Le località alpine negli ultimi decenni hanno investito quasi tutto sul turismo invernale - ad essere precisi, su un singolo tipo di turismo invernale, quello dello sci su pista: si è speculato sulle seconde case, costruito mega-resort in alta quota, riempito valli e altipiani con una fittissima rete di impianti di risalita.
Piste deserte a Cortina sabato 14 dicembre (foto da Skiforum) |
Il risultato è che gli albergatori, spesso già alle prese con una tassazione poco amichevole, piangono; le seconde case rimangono vuote; e gli impianti girano a vuoto per buona parte dell'inverno.
Ma questo è nulla in confronto alla crisi che lo sci alpino potrebbe subire con i cambiamenti climatici in atto: inverni con meno precipitazioni nevose, innalzamento delle temperature. E' la tendenza sul lungo periodo che va presa in considerazione, andando al di là di scoop e profezie dei meteorologi da tabloid: tra qualche anno sciare a meno di 1500-1800 metri potrebbe rivelarsi arduo, anche con la neve artificiale (la cui produzione consuma peraltro grandissime quantità di acqua).
La soluzione a tutto questo non può essere continuare a costruire e ad ampliare le stazioni sciistiche (come è stato fatto anche negli ultimissimi anni: basti pensare a Pinzolo e Madonna di Campiglio); bisogna piuttosto sfruttare tutto ciò che la montagna può offrire al di là dello sci e al di là dell'inverno: valorizzare le "mezze stagioni", le feste e i prodotti tipici, le forme di turismo alternativo e sostenibile.
Traffico di escursionisti su Cima Comer, Lago di Garda, domenica 15 dicembre |
Su questo tipo di turismo bisogna puntare e investire: la montagna non dovrebbe imitare ad oltranza la città, ma fornirle modelli alternativi, per superare il culto del consumo sfrenato e cieco che dietro maschere trionfanti e smaglianti sorrisi cela in realtà la sua perenne insoddisfazione, la sua sempre più evidente agonia.
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