Il mio primo giro sulle ciaspole volevo farlo sulle Alpi Orobiche: montagne dove non ero mai stato, ma di cui avevo sentito parlare molto bene. Il rischio elevato di valanghe mi ha costretto a ponderare attentamente la scelta dell'itinerario, e dopo aver spulciato cartine e relazioni online la scelta è caduta sull'alta val di Scalve: panoramica, molto frequentata, abbastanza sicura.
Strade piacevolmente sgombre fino a Boario Terme, mentre a Schilpario troviamo un discreto movimento, con tanto di mercato. Arriviamo attorno alle 10 in località I Fondi (1261), dove una sbarra blocca la strada per il Passo del Vivione (inaccessibile in inverno); molte le auto parcheggiate. La giornata è magnifica, anche se il sole tarda a sbucare dietro le alte montagne a sud della valle: ci saranno 20-30 cm di neve, e alcuni operai stanno sistemando i fili della linea elettrica danneggiati dal vetro-ghiaccio.
Intuiamo subito la via da seguire, già così tanto battuta da indurci a camminare con le ciaspole agganciate sullo zaino. C'è un via vai di gente che non avrei mai sospettato: ciaspolatori, scialpinisti, ragazzini col bob, persone che semplicemente fanno una passeggiata... a quanto pare non siamo i soli ad avere avuto l'idea di venire in questa valle splendida e relativamente protetta dalle slavine!
Presto purtroppo scopriamo che ci sono anche altri fruitori di questa valle: le motoslitte. Un fastidioso rombo, unito al fumo lasciato sul sentiero dopo il loro passaggio, rovina l'atmosfera che si dovrebbe respirare in un luogo ameno e lontano dalla città. Sono dell'idea che andrebbero drasticamente proibite, o lasciate girare solo di notte.
martedì 31 dicembre 2013
sabato 28 dicembre 2013
Bazzano e la mostra dei presepi, l'atmosfera genuina del Natale
Sulle prime colline fra Parma e Reggio, terre matildiche sorvegliate dall'antico castello di Canossa, sorge Bazzano: un paese simile a molti altri nei dintorni (in questo periodo decisamente morti), ma che si anima con l'arrivo del Natale. Girando per le frazioni e il "centro" del paese fino al 6 gennaio, si incontreranno più di 200 presepi, esposti un po' dappertutto: nel giardini, alle finestre, nelle vetrine delle attività.
La collaborazione fra Pro Loco, un gruppo culturale e soprattutto gli abitanti del paese, ha reso possibile questa manifestazione (Il paese dei presepi) per il sesto anno di fila, riscuotendo un buon successo. Tante persone hanno deciso di passare qui il pomeriggio di Santo Stefano, con una temperatura piacevole, l'aria limpida con vista aperta verso la pianura e le montagne coperte da nuvoloni mastodontici.
Il presepe della farmacia |
La collaborazione fra Pro Loco, un gruppo culturale e soprattutto gli abitanti del paese, ha reso possibile questa manifestazione (Il paese dei presepi) per il sesto anno di fila, riscuotendo un buon successo. Tante persone hanno deciso di passare qui il pomeriggio di Santo Stefano, con una temperatura piacevole, l'aria limpida con vista aperta verso la pianura e le montagne coperte da nuvoloni mastodontici.
giovedì 26 dicembre 2013
Grugno e San Secondo, il cuore grigio della bassa
Una tenuta agricola, quattro o cinque edifici, i mattoni marroncini lisi dal tempo: le vecchissime mappe IGP le conferiscono ancora l'onore di un nome: località Magrina. Qui, prima ancora che stampassero quelle mappe, passava sicuramente la stradina di campagna che collegava San Secondo a Pontetaro e alla via Emilia, sulla sinistra del Taro, attraversando Bianconese e Grugno: paesini che un nome ancora ce l'hanno, forse per poco.
Oggi località Magrina è compresa fra la Tav e l'A1, da poco congiunta con l'A15, parallela alla stradina di campagna. Questa le gira attorno con un cavalcavia, come se fosse la sua tangenziale. Le finestre sono chiuse, ma qualcuno vive ancora a Magrina: quasi sicuramente zingari, gente che crediamo nomade o stanziata in campi pagati coi nostri contributi, ma che spesso occupa gli edifici un tempo floridi e oggi dimenticati, schiacciati dal nostro magnifico progresso.
E' la mattina di Natale, e per apprezzare il calore del pranzo in famiglia decido di calarmi prima nella desolazione più profonda e sconfinata che soltanto la bassa sa offrire; specialmente in giornate uggiose e grigie come oggi. Bisogna anche farsi venire appetito e smaltire un minimo la cena prima, ma preferisco insistere sulle motivazioni metafisiche, senza rovinare il Natale con bestemmie per non avere portato la macchina fotografica: sperimenterò Google Streetview all'interno del post.
Dopo la via Emilia Bis l'Interporto l'A15 l'A1 la Tav, insomma dopo Magrina, finisce la parte più civilizzata della bassa e comincia quella autentica. La stradina prosegue - pericolosissima - costeggiando un alto argine, finché un cartello non indica Grugno: un nome poco consono a paesi accoglienti. Il primo edificio a darmi il benvenuto infatti è il cimitero, piccolissimo e malandato, forse abbandonato persino dai morti.
Visualizzazione ingrandita della mappa
Oggi località Magrina è compresa fra la Tav e l'A1, da poco congiunta con l'A15, parallela alla stradina di campagna. Questa le gira attorno con un cavalcavia, come se fosse la sua tangenziale. Le finestre sono chiuse, ma qualcuno vive ancora a Magrina: quasi sicuramente zingari, gente che crediamo nomade o stanziata in campi pagati coi nostri contributi, ma che spesso occupa gli edifici un tempo floridi e oggi dimenticati, schiacciati dal nostro magnifico progresso.
E' la mattina di Natale, e per apprezzare il calore del pranzo in famiglia decido di calarmi prima nella desolazione più profonda e sconfinata che soltanto la bassa sa offrire; specialmente in giornate uggiose e grigie come oggi. Bisogna anche farsi venire appetito e smaltire un minimo la cena prima, ma preferisco insistere sulle motivazioni metafisiche, senza rovinare il Natale con bestemmie per non avere portato la macchina fotografica: sperimenterò Google Streetview all'interno del post.
Dopo la via Emilia Bis l'Interporto l'A15 l'A1 la Tav, insomma dopo Magrina, finisce la parte più civilizzata della bassa e comincia quella autentica. La stradina prosegue - pericolosissima - costeggiando un alto argine, finché un cartello non indica Grugno: un nome poco consono a paesi accoglienti. Il primo edificio a darmi il benvenuto infatti è il cimitero, piccolissimo e malandato, forse abbandonato persino dai morti.
Visualizzazione ingrandita della mappa
sabato 21 dicembre 2013
Piste vuote governo ladro? Riflessioni sulla crisi dello sci su pista
Sul numero di dicembre del mensile Cai Escursionismo360 è presente un valido articolo sulla crisi delle località sciistiche alpine: l'autore delinea un quadro completo della situazione, proposte vie d'uscita, fornisce spunti di riflessione.
Le località alpine negli ultimi decenni hanno investito quasi tutto sul turismo invernale - ad essere precisi, su un singolo tipo di turismo invernale, quello dello sci su pista: si è speculato sulle seconde case, costruito mega-resort in alta quota, riempito valli e altipiani con una fittissima rete di impianti di risalita.
Tutto questo ha un prezzo altissimo, in termini ambientali ma anche semplicemente economici: ce ne rendiamo conto quando alla cassa paghiamo lo skipass. E se una manciata di ricchissimi russi - che magari usa le banconote come carta igienica - non si fa grossi problemi a sborsare più di 200 euro per uno skipass settimanale, molti italiani ed europei alle prese con la crisi ci pensano su un po' più a lungo.
Il risultato è che gli albergatori, spesso già alle prese con una tassazione poco amichevole, piangono; le seconde case rimangono vuote; e gli impianti girano a vuoto per buona parte dell'inverno.
Ma questo è nulla in confronto alla crisi che lo sci alpino potrebbe subire con i cambiamenti climatici in atto: inverni con meno precipitazioni nevose, innalzamento delle temperature. E' la tendenza sul lungo periodo che va presa in considerazione, andando al di là di scoop e profezie dei meteorologi da tabloid: tra qualche anno sciare a meno di 1500-1800 metri potrebbe rivelarsi arduo, anche con la neve artificiale (la cui produzione consuma peraltro grandissime quantità di acqua).
La soluzione a tutto questo non può essere continuare a costruire e ad ampliare le stazioni sciistiche (come è stato fatto anche negli ultimissimi anni: basti pensare a Pinzolo e Madonna di Campiglio); bisogna piuttosto sfruttare tutto ciò che la montagna può offrire al di là dello sci e al di là dell'inverno: valorizzare le "mezze stagioni", le feste e i prodotti tipici, le forme di turismo alternativo e sostenibile.
Non sono le solite parole vuote: se nell'ultimo weekend (come mi hanno riferito) le piste di Cortina e Canazei erano vuote, sui sentieri del lago di Garda e delle Prealpi bresciane c'erano diversi escursionisti: ma quanta fatica a trovare un bar - non dico un rifugio - aperto! Certo, in pieno autunno queste zone non vedranno mai le folle oceaniche del 15 agosto o del 26 dicembre nelle località più gettonate, ma potrebbero lo stesso offrire qualcosina in più a quei pochi ma buoni avventori: che nelle mezze stagioni stanno diventando sempre di più.
Si tratta di persone che badano al risparmio, cercano in montagna un ambiente radicalmente diverso dalla città, sono disposte a scoprire le tradizioni locali e le particolarità naturalistiche del luogo: cercano nella vacanza un riposo, ma anche un arricchimento personale. Certo, non porteranno tantissimi soldi, ma lasceranno senz'altro meno sporcizia di quella che si trova sotto le seggiovie, come ai lati delle strade.
Su questo tipo di turismo bisogna puntare e investire: la montagna non dovrebbe imitare ad oltranza la città, ma fornirle modelli alternativi, per superare il culto del consumo sfrenato e cieco che dietro maschere trionfanti e smaglianti sorrisi cela in realtà la sua perenne insoddisfazione, la sua sempre più evidente agonia.
Le località alpine negli ultimi decenni hanno investito quasi tutto sul turismo invernale - ad essere precisi, su un singolo tipo di turismo invernale, quello dello sci su pista: si è speculato sulle seconde case, costruito mega-resort in alta quota, riempito valli e altipiani con una fittissima rete di impianti di risalita.
Piste deserte a Cortina sabato 14 dicembre (foto da Skiforum) |
Il risultato è che gli albergatori, spesso già alle prese con una tassazione poco amichevole, piangono; le seconde case rimangono vuote; e gli impianti girano a vuoto per buona parte dell'inverno.
Ma questo è nulla in confronto alla crisi che lo sci alpino potrebbe subire con i cambiamenti climatici in atto: inverni con meno precipitazioni nevose, innalzamento delle temperature. E' la tendenza sul lungo periodo che va presa in considerazione, andando al di là di scoop e profezie dei meteorologi da tabloid: tra qualche anno sciare a meno di 1500-1800 metri potrebbe rivelarsi arduo, anche con la neve artificiale (la cui produzione consuma peraltro grandissime quantità di acqua).
La soluzione a tutto questo non può essere continuare a costruire e ad ampliare le stazioni sciistiche (come è stato fatto anche negli ultimissimi anni: basti pensare a Pinzolo e Madonna di Campiglio); bisogna piuttosto sfruttare tutto ciò che la montagna può offrire al di là dello sci e al di là dell'inverno: valorizzare le "mezze stagioni", le feste e i prodotti tipici, le forme di turismo alternativo e sostenibile.
Traffico di escursionisti su Cima Comer, Lago di Garda, domenica 15 dicembre |
Su questo tipo di turismo bisogna puntare e investire: la montagna non dovrebbe imitare ad oltranza la città, ma fornirle modelli alternativi, per superare il culto del consumo sfrenato e cieco che dietro maschere trionfanti e smaglianti sorrisi cela in realtà la sua perenne insoddisfazione, la sua sempre più evidente agonia.
martedì 17 dicembre 2013
Cima Comer ed Eremo di San Valentino, i colori del Lago di Garda d'inverno
Strada Gardesana occidentale, una mattina luminosa di dicembre: il traffico forsennato di primavera ed estate non sembra più appartenere a questi luoghi; paesi ridenti e coloriti si affacciano uno dopo l'altro sul lago, assopiti in un letargo cristallino: Salò, Gardone, Toscolano Maderno, Gargnano. In pochi si godono questo spettacolo, passeggiando sul lungolago o pedalando sulla strada; qualcuno sceglie di fare trekking, ispirato dalle montagne che cingono il lago da tre lati.
Arriviamo a Gargnano di buon ora, ma fatichiamo un po' prima di trovare un alimentari per i panini; rischiamo anche di prendere una pallottola per aver staccato un mandarino da un albero lungo il viale (col senno di poi ce l'avremmo lasciato, era buono come un addobbo di natale brusco). La strada panoramica per Valvestino, piena di ciclisti, da Gargnano ci conduce al borgo di Sasso (531), dove parcheggiamo e ci prepariamo a camminare.
Attraversiamo la parte vecchia del paese, con lunghi viottoli paralleli, e seguendo le indicazioni per San Valentino ci ritroviamo su un bel tratturo panoramico in salita (sentiero 31). Gli ultimi ulivi si alternano a querce e castagni, creando piacevoli scambi cromatici col blu del lago e il bianco del Monte Baldo parzialmente innevato.
Panorama da Cima Comer verso il Lago di Garda |
Arriviamo a Gargnano di buon ora, ma fatichiamo un po' prima di trovare un alimentari per i panini; rischiamo anche di prendere una pallottola per aver staccato un mandarino da un albero lungo il viale (col senno di poi ce l'avremmo lasciato, era buono come un addobbo di natale brusco). La strada panoramica per Valvestino, piena di ciclisti, da Gargnano ci conduce al borgo di Sasso (531), dove parcheggiamo e ci prepariamo a camminare.
Sasso e il Monte Baldo |
Inizio sentiero 31 |
Etichette:
Racconti,
Relazioni escursioni
Ubicazione:
25084 Sasso BS, Italia
domenica 15 dicembre 2013
Passo Croce Domini, anticima del monte Frenone: con la piccozza sull'erba
Passo Croce Domini, punto di confine: a ovest val Camonica, a est val Sabbia; a sud Prealpi, a nord Alpi. Non più montagnoni erbosi e tondeggianti, che a stento superano i 2000 metri; bensì valloni glaciali, pareti ombrose, gli imponenti bastioni meridionali dell'Adamello.
In una meravigliosa e mite giornata di sole, con la neve ormai in sofferenza per l'anticiclone persistente, decidiamo con Mario e Alessandro di salire un po' più in alto del solito, e parcheggiamo in località Bazena (1800): qui termina il tratto di strada normalmente percorribile in inverno salendo da Bienno (il passo è sbarrato, anche se una traccia evidente taglia per il campo: con le catene probabilmente si può fare).
Il clima è godibilissimo, alle 10,30 ci mettiamo in marcia senza le ciaspole e saliamo di buon passo fino a Malga Valfredda (2045), col suo laghetto ghiacciato. L'orizzonte è chiuso da una bella corona di cime dominata dal monte Frerone (2664). Proseguiamo sempre sul sentiero 1, sulla carta una mulattiera, nella realtà un traverso costantemente a nord-ovest, con neve dura e diversi passaggi da fare con cautela.
Mano a mano ci rendiamo conto di stare compiendo un amplissimo semicerchio attorno alla val Fredda, perdendo di fatto molto tempo utile; raggiunta una prima forcella ci affacciamo sulla valle di Cadino, con una strada molto più diretta verso quello che ormai era il nostro obiettivo: il lago della Vacca. Dopo aver indossato i ramponi, sempre su infinito traverso (la gamba sinistra ormai è diventata più lunga della destra!), raggiungiamo finalmente il Passo Valfredda (2321).
Monte Frerone |
La conca di Bazena |
Malga Valfredda |
In terzo piano Cima Laione e Cornone di Blumone |
mercoledì 11 dicembre 2013
Gruppo di Carega, Passo Pertica: i predatori della giacca perduta
Lunedì 2 dicembre 2013, ore 7: un personaggio equivoco calca l'incrocio fra via Cremonese e via Ricasoli con passo inquieto, impugnando una piccozza. Passano auto assonnate di gente diretta al lavoro, qualcuno sbarra gli occhi, qualcuno chiude i lucchetti di sicurezza, a un certo punto una Punto accosta: è Marco, in ampio ritardo causa sveglia addormentata, pronto a sgasare metano per correre a recuperare la sua giacca piena di documenti; rimasta sul sentiero per il Passo Tre Croci, Lessinia, 150 km direzione a nord-nord est. Qui il prologo...
Tre ore abbondanti più tardi siamo sulla strada Giazza-Revolto, dove la Punto non dà certo il meglio di sé sui tornanti ghiacciati... così parcheggiamo qualche curva più giù rispetto al giorno precedente. Saliamo a passo svelto per la smania, sappiamo che nessuno può essere venuto qui nelle ultime 18 ore, ma non si sa mai: un lupo in cerca di denaro, un'aquila attratta dal blu...
Marco al Passo Tre Croci 19 ore fa |
Passo Pertica: la meta di oggi vista ieri |
Etichette:
Racconti
Ubicazione:
37030 Giazza VR, Italia
giovedì 5 dicembre 2013
Gruppo di Carega, il fascino invernale delle Piccole Dolomiti, Parte 1
Il massiccio, enigmatico castello di Illasi domina la parte bassa dell'omonima valle, coperta da una dolce distesa di vigneti. L'orizzonte è chiuso a sud dall'opaca pianura veronese, a nord dai contrafforti dell'altopiano dei Lessini e dalle cime scintillanti di neve del Gruppo di Carega: è là che siamo diretti, verso il primo assaggio di Dolomiti che si incontra dalla Pianura Padana.
Ormai in capo alla valle incontriamo Giazza, aggrumato sul fondo di una buca stretta e freddissima, uno degli ultimi paesi dove sopravvive la parlata germanica dei Cimbri; la strada si fa ora più tortuosa e innevata, ma procediamo senza problemi fino alla località Lago Secco (1100 circa), poco sotto il rifugio Boschetto, dove parcheggiamo e ci attrezziamo per partire.
Dopo un primo tratto pianeggiante sul sentiero E5 (tratto del sentiero europeo fra Costanza e Verona) imbocchiamo sulla destra il 276, diretto al Passo Tre Croci. Risaliamo a zig zag il versante sempre più ripido della montagna, in un bel bosco di abeti, e abbiamo modo di trovare diverse condizioni di innevamento: neve ghiacciata prima, fresca dopo; per cui indossiamo via di seguito ramponi e - il fortunato Mario scelto come batti-traccia- le ciaspole (se ne poteva anche fare a meno, ma non conoscendo il sentiero e avendo l'attrezzatura l'abbiamo usata).
Ormai in capo alla valle incontriamo Giazza, aggrumato sul fondo di una buca stretta e freddissima, uno degli ultimi paesi dove sopravvive la parlata germanica dei Cimbri; la strada si fa ora più tortuosa e innevata, ma procediamo senza problemi fino alla località Lago Secco (1100 circa), poco sotto il rifugio Boschetto, dove parcheggiamo e ci attrezziamo per partire.
Dopo un primo tratto pianeggiante sul sentiero E5 (tratto del sentiero europeo fra Costanza e Verona) imbocchiamo sulla destra il 276, diretto al Passo Tre Croci. Risaliamo a zig zag il versante sempre più ripido della montagna, in un bel bosco di abeti, e abbiamo modo di trovare diverse condizioni di innevamento: neve ghiacciata prima, fresca dopo; per cui indossiamo via di seguito ramponi e - il fortunato Mario scelto come batti-traccia- le ciaspole (se ne poteva anche fare a meno, ma non conoscendo il sentiero e avendo l'attrezzatura l'abbiamo usata).
mercoledì 27 novembre 2013
Marmagna e lago Santo, l'inverno apre le danze sull'Appennino parmense
Meta della prima uscita invernale della stagione, e prima cima invernale in generale, è stata giustamente il Marmagna. Una giornata eccezionale, forse la più limpida e scenografica che abbia mai trovato in Appennino: la neve caduta in abbondanza tre giorni prima, seguita dal freddo pungente, ha reso il paesaggio più consono a gennaio che non a novembre.
Arriviamo a Lagdei di buon ora, preceduti soltanto dalla Forestale: il rifugio è chiuso, il termometro segna 8 gradi sotto zero e sul terreno ci saranno 70/80 cm di neve. Ci incamminiamo sul sentiero 727, per fortuna già battuto dalle ciaspole, e in un'oretta siamo al lago Santo, non ancora ghiacciato, giusto in tempo per vedere il sole spuntare da dietro le creste dello Sterpara.
Proseguiamo sul 723, sempre ben battuto, e lo scenario si fa sempre più alpestre, con gli abeti poco sopra il lago totalmente carichi di neve. All'apertura del vallone sotto il Marmagna finalmente il sole arriva a scaldarci, e ad accendere la grande distesa di bianco davanti a noi: gli ultimi faggi sembrano fantasmi di filigrana, i rami non si vedono più.
Arriviamo a Lagdei di buon ora, preceduti soltanto dalla Forestale: il rifugio è chiuso, il termometro segna 8 gradi sotto zero e sul terreno ci saranno 70/80 cm di neve. Ci incamminiamo sul sentiero 727, per fortuna già battuto dalle ciaspole, e in un'oretta siamo al lago Santo, non ancora ghiacciato, giusto in tempo per vedere il sole spuntare da dietro le creste dello Sterpara.
Lago Santo, ore 9,15 |
Ore 13,15 |
martedì 19 novembre 2013
Molveno e valle delle Seghe, miraggi di dolomia sopra la nebbia
Rifugio Selvata |
Ma proprio quando tutto sembrava farci sprofondare nella nebbia e nella rassegnazione, ecco che il Brenta ci ha regalato un'emozione sconfinata, come se avessimo conquistato una cima: e questo è quello che conta alla fine del giro, insieme all'ottima compagnia - amici che amano la montagna fino al midollo - e naturalmente al fatto di tornare a casa interi.
Miraggi al Brenta |
mercoledì 13 novembre 2013
Monte Baldo: Cima Telegrafo e Valdritta: un tuffo nel cielo di Garda
Una campana possente e isolata: così si presenta il monte Baldo nelle giornate limpide visto da gran parte della pianura padana, compreso il mio balcone (e non abito certo sul Pirellone!). La sua lunga dorsale separa il Lago di Garda dalla valle dell'Adige, e segna l'inizio di un'importante porzione di Alpi: a sud ci sono soltanto colline e vigneti; mentre a nord, seguendo fedelmente la linea spartiacque, si innalzano le Dolomiti di Brenta e la Presanella; ancora oltre, mantenendo sempre come riferimento l'Adige e i suoi affluenti di destra, si incontrano Cima San Matteo, il Cevedale e l'Ortles; poco più a nord-ovest questa nobile sequenza di montagne - che comprende buona parte delle Alpi Retiche Meridionali - confluisce con la dorsale principale delle Alpi di confine.
Da Caprino Veronese percorro la strada Graziani fino a un paio di km oltre il divieto di transito invernale, in località Caval di Novezza: qui inizia il sentiero Bovi (652), un lungo traverso in salita prima sotto i faggi ormai spogli, poi fra i sempreverdi pini mughi: sarebbe quasi noioso se non fosse per il panorama già vastissimo verso oriente.
Mi lascio a destra il sentiero 66, che farò a ritorno, e dopo aver passato facilmente alcuni ghiaioni e canali di scarico (in gergo vai) raggiungo il rifugio Telegrafo, dove la vista si apre finalmente sul Lago di Garda.
Il rifugio Telegrafo |
Ma torniamo al principio, al mio balcone, dove lunedì mattina il Baldo mi ha dato il buongiorno compreso fra una palazzina e un paio di pini: il profilo così nitido che quasi si contavano i fili d'erba! Sperando in un bis di tali condizioni anche il giorno seguente, sono partito di buon ora per attraversare la pianura direzione nord. L'alba sembrava regalare i migliori auspici, con le Alpi più lontane coperte di neve e arrossate dal primo sole; poi però col passare delle ore è venuto più caldo e l'aria si è fatta meno limpida: sarebbe comunque da infami lamentarsi!
Cima Telegrafo |
Cima Valdritta |
Da Caprino Veronese percorro la strada Graziani fino a un paio di km oltre il divieto di transito invernale, in località Caval di Novezza: qui inizia il sentiero Bovi (652), un lungo traverso in salita prima sotto i faggi ormai spogli, poi fra i sempreverdi pini mughi: sarebbe quasi noioso se non fosse per il panorama già vastissimo verso oriente.
Sentiero Bovi |
lunedì 28 ottobre 2013
Val Venegia e Castellazzo, i colori dell'autunno al cospetto delle Pale
Malga Venegia, ampi pascoli al centro di una valle incontaminata: le Pale di san Martino mostrano qui il loro volto solenne, ufficiale: tutte in fila ordinata, senza mai sovrapporsi, vale la pena farne l'appello per ricordare i loro nomi bellissimi ed evocativi: da sinistra a destra si susseguono dal basso verso l'alto il Mulaz, i campanili e la Cima di Focobon, quella di Valgrande e quella della Vezzana, con il piccolo e ormai estinto ghiacciaio del Travignolo che la separa dal Cimon della Pala, di poco più basso, che già da qui si presenta come il più eccentrico del gruppo.
Almeno da inizio estate desideravo andare sulle Pale, e lo scorso sabato finalmente si è presentata l'occasione. Insieme ad alcuni amici del Cai di Parma, abbiamo percorso un ampio e facile giro ad anello, partendo appunto dalla Val Venegia con destinazione il Castellazzo e la Baita Segantini.
In prossimità di Malga Venegia (1778) abbandoniamo subito la sterrata che risale la valle per prendere a destra un ampio sentiero che attraversa il torrente e sale nel bosco verso Malga Iuribello (1868).
Dopo un po' di salita il bosco lascia spazio ad ampie radure panoramiche, e poco sopra la malga (che ci lasciamo a destra) il sentiero si congiunge con una strada bianca pianeggiante che ci accompagna quasi sino al Passo Rolle.
Ricompaiono ora, una dopo l'altra, le Pale. Il loro aspetto è ben diverso rispetto a prima, in val Venegia: ora la distesa dolce dei pascoli mette in risalto la verticalità delle crode, che si presentano più isolate e incombenti. Su tutte spicca il Cimon della Pala, che si lancia verso l'alto per mille metri come una spirale impazzita, sempre più stretta fino all'ultima ardita, barocca falange.
Almeno da inizio estate desideravo andare sulle Pale, e lo scorso sabato finalmente si è presentata l'occasione. Insieme ad alcuni amici del Cai di Parma, abbiamo percorso un ampio e facile giro ad anello, partendo appunto dalla Val Venegia con destinazione il Castellazzo e la Baita Segantini.
In prossimità di Malga Venegia (1778) abbandoniamo subito la sterrata che risale la valle per prendere a destra un ampio sentiero che attraversa il torrente e sale nel bosco verso Malga Iuribello (1868).
Dopo un po' di salita il bosco lascia spazio ad ampie radure panoramiche, e poco sopra la malga (che ci lasciamo a destra) il sentiero si congiunge con una strada bianca pianeggiante che ci accompagna quasi sino al Passo Rolle.
Ricompaiono ora, una dopo l'altra, le Pale. Il loro aspetto è ben diverso rispetto a prima, in val Venegia: ora la distesa dolce dei pascoli mette in risalto la verticalità delle crode, che si presentano più isolate e incombenti. Su tutte spicca il Cimon della Pala, che si lancia verso l'alto per mille metri come una spirale impazzita, sempre più stretta fino all'ultima ardita, barocca falange.
domenica 20 ottobre 2013
Val Brenta e Vallesinella, la meraviglia delle Dolomiti in autunno
Mi scuso per la prolungata assenza, ma stavo preparando qualcosa di "grosso"...
C'è chi le chiama stagioni morte: gli impianti e i rifugi sono chiusi, i sentieri bagnati o innevati, in giro non c'è quasi nessuno... personalmente mi piace essere quel quasi nessuno, specialmente se parliamo del periodo fra ottobre e novembre. Per testare la magia del medio autunno sono tornato sul Brenta, un mese dopo l'esperienza quasi deludente sulle Bocchette Alte; tanto era stata sfortunata a livello meteorologico quell'uscita, quanto stavolta ho trovato la tipica giornata perfetta, di quelle che ne capitano sì e no dieci in un anno.
La neve abbondante mi ha precluso i sentieri in alta quota, che d'altronde in giornata da Parma senza gli impianti avrei faticato a raggiungere; così ho deciso di stare abbastanza basso, partendo dal Vivaio del Brenta (1172), poco sopra Sant'Antonio di Mavignola. Mi trovo al centro di un importante snodo di valli: nei dintorni infatti confluiscono i tre rami del fiume Sacra (di Campiglio, di Brenta e di Vallesinella) e poco più giù il Rio Valagola. Al ramificarsi dei torrenti corrisponde quello dei sentieri: qualsiasi accesso al Brenta sud-occidentale (escludendo ovviamente gli impianti di risalita) deve per forza avvenire partendo o passando di qui.
Per la salita scelgo la val Brenta, un profondo solco fra scoscesi versanti boscosi, sorvegliato quasi 2000 metri più in alto da Campanile Alto e Crozzon di Brenta. Una strada bianca costeggia a lungo il torrente fino alla partenza della teleferica per il rifugio Brentei; qui la valle si chiude in un primo sbarramento morenico, e comincia la Scala del Brenta (sentiero 323).
Mi lascio il fiume a sinistra, salendo decisamente nel bosco prima di faggi poi mano a mano di latifoglie; supero un paio di piccole e affascinanti cascate, dopodiché un tratto faticoso fra sfasciumi e prime chiazze di neve mi accompagna sopra la barriera naturale dell'antico ghiacciaio.
Qui si apre qualcosa di simile al paradiso: la valle si fa pianeggiante, coperta da grandi larici secolari, sopra i quali si innalzano vicinissime e inondate di luce tutte le crode dolomitiche che coronano la valle. A Malga Brenta Alta (1670) il terreno è ormai quasi del tutto coperto di neve, non tanto per l'altitudine quanto per la posizione particolarmente in ombra.
C'è chi le chiama stagioni morte: gli impianti e i rifugi sono chiusi, i sentieri bagnati o innevati, in giro non c'è quasi nessuno... personalmente mi piace essere quel quasi nessuno, specialmente se parliamo del periodo fra ottobre e novembre. Per testare la magia del medio autunno sono tornato sul Brenta, un mese dopo l'esperienza quasi deludente sulle Bocchette Alte; tanto era stata sfortunata a livello meteorologico quell'uscita, quanto stavolta ho trovato la tipica giornata perfetta, di quelle che ne capitano sì e no dieci in un anno.
La neve abbondante mi ha precluso i sentieri in alta quota, che d'altronde in giornata da Parma senza gli impianti avrei faticato a raggiungere; così ho deciso di stare abbastanza basso, partendo dal Vivaio del Brenta (1172), poco sopra Sant'Antonio di Mavignola. Mi trovo al centro di un importante snodo di valli: nei dintorni infatti confluiscono i tre rami del fiume Sacra (di Campiglio, di Brenta e di Vallesinella) e poco più giù il Rio Valagola. Al ramificarsi dei torrenti corrisponde quello dei sentieri: qualsiasi accesso al Brenta sud-occidentale (escludendo ovviamente gli impianti di risalita) deve per forza avvenire partendo o passando di qui.
Per la salita scelgo la val Brenta, un profondo solco fra scoscesi versanti boscosi, sorvegliato quasi 2000 metri più in alto da Campanile Alto e Crozzon di Brenta. Una strada bianca costeggia a lungo il torrente fino alla partenza della teleferica per il rifugio Brentei; qui la valle si chiude in un primo sbarramento morenico, e comincia la Scala del Brenta (sentiero 323).
Mi lascio il fiume a sinistra, salendo decisamente nel bosco prima di faggi poi mano a mano di latifoglie; supero un paio di piccole e affascinanti cascate, dopodiché un tratto faticoso fra sfasciumi e prime chiazze di neve mi accompagna sopra la barriera naturale dell'antico ghiacciaio.
Qui si apre qualcosa di simile al paradiso: la valle si fa pianeggiante, coperta da grandi larici secolari, sopra i quali si innalzano vicinissime e inondate di luce tutte le crode dolomitiche che coronano la valle. A Malga Brenta Alta (1670) il terreno è ormai quasi del tutto coperto di neve, non tanto per l'altitudine quanto per la posizione particolarmente in ombra.
lunedì 7 ottobre 2013
Castelli dell'uomo e della natura nel basso Appennino reggiano
Casa-Torre a Valcava, presso Casina |
La rupe di Canossa e il suo castello |
E' questo il caso di Votigno, borgo di origini medievali ristrutturato (molto bene) con caratteri tibetani: un museo e un tempio sono gestiti dall'associazione Casa del Tibet, che organizza incontri ed eventi per diffondere questa cultura lontana in un luogo a prima vista insospettabile, dove nel 1990 è venuto in visita il Dalai Lama in persona.
Eppure qui non è difficile trovare una profonda dimensione spirituale, circondati dalla pace dolce delle colline.
Torre di Rossenella |
Il castello e la chiesa di Carpineti |
Su queste montagne prominenti l'uomo ha cercato riparo sin dai tempi più remoti, come dimostrano anche i siti risalenti all'età del ferro sulla Pietra di Bismantova: castello naturale e colossale, vero simbolo di questa zona dove i nostri simili si sono sforzati di convivere con l'ambiente naturale e lo hanno riadattato o imitato innalzando torri e muraglie dove terminava la roccia.
La Pietra di Bismantova vista da nord |
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