compagnia:
ragazzi e ragazze simpaticissimi, disponibili, preparati; poi per la
location: più scopro l'alta val d'Aveto più vorrei scoprirla
ancora; infine per la soddisfazione personale di aver organizzato
un'escursione che è piaciuta a tutti, oltre tutto su sentieri mai
percorsi prima.
Vedere, anzi vivere il giro che si
sviluppa per il meglio, è una sensazione meravigliosa: come quando
componi una canzone per il tuo gruppo di amici, e senti chitarra,
basso, batteria imparare piano piano e svolgere sempre meglio la
loro parte, e il pezzo che avevi in testa prende vita mano a mano;
così camminando vedi comparire le valli e le montagne che ti
aspettavi, nella forma che ti eri prefigurata; e i sentieri si
presentano nel posto giusto, o quasi: e dove sorge un dubbio i
compagni sono pronti a discutere mettendo in gioco la loro
esperienza, il loro orecchio per un accordo o un tempo che non va
bene. Così l'escursione diventa una sinfonia, e con questo si può
chiudere con la retorica e iniziare a parlare di montagna.
Partiamo da Parma in un orario da cristiani, qualcuno ha fatto le ore piccole, qualcun altro piccolissime... arrivati a Bedonia, dove ci ricongiungiamo con gli altri partecipanti, il tempo non sembra promettere bene: una corona di nubi copre tutte le cime dell'alta val Taro. Ormai però un pochino abbiamo imparato a conoscere i tranelli di queste montagne... salendo verso il passo del Tomarlo, la foschia si dirada e le cime più alte appaiono luminose sotto il sole.
Scesi a S. Stefano d'Aveto
naturalmente rientriamo nelle nubi, ma con la garanzia di uscirne
presto; ci riforniamo di focaccia e cartina, e saliamo a Rocca
d'Aveto, vicino all'imbocco della seggiovia.
Chiediamo informazioni a una paesana
preparatissima, che ci spiega dove comincia il nostro sentiero.
Salendo in direzione della valle Tribolata, il Parco dell'Aveto ci
mostra un ricco campionario dei suoi aspetti naturalistici unici in
Italia: una vegetazione allo stesso tempo mediterranea e alpina, con
pini marittimi e ginepri di fianco agli abeti bianchi; fioriture rigogliose, nascoste fra rocce vulcaniche rosse e nere; mentre nella
nebbiolina persistente – che se non altro ci ripara da un sole già
scottante – si materializzano incombenti e verticali le pareti del
Groppo Rosso.
Partenza a Rocca d'Aveto |
Il Groppo Rosso |
Entrati in una più fresca faggeta,
aggiriamo questi affioramenti e sbuchiamo improvvisamente nella Valle
Tribolata. E' difficile non cedere alla retorica per descrivere un
posto del genere: una frana colossale di pietre rossastre: case,
palazzi, torri di una città geologica martoriata da forze terribili,
sovrumane; che ha perso ogni logica urbanistica, ma continua a
mostrare una dignità minacciosa a chi si avventura fra le sue vie
accidentate e contorte.
La valle Tribolata |
Dopo avere visto da dentro la valle Tribolata, torniamo brevemente indietro nel bosco per imboccare la Ferrata Adolfo Ferrari, e ammirarla dall'alto. Una ripida salita e siamo all'inizio del cavo, che si mantiene sul filo di cresta in direzione del Monte Roncalla (1683).
Personalmente ho trovato bellissima, anche se breve, questa ferrata: sia per il contesto ambientale, sia per il percorso poco esposto e totalmente privo di gradini o pioli.
La sorpresa poi è quella di sbucare sui prati pieni di fiori del monte Roncalla, che ci mostra la sua faccia dolce e del tutto inaspettata.
Arrivo al monte Roncalla |
Incrociamo altri escursionisti, ci
facciamo fare qualche foto e mangiamo la focaccia bella unta comprata
a S. Stefano. Unico peccato, la foschia e le nubi sopra il mare, che
limitano il panorama! La tentazione di restare sdraiati al sole è
comune, ma è già mezzogiorno passato, non siamo nemmeno a metà percorso e
ci attende un'altra ferrata: bisogna andare!
Scesi verso Prato Cipolla e il Groppo Rosso, rientriamo nella faggeta e facciamo un poco di confusione con i sentieri (ci sono molti bivi, e la cartina non è chiarissima): comunque troviamo presto la strada giusta, e sempre in un bellissimo bosco, prima in spiano poi in discesa, passiamo sul versante piacentino.
L'alta val Nure è più fresca e in ombra rispetto alla conca di S. Stefano d'Aveto, e anche a livello naturalistico è tutta un'altra cosa: ricorda più le altre valli emiliane, con ampie faggete, laghi glaciali, pinnacoli possenti e robusti di roccia calcarea.
Alla fontana Gelata, proprio dove sorge il Nure, rimpinguiamo le borracce e riprendiamo a salire ripidamente nel bosco fino al Bivacco Sacchi.
Sorgenti del Nure |
Bivacco Sacchi |
L'ultima lunga scala della Ferrata Mazzocchi |
L'arrivo è
anche qui rigenerante, direttamente dalle rocce in ombra ai prati
assolati e fioriti del Groppo delle Ali.
Fine della ferrata Mazzocchi |
Sotto il Dente della Cipolla |
Scesi poi al Prato della
Cipolla (Rifugio chiuso, a dispetto di quanto scritto sul sito
internet...), proseguiamo in discesa verso Rocca d'Aveto, sempre
alternando il bosco ad aperture panoramiche sulle pareti vertiginose
del Monte Maggiorasca (1804) e i suoi vicini.
Il Prato della Cipolla |
Monte Maggiorasca |
Arrivati alle macchine alle 18, ci
concediamo una sosta birra al bar dove avevamo chiesto informazioni
al mattino. Conosciamo qui due personaggi notevoli: il vicesindaco di
S. Stefano d'Aveto con delega al turismo, che ci racconta un sacco di
cose interessanti sul Soccorso Alpino e sulla stazione sciistica del
monte Bue; e un suo amico... “originale”, che ci offre una
bottiglia e ci intrattiene con discorsi decisamente meno ufficiali.
Tra un bicchiere e una chiacchiera si fanno così le 19: partiamo con tre ore di ritardo rispetto al programma originale, ma sono piccoli dettagli! I due ragazzi che ci hanno raggiunto dalla Lunigiana sfilano al mare per un bagno pre-serale, proprio per non farsi mancare nulla! Mentre noi rientriamo in città per le 21, stanchi ma soddisfatti della giornata davvero perfetta.
Relazione tecnica del giro: Anello delle ferrate Ferrari e Mazzocchi fra alta val d'Aveto e Nure
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