Una tenuta agricola, quattro o cinque edifici, i mattoni marroncini lisi dal tempo: le vecchissime mappe IGP le conferiscono ancora l'onore di un nome: località Magrina. Qui, prima ancora che stampassero quelle mappe, passava sicuramente la stradina di campagna che collegava San Secondo a Pontetaro e alla via Emilia, sulla sinistra del Taro, attraversando Bianconese e Grugno: paesini che un nome ancora ce l'hanno, forse per poco.
Oggi località Magrina è compresa fra la Tav e l'A1, da poco congiunta con l'A15, parallela alla stradina di campagna. Questa le gira attorno con un cavalcavia, come se fosse la sua tangenziale. Le finestre sono chiuse, ma qualcuno vive ancora a Magrina: quasi sicuramente zingari, gente che crediamo nomade o stanziata in campi pagati coi nostri contributi, ma che spesso occupa gli edifici un tempo floridi e oggi dimenticati, schiacciati dal nostro magnifico progresso.
E' la mattina di Natale, e per apprezzare il calore del pranzo in famiglia decido di calarmi prima nella desolazione più profonda e sconfinata che soltanto la bassa sa offrire; specialmente in giornate uggiose e grigie come oggi. Bisogna anche farsi venire appetito e smaltire un minimo la cena prima, ma preferisco insistere sulle motivazioni metafisiche, senza rovinare il Natale con bestemmie per non avere portato la macchina fotografica: sperimenterò Google Streetview all'interno del post.
Dopo la via Emilia Bis l'Interporto l'A15 l'A1 la Tav, insomma dopo Magrina, finisce la parte più civilizzata della bassa e comincia quella autentica. La stradina prosegue - pericolosissima - costeggiando un alto argine, finché un cartello non indica Grugno: un nome poco consono a paesi accoglienti. Il primo edificio a darmi il benvenuto infatti è il cimitero, piccolissimo e malandato, forse abbandonato persino dai morti.
Visualizzazione ingrandita della mappa
Seguono poche vecchie case, una villa con ancora l'ombra delle sue ricchezze, una chiesa piccola ma elegante, come tutte quelle della bassa; poco più avanti, ecco un edificio rossastro che fu un'osteria, e doveva essere ben nota se ancora oggi il Tom Tom della mia auto chiama queste due o tre case Osteria di Grugno: oggi restano solo le insegne arrugginite, non si legge più nemmeno il nome.
Il cartello con la riga rossa segna la fine di Grugno, e quasi ironicamente appena dietro si ergono i resti di un casale mezzo diroccato, con ancora il suo numero civico in marmo.
Parcheggio l'auto per fare una passeggiata sull'argine, ma presto si mette a spiovigginare. I cani di un paio di abitazioni vicine alla golena mi abbaiano, bagnaticci e increduli; un airone bianchissimo si leva in volo. Tutto attorno è grigio, spoglio, cadente: il Taro con le sue acque fangose compie ampie anse, che anticamente non dovevano esserci.
Visualizzazione ingrandita della mappa
Basta infatti osservare con occhio geometrico una buona cartina, per vedere che la strada fra Parma e Roccabianca, cioè via Cremonese, doveva attraversare il fiume da queste parti; un lunghissimo rettilineo si interrompe appena prima di Viarolo e riprende poco dopo Grugno, dove la nostra stradina piena di curve cambia improvvisamente fisionomia e conduce dritta dritta a san Secondo. Chissà quali piene catastrofiche avranno modificato a tal punto il paesaggio... comunque mai quanto un'inondazione di ferro e cemento.
Torno presto all'auto, non voglio sporcarmi troppo: un gattino si è infilato sotto il telaio, e sembra restio ad andarsene e tornare alla sua casa appena di fronte. Io invece preferisco tornare verso la civiltà, ma non subito a casa. Percorro il suddetto rettilineo fino alla vicina San Secondo, e comprendo subito di essere giunto dalla via che un tempo era la principale: prima i filari di platani accanto alla strada, poi sempre dritto ecco il centro, i palazzi coi portici.
Visualizzazione ingrandita della mappa
Parcheggio di nuovo per proseguire a piedi il mio itinerario. La gente vestita da festa per il pranzo di Natale si saluta, il paese non è ancora così grande, sono io lo sconosciuto! Diverse attività sono aperte e ne approfitto per un caffè: fatico a entrare e uscire dal bar, facendomi spazio fra i vecchietti ammassati sotto il portico che chiacchierano e sfumacchiano.
San Secondo, come altri paesi storici della bassa, ha tutta la dignità della piccola capitale: palazzi eleganti, chiesette barocche, colori vivaci che sembrano sfidare il grigiore dell'inverno in queste zone. I portici, le vie, le piazzette offrono prospettive sorprendenti: dal vasto piazzale della rocca si può apprezzare l'impianto urbanistico regolare del paese, con tante vie parallele che separano i singoli edifici. Esattamente qui giunge un'altra strada importante, anch'essa costeggiata dai platani, che conduce a Fontanellato.
La possente rocca conserva il ricordo di un passato glorioso, quando fu il cuore del principato di Pier Maria Rossi: nobile parmigiano che nel Quattrocento possedette diversi castelli nella nostra provincia, primo fra tutti Torrechiara. E fu a San Secondo che giunse nel 1482 il potente Ludovico il Moro, per porre fine all'esperienza del signorotto locale: gli squarci che separano i corpi della rocca, forse, sono il risultato di quel lontanissimo assedio.
Affianco alla rocca, che fu adibita a municipio, compare il municipio nuovo, un modesto edificio di colore chiaro in netto contrasto coi bastioni possenti e scuri dei Rossi: diversi aspetti del potere. I Rossi di San Secondo, i Sanvitale di Fontanellato, i Pallavicino a Busseto e Cortemaggiore: famiglie nobili della bassa che con alterne fortune si sono spinte quasi sino ai giorni nostri. E a Soragna, nella sua rocca, vive tuttora il principe Diofebo Meli Lupi: personaggio di spicco nell'ambiente culturale che sicuramente gode ancora di stima e rispetto nel suo paese.
Alla fine della mia breve visita torno a casa percorrendo la "nuova" via Cremonese, fino a incontrare di nuovo la via Emilia e la Petit Capital dove sono nato, oggi governata dal principe Federico Pizzarotti della dinastia 5 stelle.
Nessun commento:
Posta un commento