mercoledì 27 aprile 2016

Val Formazza, primo giorno: Domodossola, Baceno e salita da Canza al rifugio Margaroli

Data uscita: 9 Aprile 2016
Punto di partenza: Canza (1418)
Arrivo: Rifugio Margaroli (2197)
Dislivello in salita: 800 circa
Tempo totale di percorrenza: 3 ore
Grado di difficoltà: EI
Punti d'appoggio: Fontana a Canza, possibilità di rifornirsi di cibo nei paesi precedenti (Ponte, Valdo)
Periodo consigliato: Tardo inverno/inizio primavera se si vuole ciaspolare
Note segnaletica: Ottima
Note: Si consiglia una visita alla chiesa di San Gaudenzio a Baceno!


Summit in val Vannino (foto di Fabio)

Domodossola: nota un po' a tutti gli italiani grazie a Mike Buongiorno, con buona pace di Desenzano del Garda, Duino, Dronero, Dorgali, Deruta, Diamante e pochi altri concorrenti papabili per la Di di. Dove poi sia Domodossola, solo una minoranza lo sa; vaghe idee di valli e montagne lontane, vicine alla Svizzera, forse in Lombardia...


In notturna dal rifugio Margaroli (Fabio)

E invece siamo in Piemonte, su una delle punte che la cartina politica dell'Italia protende verso nord; vicini alla Svizzera, vero, grazie a uno dei tunnel ferroviari più lunghi d'Europa: il Sempione. E mentre noi da Milano saliamo verso i Laghi, con la smisurata cupola bianca del monte Rosa stampata sul parabrezza, il nostro amico Marco (al momento domiciliato in Svizzera) attraversa le viscere delle Alpi Lepontine per rivedere la luce nello Stato natio.

Nuovi contrabbandieri fra Svizzera e Italia

Lo incontriamo dopo tanto tempo proprio a Domodossola, in un trafficato sabato di mercato; la sua figura sospetta, nella nostra attesa, si aggirava per le bancarelle con trolley e zaino enorme, armato di piccozza. Per qualche istante blocchiamo il passaggio di auto di fronte alla stazione, in modo da poterlo caricare in macchina con tutti i suoi ingombranti bagagli.

Domodossola, Piazza del mercato

Dopo una passeggiata nella pittoresca cittadina, con la Piazza del Mercato occupata dal mercato, ripartiamo per la val Formazza carichi di formaggio con cui farcire i nostri panini di oggi e di domani. La giornata è magnifica, tutta la valle Antigorio risplende del verde di primavera: i campanili, le antiche casette in sasso, le elegantissime centrali idroelettriche in stile liberty, le cascate, il granito.


La chiesa di San Gaudenzio a Baceno

A Baceno ci fermiamo per visitare la chiesa di San Gaudenzio, arroccata su un pulpito roccioso presso la confluenza del torrente Devero con il Toce. L'interno ci lascia a bocca aperta: totalmente rivestito da affreschi, alcuni dei quali risalenti al Trecento, la maggior parte autentiche perle di un rinascimento "montanaro", che comunque risentiva degli echi monumentali fiorentini e milanesi.

Arcate fra roccia e chiesa (Fabio)

Interno (Fabio)

Crocifissione all'interno di san Gaudenzio (opera del Bugnate, 1542)

Ci rimettiamo in viaggio, percorriamo tutta la valle Antigorio e una lunga galleria in salita a cavatappi ci fa sbucare in val Formazza: il fiume è sempre lo stesso, il Toce: ma la primavera qui deve ancora arrivare, e nei cartelli delle varie località è riportata la traduzione in lingua Walser: segno che siamo passati in un luogo diverso.

Lunghissimo piccone uncinato esposto su una casa Walser di Canza,
usato per recuperare i tronchi dal fiume

A Canza/Fruttwaald (1418) parcheggiamo, e trovata una bella fontana optiamo per pranzare al volo qui: tutto peso in meno negli zaini! Il formaggio, comprato al mercato dal banchetto di un'azienda locale, si rivela ottimo, e lo sarà anche domani. Dopo lo spuntino ci cambiamo e ci incamminiamo lungo il Grande Sentiero Walser, una carrozzabile fin da subito innevata (e non battuta) che risale con ampi tornanti il fianco ovest della valle.


Partenza da Canza (Foto Fabio)

I larici spogli lasciano intravvedere le montagne sul versante opposto, dove spicca il Basodino (3273); giù dai suoi ripidi canali, sentiamo e avvistiamo imponenti scariche di neve: ieri ha un po' nevicato e oggi le temperature sono alte. Attorno a quota 1800 il sentiero svolta decisamente a destra, infilandosi nella val Vannino. Una leggera discesa ci porta a Sagersboden, dove arriva la seggiovia biposto di Valdo.

Scariche di neve sui contrafforti ovest del Basodino

Da qui in su la traccia per i rifugi è ben battuta, ed è una fortuna siccome la pendenza e la quantità di neve sul terreno si fanno più marcate. Insieme al bosco finisce anche la parte più faticosa, e ci si apre lo scenario fatato dell'alta valle: a destra grandi placconate di granito (attrezzate per lunghi ed entusiasmanti monotiri) fanno da contraltare ai nevosi e ripidi versanti nord dei monti Giove e Clogstafel.


In cammino verso il rifugio (Fabio)

Altre montagne dai profili eleganti chiudono l'orizzonte. In tutto questo i grandi pali che trasportano corrente alle dighe del Vannino appaiono un po' fuori posto, ma siamo nel cuore delle valli elettriche, e stasera in rifugio non ci dispiacerà poter dormire con l'interruttore in camera e in bagno!

Sempre più folgorati (foto Fabio)
 
Adesso la traccia prosegue pressoché pianeggiante affianco al torrente, e dopo poco avvistiamo il rifugio Margaroli, posizionato su un dosso vicino agli edifici della diga. Assistiamo al distacco di una piccola slavina di neve marcia, che si ferma pochi metri sopra al sentiero... poco dopo un camoscio arranca in salita su per la neve pesante, non troppo infastidito dalla nostra presenza.

Camoscio

Alle nostre spalle, verso il Basodino, il cielo si è fatto scuro, e contrasta nettamente con l'anfiteatro luminosissimo di neve in cui ci stiamo addentrando. Un'ultima breve salita ci porta al rifugio, con buon anticipo sulla cena (alle 19). Troviamo ad aspettarci una manciata di sdraio affacciate sulla distesa bianca del Lago del Vannino, un connubio perfetto con il boccale di birra.

Verso il Lago Vannino

In rifugio ci siamo solo noi e altri 4 scialpinisti con in programma la Cima d'Arbola. La cena è ottima e abbondante, il rifugista disponibile e ben informato. Ci consiglia di partire presto visto il forte caldo, anche perché l'itinerario che abbiamo in mente - seppur non ripido - è esposto al rischio di slavine dai lati. Incassiamo una dovuta ramanzina per la mancanza di APS, prima o poi dovremo procurarceli.

Rifugio Margaroli

Proprio mentre ci viene servita la torta, fuori qualcuno poco amante dei dolci assiste a un bel distacco di fondo appena sopra al rifugio e alla traccia che tutti noi ospiti dovremo percorrere domattina... non un buon presagio, decisamente! La luce si affievolisce, rimane il cielo notturno terso e tempestato di stelle, perfetto per risollevare il morale e... abbassare le temperature! Che comunque rimarranno a cavallo dello zero nella notte.


Camera della Volpe

Poco prima delle 22 filiamo a nanna: Fabio rimane fuori con la reflex e il cavalletto a scattare foto in lunga esposizione : temiamo si allontani troppo e venga sommerso da una valanga notturna, ma nonostante questo qualcuno riesce ad addormentarsi. Poco dopo rientra pure lui e possiamo trascorrere negli scomodi sacchi lenzuolo le lunghe ore che ci separano da una giornata grandiosa.


Val Vannino sotto le stelle (foto Fabio Giglio)
...Continua!

mercoledì 20 aprile 2016

Il Verme e Lumaca di Vetro: fuori di zucca per lo Zucco dell'Angelone

Il mio 2016 su roccia (buona!) si riapre proprio dove si era concluso il 2015: allo Zucco dell'Angelone. Lo scorso dicembre giungemmo ai piedi di questo montarozzo affacciato sulla Valsassina, e restammo letteralmente smarriti di fronte alla quantità di vie: ogni angolo di parete sembrava mitragliato di fittoni! Non trovammo l'attacco della via che puntavamo a fare (Condorpass) e dovemmo ripiegare su qualcosa di più breve, testando comunque la bontà di questo calcare ruvidissimo.
Sul Pilastro del Vampiro, 12 dicembre 2015

Stavolta torno all'Angelone armato di guida, e con le idee decisamente più chiare. Lasciata l'auto nel comodo parcheggio (a pagamento) della funivia, ci dirigiamo spediti al Primo Sperone: una grande placca appoggiata, dove alcuni ragazzi stanno già arrampicando e ci indicano dove trovare l'attacco della via Il Verme, la quarta o quinta linea di fittoni sulla struttura partendo da sinistra.

Fessure sul Verme

Il primo tiro è appoggiato, perfetto per far prendere ai piedi confidenza con le rugosità della roccia. I fittoni sono a distanza generosa, ma la fiducia nell'aderenza è fondamentale per procedere anche se siamo su un 4a (gradi lecchesi!). Alla catena proseguo su una cengia che sale a destra (II grado), e faccio sosta su due anelli presso una biforcazione.


Alla fine della cengia

La via originale sale a sinistra, superando una bella lama seguita da uno spigolo (4b). Anche il terzo tiro si presenta simile, con uno spostamento iniziale a sinistra ben appigliato e subito dopo uno strapiombino (4c, più difficile al centro); poi si procede su placca appoggiata, lasciandosi a sinistra un alberello e traversando a destra su concrezioni fino alla sosta.

Terzo tiro

La via proseguirebbe in cresta con altri due tiri facili su roccia mediocre, e noi decidiamo di calarci subito. Grazie alle due mezze ci bastano due calate per raggiungere la base dello Sperone, dove nel frattempo si è radunato un bel mucchietto di persone. Mangiamo qualcosa al volo, ormai ci siamo scaldati e possiamo puntare al vero obiettivo della giornata.

Ci si cala sulla folla colorita

Appena a sinistra del Primo Sperone (faccia a monte) risaliamo su sentiero segnato un ripido canale che ci porta alla base del Secondo, chiamato anche Pilastro dell'Essenza. Qui sale la via Lumaca di Vetro, creazione di fine anni 70 di Ivan Guerini e soci; i pionieri della val di Mello consideravano forse il calcare granitico dell'Angelone un ottimo terreno di allenamento, oltre che di scoperta.

Vista della seconda parte di Lumaca di Vetro

Oggi Lumaca di Vetro si presenta ben protetta a resinati, ma resta una via di grande fascino, con arrampicata varia ed estetica. Il primo tiro parte con diagonale a sinistra su placca appoggiata, con un delicato passo di aderenza (5b); raggiunto un terrazzino (possibile sosta intermedia) saliamo la linea di fittoni centrale delle tre presenti, superando un muretto verticale con l'aiuto di buchi e concrezioni (5c).

Primo tiro

Il secondo tiro ci riporta leggermente a destra, per poi affrontare sulla sinistra un pilastro (ottima lama, 5a) e proseguire su entusiasmanti canne leggermente appoggiate (5b, fittoni un po' più distanti). Al terzo tiro facciamo un po' di confusione: scartata la linea di fittoni subito sopra la sosta - a occhio troppo difficile - Pietro traversa a destra su una cengetta erbosa, senza raggiungere l'albero dove si trova la sosta di un'altra via lunga parallela.

Secondo tiro

Al centro delle due linee non si vedono fittoni, quindi bisogna arrangiarsi con le protezioni veloci. La parete è appoggiata e lavorata, le difficoltà non superano il IV grado: salire così ha qualcosa di esplorativo, avventuroso, e con un po' di fantasia sembra quasi di tornare nei panni di chi salì queste pareti quando ancora non c'erano altro che roccia e piante.

Terzo tiro: c'è chi scende e c'è chi sale!

Ora ci sono anche i fittoni resinati, e anche se uno se lo dimentica per strada, Pietro rinvia gli ultimi due, piazzati con criterio in prossimità di passaggi più impegnativi. Eccoci alla penultima sosta, ai piedi del pilastro finale: la linea di Lumaca di Vetro si sposta a sinistra per poi salire lungo uno splendido ed esposto diedro, dalla roccia biancastra.

Quarto tiro

Salgo io da primo, integrando con un nut più psicologico che altro - i fittoni sono tutto sommato vicini! - e con un traverso a destra, poco prima del termine strapiombante del diedro, raggiungo la sosta finale, in posizione particolarmente aerea. Pietro mi raggiunge velocemente e ci gustiamo un poco il panorama prima di attrezzare una nuova corda doppia.

Ultima sosta
 
Alla nostra sinistra sale il Terzo Sperone, dove corrono alcune fra le vie più lunghe dell'Angelone (Foto di gruppo con signorine, sulla quale vediamo impegnate un paio di cordate); sotto di noi la breve pianura della Valsassina, dominata dalle due Grigne ancora in parte innevate. E' ora di calarci in quella direzione!

Prima calata lungo Lumaca di Vetro

La prima doppia ovviamente è espostissima, e ci porta sulla cengia alla destra della seconda sosta; qui dubitiamo di raggiungere la base con un'unica calata, ma il terreno poco inclinato e la presenza di un canale ci incoraggiano a scendere finché abbiamo corda... Ci ritroviamo così una decina scarsa di metri sopra la base, e dobbiamo scendere scomodamente un po' per la placca non proprio facile, un po' per il canale sporco di terra. Una pericolosa faticaccia.

Taleggio!

Tornati agli zaini addentiamo i panini stracolmi di taleggio che ci siamo fatti preparare a valle; la giornata è ancora lunga e decidiamo di andare a visitare il settore Bastionata. Torniamo indietro fino quasi al primo sperone, poi cominciamo a traversare a destra su sentiero con qualche tratto attrezzato; superiamo le basi del Terzo e del Quarto, e ci ritroviamo sotto una placca enorme con alla base un ghiaione.

Fessure da sbavo

Linee di fittoni salgono ovunque, ma i disegni della guida non sono troppo chiari; e anche il fatto che non ci sia scritto nulla da nessuna parte contribuisce a instillarci il dubbio di non essere nel posto giusto. Proseguiamo la discesa con una scaletta fino a un nuovo settore, probabilmente lo Sperone dell'Astinenza... attacchiamo una bella fessura con fittoni vicini, e raggiunta la sosta su un boschetto proseguiamo con un altro tiro (strapiombino e canne); come difficoltà saremo attorno al 5a; la via dovrebbe chiamarsi Frisco Liberaci... comunque dalla seconda sosta ci caliamo fino alla base.

Secondo tiro (Frisco Liberaci?)

Giusto il tempo di un monotiro sulle affascinanti e difficili canne e il sole si nasconde dietro il Grignone: i piedi cuociono, le mani prudono dopo tutto il ruvido accarezzato... possiamo ritenerci soddisfatti appieno di questa seconda visita all'Angelone! Radler al rifugio della seggiovia, tiriamo le 19 e in un paio d'ore siamo a casa, senza trovare traffico né a Lecco né a Milano.

Ultima luce sulle canne

domenica 17 aprile 2016

Alpe di Vallestrina invernale, variante alla via Fornaciari

Data uscita: 26 marzo 2016

Punto di partenza: Rescadore di Febbio (1200)

Durata: 1 ora e mezzo di avvicinamento, 1h e mezzo la via (considerare almeno il doppio procedendo in cordata) 2 ore rientro

Dislivello in salita: 700

Grado di difficoltà: AD+

Chiodatura: Assente. Portare qualche chiodo e friend. Noi abbiamo piantato anche un cuneo di legno (recuperato)

Punti d'appoggio: Bivacco Zambonini (1585), con reti e tavola

Esposizione della via: Nord/Ovest

Periodo consigliato: Vista la posizione molto ombrosa e la quota elevata, la via parete del Vallestrina (specialmente la via Fornaciari che è la più incassata) sono potenzialmente in condizioni fino a primavera.

Foto con * di Mario Brunelli

Cornici e panorami scendendo dal Vallestrina *

Il Gigante reggiano ci dà il buongiorno tutto luccicante di neve, disteso ad abbronzarsi sotto il potente sole di fine marzo. Sono da poco passate le 7 del mattino, e c'è un solo fazzoletto verticale di Cusna ancora all'ombra: la parete nord ovest dell'Alpe di Vallestrina (1904). A Febbio suscitiamo scompiglio fra i parcheggiatori e la Polizia (hanno deciso di fare pagare la sosta agli sciatori...) per aver lasciato la Panda un po' nei piedi davanti al bar. Ma il caffettino ci vuole sempre, porta bene anche se sono già le 8.

Ricognizione pomeridiana sotto la via Fornaciari *

Proseguiamo comunque verso Pian Vallese finché la strada non è sbarrata dalla neve, e ci accodiamo alle auto degli scialpinisti già partiti o in fase di partenza. Somministriamo la solita dose di chilogrammi nei nostri zaini e ci incamminiamo sul sentiero 615, seguendo la traccia già battuta e su neve portante. Maciniamo metri e in meno di un'ora siamo alla fine dei faggi, nella grande conca sotto il Passone.

Verso l'Alpe di Vallestrina
 
L'Alpe di Vallestrina però è più lontana di quanto ricordassi dall'ultima volta, e dobbiamo traversare a sinistra nel bosco per ancora mezzoretta prima di trovarci nel maestoso vallone dominato dalla sua parete, ancora in ombra nonostante siano ormai le 10! Infiliamo imbrago e ramponi, stendiamo le mezze corde e saliamo con gli zaini alleggeriti il primo facile tratto di pendio, puntando al canale al centro della parete: la via Fornaciari.

"Conserva lunga" nel primo tratto facile

Troviamo un masso adatto a fare da sosta sulla destra del canale, tagliato da un bel fessurone. Propongo a Mario di provare il cuneo di rovere, che mi sembra della misura giusta... tre etti portati fino a qui per qualcosa! Il cuneo si conficca con poche martellate nella fessura, e dà ottime garanzie di tenuta. Per non sbagliare però ci infiliamo di fianco un friend...

Sosta con cuneo di rovere e friend

Testo io la prima sosta con cuneo di legno, e risalgo la prima parte di canale, ancora appoggiata su pendenze che non superano i 40 gradi. La neve è perfetta, dura al punto giusto perché si infilino le punte delle becche. Non mi rendo conto che sono a metà corda quando raggiungo un nuovo masso nel quale inserire una protezione; la linea principale proseguirebbe a sinistra, meno definita, impennandosi in prossimità di una fascia rocciosa; io punto invece a un canalino più ripido che sale a destra, affrontando lo sbarramento direttamente.

Inizio della via Fornaciari *

Presto mi rendo conto che la qualità del ghiaccio è inversamente proporzionale alla pendenza. In soldoni, sul ripido lo strato di neve si presenta scollato dal fondo e l'unico modo per salire in sicurezza è spiccozzare zolle d'erba ghiacciata, dopo un faticoso lavoro di pulizia per raggiungerle. Dando fiducia totale ai piedi, si salirebbe anche senza bisogno delle mani; ma avendo soltanto un friend ormai svariati metri sotto il culo preferisco usare quattro zampe.

Mario sale

Non trovo alcuna fessura o spuncione valido per proteggermi, dunque proseguo piano piano finché scopro da Mario che la corda sta finendo... una brutta notizia, siccome lo stesso non vale per le difficoltà! Non vedo posti validi per sostare attorno, se non un grande spuncione al quale mancano almeno 20 metri.

Esposizione sulla terza sosta
 
In questi casi bisogna decidere a mente fredda e velocemente... raggiunto un punto comodo, dico a Mario di disattrezzare la sosta, e partire salendo la parte iniziale facile del canale. Prima che raggiunga l'impennata, io sarò al masso. Ricevuto l'ok, partiamo in questa sorta di conserva lunga, decisamente pericolosa; appena posso pianto il fittone, dopodiché con un traverso su neve poco consistente raggiungo il masso tanto desiderato; basta una pulita alla cima ed ecco pronto lo spazio per la mia fettuccia di 4 metri.


Secondo tiro: la sosta vista dall'alto *

Ora Mario può salire in sicurezza, e lo fa molto in fretta: tutta questione di fiducia nei piedi! Aggira su mio consiglio il canale da sinistra, e superata una fascia di misto zolle recupera il fittone e mi raggiunge. Siamo in prossimità di un bivio: a sinistra il canale principale si allarga di nuovo per terminare sotto le grandi cornici sporgenti in cresta; a destra sale di nuovo un canalino più ripido.

Mario sul "secondo" tiro

Mario opta per la seconda soluzione, anche perché l'uscita in cresta sembra più agevole e ai lati del canale ci sono massi con qualche possibilità di protezione. Sale e pianta un chiodo prima di un passaggio ripido, dove intuisco stia litigando con qualche zolla erbosa. La parte più verticale è superata, nuovo chiodo sempre sulla destra e via di nuovo su per zolle e qualche masso a lato, con una colata d'acqua ghiacciata che è pura goduria. Sosta su un masso appena sotto la cresta e posso partire anche io, godendomi questo bel tiro sostenuto, probabilmente anche più ripido del canalino salito prima.

Io sul secondo tiro
 
L'uscita in cresta tocca a me; dall'ottima sosta attrezzata da Mario traverso brevemente a sinistra in massima esposizione, raggiungendo un macigno dove pianto un altro chiodo; il martello ce l'ha ancora Mario, quindi mi tocca battere i primi colpi con la mia quasi-nuova piccozza martello, che tutto sommato se la cava bene.

Ultimo traverso prima della cornice *

Testato il chiodo, smetto di traversare e affronto direttamente l'impennata finale sotto la cornice, su neve piuttosto inconsistente dove di fatto devo trazionare sulle piccozze piantate a mo' di fittoni. L'uscita sembra quella da un Boulder dove aneli di riappoggiare il sedere sullo spiano, che in questo caso è neve resa ormai marcia dal sole.

Uscita!

Pianto le due picche e un fittone alla meglio e a debita distanza dal bordo della cornice, e recupero Mario godendomi il sole e la bella vista sull'imponente gruppo Sassofratto-Prado-Cipolla, uno degli obiettivi mancati (per me) dell'inverno. Ma oggi se n'è centrato uno notevole! Raggiungiamo la cima su facile cresta, mangiamo qualcosa favoriti dal poco vento, dopodiché scendiamo aggirando la montagna da nord ovest.

La facile cresta ovest verso la vetta

Traversiamo sotto la base della parete, su neve ancora ottima, e recuperiamo un rinvio che mi era caduto dall'imbrago prendendo il fittone; anche una maglia rapida ha fatto la stessa fine, ma rinunciamo alla svelta a cercarla, senz'altro rimasta conficcata nella neve.

Traversando sotto la parete

Dopo qualche confronto fotografico con la bibliografia presente online, senz'altro più attendibile di quella cartacea (la guida Appennino di Neve e di Ghiaccio), scopriamo che la via da noi seguita non  era la Fornaciari, bensì una variante più verticale chiamata Dulcis in Fundo, salita nel 2010 da uno degli Alpinisti del Lambrusco in condizioni un po' più secche ma con neve forse migliore rispetto a quella trovata da noi... lui salì slegato, mentre io e Mario abbiamo preferito affrontare la via assicurati, piantando un paio di friend e 5 chiodi, tutti recuperati: speriamo che in tarda primavera, trovando una maglia rapida sotto la parete, qualcuno non pensi che su di qua ci siano spit!