Malga Venegia, ampi pascoli al centro di una valle incontaminata: le Pale di san Martino mostrano qui il loro volto solenne, ufficiale: tutte in fila ordinata, senza mai sovrapporsi, vale la pena farne l'appello per ricordare i loro nomi bellissimi ed evocativi: da sinistra a destra si susseguono dal basso verso l'alto il Mulaz, i campanili e la Cima di Focobon, quella di Valgrande e quella della Vezzana, con il piccolo e ormai estinto ghiacciaio del Travignolo che la separa dal Cimon della Pala, di poco più basso, che già da qui si presenta come il più eccentrico del gruppo.
Almeno da inizio estate desideravo andare sulle Pale, e lo scorso sabato finalmente si è presentata l'occasione. Insieme ad alcuni amici del Cai di Parma, abbiamo percorso un ampio e facile giro ad anello, partendo appunto dalla Val Venegia con destinazione il Castellazzo e la Baita Segantini.
In prossimità di Malga Venegia (1778) abbandoniamo subito la sterrata che risale la valle per prendere a destra un ampio sentiero che attraversa il torrente e sale nel bosco verso Malga Iuribello (1868).
Dopo un po' di salita il bosco lascia spazio ad ampie radure panoramiche, e poco sopra la malga (che ci lasciamo a destra) il sentiero si congiunge con una strada bianca pianeggiante che ci accompagna quasi sino al Passo Rolle.
Ricompaiono ora, una dopo l'altra, le Pale. Il loro aspetto è ben diverso rispetto a prima, in val Venegia: ora la distesa dolce dei pascoli mette in risalto la verticalità delle crode, che si presentano più isolate e incombenti. Su tutte spicca il Cimon della Pala, che si lancia verso l'alto per mille metri come una spirale impazzita, sempre più stretta fino all'ultima ardita, barocca falange.
lunedì 28 ottobre 2013
domenica 20 ottobre 2013
Val Brenta e Vallesinella, la meraviglia delle Dolomiti in autunno
Mi scuso per la prolungata assenza, ma stavo preparando qualcosa di "grosso"...
C'è chi le chiama stagioni morte: gli impianti e i rifugi sono chiusi, i sentieri bagnati o innevati, in giro non c'è quasi nessuno... personalmente mi piace essere quel quasi nessuno, specialmente se parliamo del periodo fra ottobre e novembre. Per testare la magia del medio autunno sono tornato sul Brenta, un mese dopo l'esperienza quasi deludente sulle Bocchette Alte; tanto era stata sfortunata a livello meteorologico quell'uscita, quanto stavolta ho trovato la tipica giornata perfetta, di quelle che ne capitano sì e no dieci in un anno.
La neve abbondante mi ha precluso i sentieri in alta quota, che d'altronde in giornata da Parma senza gli impianti avrei faticato a raggiungere; così ho deciso di stare abbastanza basso, partendo dal Vivaio del Brenta (1172), poco sopra Sant'Antonio di Mavignola. Mi trovo al centro di un importante snodo di valli: nei dintorni infatti confluiscono i tre rami del fiume Sacra (di Campiglio, di Brenta e di Vallesinella) e poco più giù il Rio Valagola. Al ramificarsi dei torrenti corrisponde quello dei sentieri: qualsiasi accesso al Brenta sud-occidentale (escludendo ovviamente gli impianti di risalita) deve per forza avvenire partendo o passando di qui.
Per la salita scelgo la val Brenta, un profondo solco fra scoscesi versanti boscosi, sorvegliato quasi 2000 metri più in alto da Campanile Alto e Crozzon di Brenta. Una strada bianca costeggia a lungo il torrente fino alla partenza della teleferica per il rifugio Brentei; qui la valle si chiude in un primo sbarramento morenico, e comincia la Scala del Brenta (sentiero 323).
Mi lascio il fiume a sinistra, salendo decisamente nel bosco prima di faggi poi mano a mano di latifoglie; supero un paio di piccole e affascinanti cascate, dopodiché un tratto faticoso fra sfasciumi e prime chiazze di neve mi accompagna sopra la barriera naturale dell'antico ghiacciaio.
Qui si apre qualcosa di simile al paradiso: la valle si fa pianeggiante, coperta da grandi larici secolari, sopra i quali si innalzano vicinissime e inondate di luce tutte le crode dolomitiche che coronano la valle. A Malga Brenta Alta (1670) il terreno è ormai quasi del tutto coperto di neve, non tanto per l'altitudine quanto per la posizione particolarmente in ombra.
C'è chi le chiama stagioni morte: gli impianti e i rifugi sono chiusi, i sentieri bagnati o innevati, in giro non c'è quasi nessuno... personalmente mi piace essere quel quasi nessuno, specialmente se parliamo del periodo fra ottobre e novembre. Per testare la magia del medio autunno sono tornato sul Brenta, un mese dopo l'esperienza quasi deludente sulle Bocchette Alte; tanto era stata sfortunata a livello meteorologico quell'uscita, quanto stavolta ho trovato la tipica giornata perfetta, di quelle che ne capitano sì e no dieci in un anno.
La neve abbondante mi ha precluso i sentieri in alta quota, che d'altronde in giornata da Parma senza gli impianti avrei faticato a raggiungere; così ho deciso di stare abbastanza basso, partendo dal Vivaio del Brenta (1172), poco sopra Sant'Antonio di Mavignola. Mi trovo al centro di un importante snodo di valli: nei dintorni infatti confluiscono i tre rami del fiume Sacra (di Campiglio, di Brenta e di Vallesinella) e poco più giù il Rio Valagola. Al ramificarsi dei torrenti corrisponde quello dei sentieri: qualsiasi accesso al Brenta sud-occidentale (escludendo ovviamente gli impianti di risalita) deve per forza avvenire partendo o passando di qui.
Per la salita scelgo la val Brenta, un profondo solco fra scoscesi versanti boscosi, sorvegliato quasi 2000 metri più in alto da Campanile Alto e Crozzon di Brenta. Una strada bianca costeggia a lungo il torrente fino alla partenza della teleferica per il rifugio Brentei; qui la valle si chiude in un primo sbarramento morenico, e comincia la Scala del Brenta (sentiero 323).
Mi lascio il fiume a sinistra, salendo decisamente nel bosco prima di faggi poi mano a mano di latifoglie; supero un paio di piccole e affascinanti cascate, dopodiché un tratto faticoso fra sfasciumi e prime chiazze di neve mi accompagna sopra la barriera naturale dell'antico ghiacciaio.
Qui si apre qualcosa di simile al paradiso: la valle si fa pianeggiante, coperta da grandi larici secolari, sopra i quali si innalzano vicinissime e inondate di luce tutte le crode dolomitiche che coronano la valle. A Malga Brenta Alta (1670) il terreno è ormai quasi del tutto coperto di neve, non tanto per l'altitudine quanto per la posizione particolarmente in ombra.
lunedì 7 ottobre 2013
Castelli dell'uomo e della natura nel basso Appennino reggiano
Casa-Torre a Valcava, presso Casina |
La rupe di Canossa e il suo castello |
E' questo il caso di Votigno, borgo di origini medievali ristrutturato (molto bene) con caratteri tibetani: un museo e un tempio sono gestiti dall'associazione Casa del Tibet, che organizza incontri ed eventi per diffondere questa cultura lontana in un luogo a prima vista insospettabile, dove nel 1990 è venuto in visita il Dalai Lama in persona.
Eppure qui non è difficile trovare una profonda dimensione spirituale, circondati dalla pace dolce delle colline.
Torre di Rossenella |
Il castello e la chiesa di Carpineti |
Su queste montagne prominenti l'uomo ha cercato riparo sin dai tempi più remoti, come dimostrano anche i siti risalenti all'età del ferro sulla Pietra di Bismantova: castello naturale e colossale, vero simbolo di questa zona dove i nostri simili si sono sforzati di convivere con l'ambiente naturale e lo hanno riadattato o imitato innalzando torri e muraglie dove terminava la roccia.
La Pietra di Bismantova vista da nord |
Iscriviti a:
Post (Atom)