martedì 22 aprile 2014

Parete nord Alpe di Succiso e monte Casarola: gran finale d'inverno in Appennino

C'era una volta una grande montagna, chiamata Spiaggia Bella. I pastori di Succiso il mare lo vedevano sporadicamente e solo dall'alto, lontano, irraggiungibile... forse nemmeno sapevano come potesse apparire una spiaggia nella connotazione del termine a noi oggi più famigliare; quindi chiamarono così la grande montagna sopra il loro paese: Spiaggia Bella, riferendosi con una punta di affetto ai vasti prati (piagge, spianate) dove poter lasciare le loro capre al pascolo.

Il maestoso vallone nord dell'Alpe di Succiso, sopra il Rifugio Rio Pascolo. Sullo sfondo le case di Succiso

Finalmente sull'Alpe con la neve!
Di là nella val Secchia, a Collagna Busana e dintorni, la montagna di Succiso invece veniva chiamata "alpe": termine dal significato simile a "spiaggia", riferito sempre ai pascoli. L'Alpe di Succiso così definita era in verità l'anti-cima sud-est, visibile appunto dalla media val Secchia davanti alla cima principale: la Spiaggia Bella dei succisini. A complicare ulteriormente le cose ci si mise il nome onnicomprensivo di Casarola, che indicava la montagna nel suo insieme.

Federico






Non ci avete capito una benedetta mazza, vero? Tranquilli, fu così anche per i geografi, che fecero un gran pasticcio: marchiarono definitivamente come Alpe di Succiso la cima principale (nome che si è poi ampliato a indicare l'intero gruppo montuoso), mentre il monte Casarola fu l'anti-cima sud che guarda la val Secchia. Nella sorte di un'altra cima minore ci ficcarono il naso addirittura da Ramiseto, forse innervositi dal nome Ventasso appioppato alla "loro" montagna... così oggi abbiamo anche il monte Ramiseto, all'inizio della cresta nord. All'inizio della nord-ovest ci sarebbe anche il Ramiceto ma è meglio fermarci qui.

Alberto


Ecco cosa significa Alpe di Succiso letteralmente. Però Alpe di Succiso significa qualcosa di più per me, Mario, Federico, Alberto: certo, abbiamo rispetto per le caprette che ogni tanto si trovano ancora da queste parti (se non si trovano di persona, ci sono i loro souvenir rotondi in serie), portate qui abitualmente da un pastore che sta giù al Passo dell'Ospedalaccio, fra gli ultimi rimasti sull'Appennino Settentrionale: un eroe, come negarlo? Ma "alpe" per noi significa montagna da ambire, dove mettersi alla prova, ammirare scenari severi e solitari, fare alpinismo in Appennino.




Mario
Dopo aver sondato in estate e autunno per conto nostro i vari versanti della montagna, quest'inverno io e Mario la abbiamo inserita fin da subito fra le mete stagionali obbligate. Un primo tentativo in febbraio, con davvero tanta neve, si è risolto in un rispettoso retrofront; dopo un mese il progetto si riaffaccia, ma ecco una grande valanga che si inghiotte due giovani scialpinisti di Berceto, e ci fa passare decisamente la voglia di rischiare. Poi arriva il caldo, l'inverno sembra finito, e l'Alpe siamo ormai intenzionati a rimandarla alla prossima stagione.



Monte Casarola

Ma ecco che ad aprile inoltrato le temperature calano a picco, si susseguono giornate terse, il profilo biancheggiante dell'Alpe torna a troneggiare sopra sull'orizzonte di Parma. Ignorarla non è possibile. Anche Federico, ormai con la testa e le mani proiettate sulla roccia, si accorge di questa presenza seducente: così decidiamo di rimandare la fine dell'inverno e organizziamo una spedizione a Succiso con partenza alle 4,30 da Parma.



Salendo dal Rio Pascolo


Mario sarebbe mezzo impegnato ma non può rinunciare, Alberto è il più affezionato di tutti a queste zone e dà anche lui l'ok. Alle 6,30 lasciamo Succiso con tanto di corde e ferraglia, se siamo partiti così presto è perché abbiamo progetti ambiziosi! La salita nella faggeta è noiosa fino al Rifugio Rio Pascolo: qui la vista si apre sul maestoso versante nord dell'Alpe.

Sfiliamo piccozza e infiliamo ramponi per affrontare il 675, la via normale lungo il vallone del rio Pascolo. Oltrepassato il primo sbarramento morenico, ci troviamo di fronte un paesaggio dall'aspetto radicalmente diverso dal normale: Federico e Alberto, che conoscono molto bene l'Alpe anche in veste invernale, se ne accorgono subito: dovrebbero esserci dei pendii, invece c'è un'enorme distesa pianeggiante di neve.



Attraversando la nuova pianura formata dalla valanga
E' l'esito della enorme valanga scesa il 13 marzo, che ha scaricato a valle migliaia e migliaia di metri cubi di neve da un'ampia fetta del versante nord. Sulla parte bassa della distesa bianca, vediamo due cerchi di neve più chiara, ben individuabili anche per qualche oggetto lasciato da scialpinisti ed escursionisti di passaggio... sono con ogni probabilità i punti da cui i soccorritori hanno estratto i corpi di Vincenzo e Simone.

Pendio di avvicinamento alla via anni 70, sulla parete nord dell'Alpe

Proseguiamo con le gambe e lo stomaco un po' più pesanti, rivolgendo un pensiero veloce alla lunga fila di vittime rimaste su questa montagna tanto affascinante, ma pericolosa. Siamo ormai alla base del pendio su cui si sviluppa la via "Anni 70", chiamata così proprio da Federico e Alberto: il nome si rifà all'epoca in cui con più probabilità sono venuti da queste parti alpinisti in esplorazione, lasciando qualche sparuto chiodo qua e là.

Geologi in cerca di chiodi sghignazzano

La parete nord dell'Alpe, vista dal basso sembra meno ripida e severa di quanto sia in realtà: le proporzioni giuste si apprezzano dalla Sella del Casarola. I pendii superano i 50 gradi, e non scendono mai sotto i 40 per un dislivello di quasi 300 metri; affioramenti di arenaria macigno anche molto vasti movimentano la superficie della parete, offrendo la possibilità di salire su diedri e camini ghiacciati.

Il tracciato della via anni 70 con variante finale sui massi

La neve all'inizio è ghiacciata, la progressione piacevole ma sempre più faticosa per le pendenze che aumentano progressivamente. Arrivati alle rocce, Alberto e Federico tirano fuori le corde e salgono ad attrezzare le soste con cordini e friend; io e Mario saliamo da secondi. Dietro di noi lo scivolo di bianco si fa sempre più vertiginoso, ma guardando le due picche non ci badi più di tanto. L'esposizione si sente tutta durante le pause in sosta!

Ultima sosta "ufficiale"

Il quarto e ultimo tiro si dimostra il più complesso: seguiamo una variante rispetto alla via originale, che percorreva un camino ora intasato di neve; rimontiamo dunque grandi blocchi di roccia abbastanza esposti, con ottimi appigli, e in breve siamo sotto la cresta nord-est, da cui ci separa solo un breve costone innevato poco ripido.

Cresta NE dell'Alpe

Seguendo la cresta, pelata verso sud ma con impressionanti accumuli e cornici verso nord, raggiungiamo la cima, con bucaneve e cacchette di capra, e ci concediamo una pausa. Torniamo dunque sui nostri passi per proseguire verso il monte Casarola, logico sviluppo della cresta nord-est. Anche qui troviamo estetiche lingue di neve, che contrastano vivamente con il verde delle valli sottostanti.

Lingue di neve del monte Casarola

I ramponi stridono come gatti in via di castrazione mentre attraversiamo i diversi passaggi asciutti sulle rocce; la parete nord sulla nostra sinistra sembra quasi verticale. Imbocchiamo in discesa un ampio canalone, e in breve siamo al rifugio Rio Pascolo. Ci aspetta la lunga discesa, un po' alleviata dalle chiacchiere; alle 14 siamo a Succiso, dopo 7 ore e mezzo di camminata/ramponata/arrampicata. Oggi alpe per noi ha significato alpinismo.

Discesa dal canale ovest del  Casarola
Vedi la relazione tecnica della via sul blog Federico, The Red Climber

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