Domenica scorsa, non più da solo ma in buona compagnia di Giampa e Gianca, sono tornato sui miei vecchi passi. Durante la salita in auto ci fermiamo per visitare velocemente il monastero di Costa Gemignana, fondato nel lontano 1500 dalla beata Margherita Antoniazzi, e luogo di origine di un'altra venerabile, Margherita Carlotti, che vi fondò un pio ritiro di Vergini. Fa specie pensare alla relativa importanza che ebbero 500 anni fa questi luoghi ora così lontani dalla civiltà (per approfondire).
Dal passo delle Pianazze (987) ci incamminiamo lungo il sentiero Cai 35, la carraia che percorre il crinale fra Val Nure e val Ceno. Raggiunto un incrocio, scendiamo a destra verso Cassimoreno con il 51, pieno di fango e solchi di mezzi motorizzati che qui possono devastare tutto liberamente. Dopo la breve discesa raggiungiamo la bella torbiera del Lagazzo (921), prima di una lunga serie.
Diverse persone passeggiano lungo questa comoda carraia, partite sicuramente dal vicino paese di Cassimoreno (819); lo raggiungiamo presso il Punto di Ristoro La Tomba, sistemato proprio di fronte al cimitero... sarcasmo o pura stupidità da parte degli autori della segnaletica? Ci riforniamo d'acqua presso una fontanella di fianco alla chiesa e ripartiamo alla volta della frazione Roffi, seguendo un bel sentiero (il 33) avvolto dalla vegetazione.
Dopo l'ultima maestà del paesino, salutiamo per un bel po' gli edifici e ci inoltriamo nella montagna: di fronte a noi severi groppi ofiolitici sembrano impedire il passo... è là la cascata Lardana, indicata dai cartelli. Attraverso una bella faggeta piena di ruscelli, raggiungiamo il salto d'acqua, decisamente meno potente rispetto al novembre 2012 quando venni qui dopo la prima nevicata della stagione.
Riesco pure a concedermi un po' di free solo per raggiungere la base del salto più alto, facendo molta attenzione alla roccia nera e viscida... un luogo di bellezza insolita e selvaggia, se d'inverno ghiacciasse ci sarebbe da farci subito un pensierino con piccozze e ramponi! Ma ci vorrebbero temperature davvero rigide.
Proseguiamo sul sentiero che ora sale ripido di fianco alla cascata, con l'aiuto di gradini di legno altissimi e cavetti di ferro; tornati nel bosco costeggiamo il torrente passando vicino a enormi massi, finché superato un valico raggiungiamo il Lago Bino (1300). Purtroppo non ci sono le ninfee come speravo, soltanto pescatori avvolti in sacchi di plastica trasparente.
Ci sediamo a un tavolo enorme a mangiare i panini, comprati a Bardi con il pane del giorno prima perché tutti i forni (e non solo loro!) erano chiusi; mi auguro che la nuova giovane sindaco si impegni perché anche la domenica chi arriva a Bardi per visitare il bellissimo castello non si trovi a dover attraversare un mortorio come questo Punto di Ristoro.
Ma torniamo sui monti che da lontano guardano il castello: dopo il pranzo veloce ci rimettiamo in cammino, salendo l'ampia carraia (segnavia 21) diretta a Prato Grande. Costeggiamo una prima grande torbiera chiamata Pramollo, e dopo una curva e un cancello raggiungiamo la grande distesa d'erba di Prato Grande (1425), forse il più grande lago interrato dell'Appennino settentrionale.
Prato Grande e Monte Ragola |
Dopo non molto il bosco termina per lasciare spazio a un nuovo grande spiazzo erboso in leggero falsopiano, il Prato Bure. Una staccionata con il filo spinato interminabile sale in direzione del crinale, che ancora non si riesce ad individuare; il sentiero la costeggia a lungo per poi puntare decisamente a destra, attraversando il prato in salita diretto alle ultime propaggini della faggeta.
Il Lago Bino era 1300 metri, ma chissà come sembra di essere arrivati fin qui senza fare salita... ora invece, dopo la brevissima pausa di bosco, ecco il terreno ofiolitico scabro delle cime liguri/piacentine, di cui il Ragola e l'Aiona sono forse gli esempi più lampanti: ora la salita si fa sentire, ma per fortuna è breve e allietata dai tanti fiori che crescono vicino a queste rocce rossastre.
Dalla vetta (1712) possiamo finalmente rivedere la Valle del Ceno e i boschi dell'alta val Nure, punteggiata di paesini. C'è un po' di foschia, ma riconosciamo le Alpi Apuane e le cime parzialmente innevate dell'Appennino parmense; dall'altra parte le valli verdeggianti lasciano spazio mano a mano ai riquadri più chiari delle coltivazioni in collina e infine nella pianura.
In un angolino esposto a nord trovo l'ultima piccola chiazza di neve rimasta sulla montagna: la raggiungo e ne stacco un pezzo, portandolo in cima a una guglia per fargli un piccolo set fotografico. Dopo questa sorta di rituale tragicomico di addio all'inverno, facciamo retrofront sul 37, riattraversiamo il desolato Prato Bure, costeggiamo il lungo filo spinato per superarlo poco sopra al bivio sopra Prato Grande.
Qui compiamo un taglione attraverso a un pascolo vuoto, e ci ritroviamo sul 39 diretto al monte Camulara. Ricomincia la salita, non molto gradita in verità, ma sotto i nostri scarponi si distende un vero e proprio tappeto di fiori: gialli, rossi, viola, azzurri... sarebbe bello poterli riconoscere uno ad uno! Grazie al microclima caldo legato alle ofioliti, tutte queste montagne presentano fioriture ricchissime e insolite.
Il monte Camulara somiglia più a un grande altopiano coperto da boschi alternati a qualche torbiera: il sentiero, molto poco battuto, lo segue con un percorso tutt'altro che intuitivo; ma per fortuna i segnali bianco rossi sono abbondanti. Sembra che la montagna non finisca mai, si continua a salire in falsopiano con la vista chiusa dagli alberi... Poi finalmente il crinale si stringe e arriva il momento della discesa!
La memoria cerca ora di tornare a quel pomeriggio di quasi tre anni fa, quando proprio da queste parti cominciò il maltempo e sbagliai sentiero, accorgendomi troppo tardi, ormai in fondo alla discesa, di essere arrivato a Granere (Bardi) invece che a Cassimoreno (Ferriere), dove avevo la moto. A un certo punto incontriamo una carraia l'indicazione a destra Granere, che imbocchiamo verso sinistra: probabilmente è stato qui che avevo voltato a destra (il cartello non c'era), anche se qualcosa non mi torna: proseguendo sul nostro sentiero - quello giusto - mi sembra come di averlo già fatto, chissà...
Proseguiamo a lungo sulla carraia nel bosco: a destra e sinistra, inchiodati agli alberi, i cartelli delle circoscrizioni di caccia di colore diverso ci dimostrano che siamo lungo il confine fra Parma e Piacenza. Raggiungiamo un nuovo incrocio, con finalmente il cartello per il Passo delle Pianazze lungo il 35; siamo tornati nel regno delle moto, come dimostrano i sentieri infangati e pieni di solchi.
Nei tratti in discesa il sentiero è semplicemente devastato: lungo i solchi si è probabilmente incanalata la pioggia, che ha creato vere e proprie voragini profonde più di un metro e mezzo. Certo anche la carraia stessa non dev'essere stata tracciata in un posto molto strategico, se appena viene un po' di pioggia si trasforma in un fiumiciattolo... comunque i sentieri fino a mezz'ora prima, dove non passavano le moto, erano pulitissimi, come si spiegherà la brusca differenza?
Al bivio con il 51 per Cassimoreno, concludiamo il nostro anello, e dopo l'ultimo noioso tratto di carraia siamo di nuovo al Passo delle Pianazze, dove eravamo 8 ore e mezzo fa. Inevitabile birra fresca alla trattoria poco sotto il passo, poi ci rifacciamo una bella scorpacciata di curve fino alla Patria. Giro completo e lunghissimo, forse quello con più tratti pianeggianti mai fatto finora... mi abituo in anticipo a ciò che mi aspetta nei prossimi nove mesi!
Punto di partenza: Passo delle Pianazze (987)
Punto più elevato: Monte Ragola (1710)
Dislivello in salita: 900
Tempo totale di percorrenza: 8 ore
Grado di difficoltà: E
Segnaletica: Ottima
Punti d'appoggio: Bar e fontana a Cassimoreno
Mappa: Vedi Sentieri Emilia Romagna
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