sabato 4 gennaio 2014

Poesia di montagna: appunti su un brano dell'Adelchi di Manzoni

Nella tragedia (basata su fonti in parte leggendarie) si narra che l'esercito dei Franchi rimase a lungo bloccato in Val di Susa, faticando a superare le fortificazioni di confine - dette Chiuse - difese dai Longobardi, favoriti dalla conformazione naturale stretta della vallata e dall'ardimento di Adelchi, figlio di re Desiderio. L'atto II si apre appunto con Carlo Magno scoraggiato dagli eventi, quasi intenzionato a tornare sui propri passi in Francia.

La situazione si sblocca con l'arrivo del diacono Martino, inviato dall'arcivescovo di Ravenna in aiuto dei Franchi. All'incredulità di Carlo Magno nel trovare un "latino" oltre le Chiuse, sorvegliate dai Longobardi, Martino risponde di avere attraversato le Alpi lungo una via sconosciuta, lungo la quale l'esercito franco avrebbe potuto marciare a ritroso per sorprendere i longobardi al di là delle Chiuse, e sconfiggerli in campo aperto.

Questi versi raccontano appunto l'escursione di Martino, e sono una splendida descrizione di cime e vallate Alpine: Manzoni non indugia troppo sull'aspetto del sublime, tanto caro ai Romantici specialmente tedeschi, ma si concentra sulla Provvidenza divina che guida il diacono lungo questi luoghi mai calpestati dall'uomo.


MARTINO:
Dio gli accecò. Dio mi guidò. Dal campo
Inosservato uscii; l'orme ripresi
Poco innanzi calcate; indi alla manca
Piegai verso aquilone, e abbandonando
I battuti sentieri, in un'angusta
Oscura valle m'internai: ma quanto
Più il passo procedea, tanto allo sguardo
Più spaziosa ella si fea. Qui scorsi
Gregge erranti e tuguri: era codesta
L'ultima stanza de' mortali. Entrai
Presso un pastor, chiesi l'ospizio, e sovra
Lanose pelli riposai la notte.


Sorto all'aurora, al buon pastor la via
Addimandai di Francia. - Oltre quei monti
Sono altri monti, ei disse, ed altri ancora;
E lontano lontan Francia; ma via
Non avvi; e mille son que' monti, e tutti
Erti, nudi, tremendi, inabitati,
Se non da spirti, ed uom mortal giammai
Non li varcò. - Le vie di Dio son molte,
Più assai di quelle del mortal, risposi;
E Dio mi manda. - E Dio ti scorga, ei disse:
Indi, tra i pani che teneva in serbo,
Tanti pigliò di quanti un pellegrino
Puote andar carco; e, in rude sacco avvolti,
Ne gravò le mie spalle: il guiderdone
Io gli pregai dal cielo, e in via mi posi.
Giunsi in capo alla valle, un giogo ascesi,
E in Dio fidando, lo varcai. Qui nulla
Traccia d'uomo apparia; solo foreste
D'intatti abeti, ignoti fiumi, e valli
Senza sentier: tutto tacea; null'altro
Che i miei passi io sentiva, e ad ora ad ora
Lo scrosciar dei torrenti, o l'improvviso
Stridir del falco, o l'aquila, dall'erto
Nido spiccata sul mattin, rombando
Passar sovra il mio capo, o, sul meriggio,
Tocchi dal sole, crepitar del pino
Silvestre i coni. Andai così tre giorni;
E sotto l'alte piante, o ne' burroni
Posai tre notti. Era mia guida il sole;
Io sorgeva con esso, e il suo viaggio
Seguia, rivolto al suo tramonto. Incerto
Pur del cammino io gìa, di valle in valle
Trapassando mai sempre; o se talvolta
D'accessibil pendio sorgermi innanzi
Vedeva un giogo, e n'attingea la cima,
Altre più eccelse cime, innanzi, intorno
Sovrastavanmi ancora; altre, di neve
Da sommo ad imo biancheggianti, e quasi
Ripidi, acuti padiglioni, al suolo
Confitti; altre ferrigne, erette a guisa
Di mura insuperabili. - Cadeva
Il terzo sol quando un gran monte io scersi,
Che sovra gli altri ergea la fronte, ed era
Tutto una verde china, e la sua vetta
Coronata di piante. A quella parte
Tosto il passo io rivolsi. - Era la costa
Oriental di questo monte istesso,
A cui, di contro al sol cadente, il tuo
Campo s'appoggia, o sire. - In su le falde
Mi colsero le tenebre: le secche
Lubriche spoglie degli abeti, ond'era
Il suol gremito, mifur letto, e sponda
Gli antichissimi tronchi. Una ridente
Speranza, all'alba, risvegliommi; e pieno
Di novello vigor la costa ascesi.
Appena il sommo ne toccai, l'orecchio
Mi percosse un ronzio che di lontano
Parea venir, cupo, incessante; io stetti,
Ed immoto ascoltai. Non eran l'acque
Rotte fra i sassi in giù; non era il vento
Che investia le foreste, e, sibilando,
D'una in altra scorrea, ma veramente
Un rumor di viventi, un indistinto
Suon di favelle e d'opre e di pedate
Brulicanti da lungi, un agitarsi
D'uomini immenso. Il cuor balzommi; e il passo
Accelerai. Su questa, o re, che a noi
Sembra di qui lunga ed acuta cima
Fendere il ciel, quasi affilata scure,
Giace un'ampia pianura, e d'erbe è folta,
Non mai calcate in pria. Presi di quella
Il più breve tragitto: ad ogni istante
Si fea il rumor più presso: divorai
L'estrema via: giunsi sull'orlo: il guardo
Lanciai giù nella valle, e vidi... oh! vidi
Le tende d'Israello, i sospirati
Padiglion di Giacobbe: al suol prostrato,
Dio ringraziai, li benedissi, e scesi.

La val di Susa, dominata dal Monte Rocciamelone

Oggi è possibile percorrere il leggendario itinerario, seguendo il Sentiero dei Franchi, da Oulx alla Sacra di san Michele (appunto sulle Chiuse Longobarde).

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