Difficile stare in città con pomeriggi del genere. Risalgo la val Ceno fino a Bardi, volto a destra verso Bore e parcheggio all'ultima frazione prima del Passo Pellizzone: Cogno di Gazzo. Dal ridente paesino semi-deserto comincio a salire lungo una carraia che punta all'evidente rupe ofiolitica del Groppo di Gora.
Qui è presente una cava di pietre verdi, usate per costruzioni e fondi stradali. Gli affioramenti ofiolitici sono diffusi in un'ampia fascia di Appennino emiliano, specialmente nelle valli di Taro e Ceno; sono stati sfruttati sin dall'età del ferro per l'estrazione di pietre resistenti, ma negli ultimi decenni le cave sono state in gran parte abbandonate per la bassa redditività.
Bisogna inoltre ricordare che nelle ofioliti sono presenti fibre di amianto, in quantità comunque non preoccupante per la salute di chi le lavora: almeno stando all'interessante (ma ormai datato) rapporto dell'ARPA Emilia Romagna del 2004, nel quale sono censite le varie cave con analisi dei campioni di rocce e dei dati sulla mortalità per tumore nei paesi interessati dall'estrazione, risultati nella media nazionale.
Il rapporto lasciava comunque vari punti interrogativi, legati soprattutto alle statistiche (gli abitanti di questi paesi sono pochi) e al fatto che il tumore causato dalle fibre di amianto - cioè il mesolitoma - ha un'incidenza di 30 - 40 anni. Sono dunque sorti comitati per tutelare la salute dei valligiani, e le cave di Bardi sono finite sui giornali quando nel 2012 il sindaco ne ha autorizzato la riapertura e il rinnovo di concessione.
Per un po' sui giornali di certo non ci torneranno, ma in compenso sono finite su montagnatore! Torniamo dunque all'inizio della passeggiata, a quel paesino dal nome gradevole: Cogno di Gazzo (900 m). Seguo la strada che lo attraversa, asfaltata fino alle ultime case poi sterrata, e dopo circa 1 km incrocio il metanodotto sopra il quale passa niente meno che la Via Francigena.
Devo a questo punto ritrattare le mie convinzioni storico/viabilistiche: gli antichi romani avranno anche inventato gli acquedotti, ma i metanodotti sono un retaggio del Medioevo. E come se non bastasse i lungimiranti abati hanno pensato persino di utilizzarli come vie di comunicazione, vista la mancanza di alberi sopra il loro tracciato: probabilmente ci passavano con le jeep.
Facendo questi pensieri, temevo di incontrare lungo il metanodotto l'indiano di Cadignano, invece ho incontrato un cinghiale, e bello grosso! per fortuna spostatosi senza tanti preamboli e ringhiate. Abbandono volentieri il pellegrinaggio sul metanodotto appena raggiungo il crinale fra val Ceno e val d'Arda, riconoscibile per la presenza di una centralina con i cartelli, e imbocco a sinistra il sentiero Cai 907 che penetra nella faggeta.
Purtroppo la traccia è rovinata dal passaggio di moto (troppo poco lo spazio per jeep o trattori), con solchi profondi pieni di fango che inducono a passare nel bosco. Il sentiero di crinale non è che la giuntura fra tante altre sterrate, tutte ridotte nelle stesse condizioni; se non ci fossero i segnali sarebbe facile sbagliare strada qui, anche perché il crinale è poco pronunciato e tutto coperto dal bosco.
Finalmente dopo questo lungo tratto noioso i faggi si aprono un poco a mostrare di nuovo l'imponente Groppo di Gora (1301), ormai vicino. Tenuta la sinistra a un bivio (indicazione per monte Lama), con uno strappo di salita sono sui bei prati sommitali, pieni di fiori e solcati da caratteristici canalotti; impressionante il contrasto con l'orrido marrone che sprofonda sulle cave: proprio sull'orlo è stata posta una madonnina dentro una specie di mini-bivacco.
Mi concedo un po' di relax sul praticello morbido al sole, sembra che le gambe debbano ancora recuperare lo sforzo delle Apuane di 6 giorni fa... riparto comunque in fretta, costeggiando il bordo del precipizio dove il prato si interrompe, mangiato letteralmente dall'erosione. Posso ora apprezzare il versante ovest del Groppo, non alterato dalle cave: una massiccia parete scura, alta quasi almeno 80 metri e dall'apparenza solida... chissà, si potrà tracciare qualche via alpinistica? O dopo, più che per inalazione di fibre di amianto, il rischio sarebbe di lasciarci le penne per qualche roccia traditrice?
Così ragionando, supero un piccolo valico nel bosco e riprendo a salire verso il Castellaccio; nuovi prati panoramici con fioriture variopinte deliziano il mio sguardo, purtroppo sempre a pochi passi dagli onnipresenti solchi fangosi delle moto, dove quei fiori sicuramente non cresceranno più per anni. Come se non bastasse, pezzi di palstica bianca e rossa sono appesi agli alberi, a indicare il tracciato di qualche giro o competizione.
Appena il bosco si interrompe compare all'improvviso un elegante pinnacolo ofiolitico, che non avevo notato prima: si tratta della vetta del Castellaccio (1308), che raggiungo con facile arrampicata. Ecco che la vista si apre su un nuovo versante, e sotto il mio naso si stende un'ampia torbiera pianeggiante, uno dei tanti "Prato Grande" o "prato Mollo" diffusissimi in questa zona di Appennino.
Al centro piccole polle d'acqua, e sparsi ovunque sassi scuri o rossastri che contrastano col terreno argilloso intorno, creando un'atmosfera da frana ciclopica; non mancano naturalmente le solite fioriture rare legate al microclima caldo presente attorno alle ofioliti. E non mancano neppure le solite tracce di jeep e moto, squarci profondi in questa piccola oasi d'alta quota; solchi che non si limitano alla sterrata che attraversa la torbiera (di fatto siamo su un valico), bensì creano piste secondarie totalmente superflue. Si vede che siamo vicini alla "valle dei motori", dove i motori sono il motore dell'economia; qui però ci sono valori naturalistici diversi da quelli delle colline sopra Varano Melegari.
La zona del Groppo di Gora - Monte Lama - Monte Menegosa è un Sito di interesse comunitario (SIC), e i motivi ci sono tutti: rarità botaniche, geologiche, ricchezza faunistica, ambiente dal sapore di alta quota con panorami ampi verso la pianura e l'Appennino. Trovo totalmente irrispettoso e dannoso permettere a mezzi motorizzati di attraversare queste zone per divertimento; e non ci vedo neanche un gran tornaconto economico, vista la pressoché totale assenza di attività ricettive nei dintorni.
Valorizzare queste montagne a livello escursionistico invece potrebbe fare sopravvivere nei weekend un rifugio e qualche locanda/ristorante in più; la vicinanza con la pianura potrebbe essere il fattore vincente. Ma con la via Francigena che passa da un metanodotto; con i sentieri maciullati di fango; con l'incognita per il camminatore di doversi spostare per far passare la comitiva di moto da enduro/jeep e mangiare il loro fumo, non ci saranno grossi passi avanti.
Dall'ampia torbiera sotto il Castellaccio mi riporto ai piedi del Groppo di Gora seguendo un'ampia sterrata in direzione est. Nella piccola cava c'è una ruspa abbastanza nuova e la casetta del cantiere, nuova anche lei ma vittima di piccoli vandalismi. Proseguo sulla strada di servizio della cava che scende verso Cogno di Gazzo, inizialmente abbastanza ripida e con sassolini piuttosto antipatici; attraverso anche una pineta con un laghetto e in breve sono all'auto. Mi accorgo solo quando sbatto gli scarponi di avere pestato perfettamente un'escremento, non di Jeep né di moto. Per il resto pomeriggio davvero goduto!
Punto di partenza: Cogno di Gazzo (900)
Punto più elevato: Castellaccio (1308)
Dislivello in salita: 450
Tempo totale di percorrenza: 3 ore
Grado di difficoltà: E
Segnaletica: Discreta sui sentieri Cai, assente negli altri
Punti d'appoggio: Nessuno. Acqua 10 minuti sotto la cava del Groppo di Gora
Accesso stradale: Vedi mappa
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