Punto di partenza: Arrivo seggiovia Passo Padon (2369)
Punto più elevato: Bech da Mesdì (2727)
Dislivello in salita: 600 circa
Tempo totale di percorrenza: 4 ore
Grado di difficoltà: EEA
Punti d'appoggio: Rifugio Passo Padon, Bivacco Bontadini
Periodo consigliato: Estate e inizio autunno
Note segnaletica: Ottima CAI su tutto il percorso
Accesso stradale: Dal Passo Fedaia, salendo da Canazei, proseguire in discesa sul versante veneto fino alla partenza della seggiovia Passo Padon (parcheggio gratuito, andata e ritorno 9 euro)
Note: Ferrata difficile, specialmente nella prima parte; sconsigliatissimo percorrerla in verso opposto. Presenti vie di fuga sui prati a nord. Si può salire anche da Arabba con la funivia di Porta Vescovo. Se non si vogliono prendere impianti, conviene partire dal Passo Fedaia.
Il quarto giorno siamo a lungo indecisi su dove salire; non voglio distruggere le gambe a mio padre con una maratona come quella di ieri, e anche io del resto sono abbastanza provato... alla fine optiamo per spostarci in auto al passo Fedaia, per cimentarci nell'impegnativa ferrata delle Trincee sulla cresta del Padon.
Per risparmiarci 400 metri di salita dal lago Fedaia, ci concediamo il lusso della comoda seggiovia per il rifugio Padon (2369), che comincia pochi km dopo il passo, direzione Agordo. Il panorama da questi prati è magnifico, sia verso la Marmolada sia verso la val Badia e le Dolomiti del Cadore. Siamo partiti con comodo, e ci mettiamo in moto dal rifugio che sono ormai le 11.
Seguiamo il sentiero geologico Arabba, che costeggia a sud con qualche saliscendi tutta la cresta che andremo a percorrere con la ferrata; in vista della funivia di Porta Vescovo, puntiamo con una traccia in ripida salita la base della parete del Bech di Mesdì, sul crinale, dove comincia la ferrata. Il primo tratto è molto difficile, selettivo: le rocce vulcaniche della Cresta di Padon sono più avare di buoni appigli rispetto alla dolomia, e il cavo sale verticale o in esposti traversi per un'ottantina di metri, senza alcun aiuto artificiale al di là di lui stesso.
Dopo questa impennata, la ferrata si fa più godibile, con passaggi spettacolari sul filo di cresta, un ponticello in legno, cenge strette e molto esposte sul versante disastrato che guarda Arabba. Si consumano gli scorci su Sella e Dolomiti di Fanes, in netto contrasto cromatico con le rocce su cui stiamo cavalcando.
Non si incontrano più tratti di "arrampicata" sostenuti come l'attacco, ma i passaggi un po' atletici e di forza si susseguono, sia in salita che in discesa, fino a toccare nuovamente il prato. Qui è possibile abbandonare la ferrata, raggiungendo il sentiero geologico; oppure cominciarla da qui, anche in senso opposto al nostro come ha fatto qualche pazzo ignaro di ciò che lo aspetta in discesa...
Credendo di trovarci a metà della ferrata, fra Mesola e Mesolina, affrontiamo con molta calma il tratto successivo, caratterizzato da numerosi manufatti della Grande Guerra, senz'altro ferocissima su questa cresta strategica fra valli ladine e venete. Dopo la costruzione più appariscente comincia un'impegnativa discesa verticale, facilitata da un paio di fittoni. Aggirato l'angolo della montagna, torniamo sui prati, e in ripido traverso raggiungiamo una forcella; convinti che la ferrata sia finita, mangiamo i nostri panini e mettiamo via l'attrezzatura.
Ci sarebbe una buona traccia per scendere al sentiero Geologico percorso stamattina, ma vedendo i segni bianco-rossi sulla cresta decidiamo di proseguire, e incontriamo nuovi tratti attrezzati con il cavo, più facili. Il sentiero però non sembra avere alcuna intenzione di abbandonare la cresta, che da erbosa sta tornando ad essere rocciosa ed esposta... la ferrata insomma non è finita, in realtà abbiamo mangiato poco dopo la metà, fra Mesola e Mesolina!
Mio padre insiste per rimettersi imbrago e kit e seguire la ferrata, mentre io opterei per tagliare dai prati e rientrare al passo Padon con il sentiero... alla fine la vince lui, e ci rimettiamo in assetto da guerra, pronti per entrare nelle trincee. Ed è in questo secondo tratto infatti che la ferrata dà fede al proprio nome, infilandosi in gallerie che tagliano la montagna da una parte all'altra risparmiandoci faticosi sali-scendi.
I tratti più impegnativi - e forse un po' gratuiti - sono ora traversi, in totale esposizione sui prati del Lago Fedaia. Pareti sempre più alte si materializzano sopra di noi, e io sono sempre più tentato dal tagliare giù per i campi... ma mio padre non si fida e proseguiamo seguendo i segni. Ed ecco che la ferrata torna sotto terra, ma stavolta sul serio! Furbescamente ho lasciato in auto la frontale, ma per fortuna c'è poco dietro di noi un'escursionista inglese che ce l'ha, e lo lasciamo passare davanti più che volentieri.
Scalini umidi, bivi, finestrelle che ogni tanto si affacciano a valle riempiendo di luce la galleria... saliamo nel buio a lungo, senza la frontale avremmo probabilmente rischiato, ma con gioia risbuchiamo all'aria aperta proprio di fronte al bivacco Bontadini (2552). Ora la ferrata è davvero finita! Ci aspetta una ripida discesa fino al Passo Padon, dove arriviamo in tempo per tornare a valle comodamente seduti in seggiovia.
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