Punto di partenza: Parcheggio sotto Malga Movlina (1786)
Punto più elevato: Passo del Vallon (2800 circa). Con percorso corretto, Cima Pratofiorito (2900 circa)
Dislivello in salita: 1300 circa
Tempo totale di percorrenza: 8 / 9 ore
Grado di difficoltà: PD. Traversi esposti su ghiaione, pendii nevosi, un canale con qualche passo di II.
Punti d'appoggio: Rifugio XII Apostoli
Periodo consigliato: Estate, autunno. Evitare le giornate troppo calde. Percorso sicuramente più interessante d'inverno, ma complesso per via della lunghezza e delle varie esposizioni.
Note segnaletica: Assente in tutto il tratto dal Baito dei Pastori al Vallon, salvo rari ometti e segni di vernice. Buona nella prima parte del Vallon, più confusa nell'ultimo tratto. Ottima sul resto del percorso.
Note: Escursione consigliabile in linea di massima agli amanti della wilderness. Necessario ottimo senso dell'orientamento, malizia nell'indovinare i punti migliori in cui passare, confidenza con terreni ripidi, esposti e cedevoli. Non scendere come ho fatto io dalla Vedretta dei XII Apostoli, ma proseguire fino a Cima Pratofiorito (2900) per poi scendere dall'omonima, più facile, vedretta.
Il Vallon |
I luoghi più selvaggi che abbia mai attraversato sono proprio qui, sulle Dolomiti più vicine alla pianura lombarda, a pochi passi dalle funivie di Pinzolo e Madonna di Campiglio. Parlo del gruppo chiamato Vallon, la parte più meridionale delle Dolomiti di Brenta: vi penetra la val d'Algone, sopra Stenico, risalita da una strada che arriva quasi sino a 1800 metri: una quota interessante se paragonata agli altri ingressi classici al gruppo, generalmente più bassi (funivie escluse!).
Malga Movlina |
Già percorrendo la lunga strada si penetra mano a mano in un mondo diverso, dove il tempo scorre più lentamente, al ritmo delle bestie che pascolano attorno alle numerose malghe. La più alta della valle, presso cui si parcheggia, si chiama Malga Movlina, ed è un balcone a dir poco straordinario sui ghiacciai di Adamello e Presanella e i bastioni rocciosi del Brenta.
La Presanella |
Non sono gli scorci più famosi e fotografati, quelli delle Bocchette e delle vallate che vi conducono; si tratta di cime un po' più rozze, ma ugualmente imponenti, sulle quali si avventurano pochissimi alpinisti. I sentieri che vi girano attorno sono frequentati più che altro da cacciatori, e dalle loro prede: i camosci, che scorrazzano numerosi su per i ghiaioni sterminati crollati da queste fragili montagne.
Dopo avere fatto quasi la coda per salire sul monte Disgrazia, cercavo qualcosa di meno impegnativo ma più selvaggio, e la zona del Vallon si è rivelata un'ottima scelta. Partito da Parma alle 5.15, entro nella val d'Algone verso le 8. Scambio due chiacchiere con il ragazzo che vende i permessi per la strada presso l'Albergo Brenta, e ottengo utili suggerimenti sull'itinerario che intendo seguire, decisamente fuori dalle classiche rotte escursionistiche.
Da Malga Movlina (1786) proseguo fino al bivio con il sentiero 341, che imbocco a destra addentrandomi nella val di Sacco. Il piacevole riscaldamento termina presso il Baito dei Cacciatori (1800) dove, ignorato il sentiero 341B per Malga Nambi, attraverso in direzione sud il campo appena dietro la costruzione. L'erba è già pestata, e presto compare la traccia di un vero e proprio sentierino, pure abbastanza pulito.
Baito dei Cacciatori |
Il primo tratto è pianeggiante, nella vegetazione, per fortuna ancora all'ombra; poi la traccia si fa più confusa in prossimità di un ripido pendio di pini mughi. Conviene mantenersi il più possibile a sinistra, a distanza dal canale ghiaioso, che si attraversa più in alto possibile, laddove i mughi terminano. Una serie di traversi su terreno molto instabile mi mettono subito a dura prova: saranno una costante della giornata.
Inizio dei traversi verso il passo delle Ortiche. Il sentiero passa nella cengia centrale |
Per fortuna c'è ancora ombra, garantita dalla Cima della Finestra (2618) sopra la mia testa. La traccia è abbastanza chiara e segue talora alcune cenge, e sotto una di queste trovo una pietra arancione luminosa incastonata fra altri sassi: davvero fiabesco come segnavia! Più avanti ne troverò altre, come in una sorta di caccia al tesoro.
Il terreno rimane ripido, spietato: per fortuna c'è qualche mugo pronto a offrirmi i suoi rami e le sue radici! Sono quasi le 11 quando raggiungo il Passo delle Ortiche (2081), vicino a una caratteristica guglia aguzza accanto a un'altra struttura rocciosa più tozza.
Di fatto mi trovo soltanto all'inizio della traversata. Paurosi precipizi sprofondano a valle, a monte torrioni e picchi si innalzano quasi volessero difendere i pezzi grossi di questa scacchiera di dolomia: la cima Padaiola e quella del Vallon (2969), il Re del gruppo.
Il sentiero scende dall'altra parte del passo, di nuovo fra i pini mughi ma ora al sole; poi incomincia a traversare in direzione sud-est alcuni campi, terrazzati da cenge appena accennate. Ci sono ora varie tracce parallele: io seguo la direzione intuitiva, cominciando a salire fino ad affacciarmi su un nuovo versante.
Avvicinandosi alla Busa delle Gere |
Di fronte a me c'è ora l'impressionante Busa delle Gere, un larghissimo ghiaione dominato dalle pareti sud della Cima di Vallon: ai loro piedi, in cerca di un po' di ombra nei pressi degli ultimi scarni nevai, intravvedo i primi camosci della giornata.
Busa delle Gere, da quanto è grande non sta tutta nella foto: parte bassa (il sentiero passa sull'erba a destra) |
Non intendo attraversare tutto il ghiaione - col caldo di mezzogiorno sarebbe una scelta da pazzi - ma mi porto alla sua base per poi costeggiarlo dal basso su terreno più erboso. Una nuova salita mi porta poi all'orlo di una nuova vallatina, ben più stretta, che termina proprio sotto il Passo di Forno (2241).
...e parte alta, con Cima Vallon |
Per salirvi percorro all'inizio alcune cenge stando piuttosto basso; poi decido di salire i ripidissimi pendii erbosi alla mia sinistra, che mi danno più fiducia rispetto al canale sotto il passo. Una volta su posso riprendere il fiato ammirando il selvaggio, ampio Vallon, al quale sono diretto. Si tratta di una valle molto lunga, che attraversa tutto il gruppo con percorso sinuoso, dai 1200 metri del fondovalle fino ai 2800 del Passo di Vallon. Di fatto ora mi trovo all'altezza della sua metà.
Il gruppo di Cima Vallon visto dal passo del Forno |
La discesa dal Passo di Forno si rivela complessa e molto pericolosa. La traccia ormai non si riconosce più: a logica continuerebbe a seguire le cenge molto esposte sulla mia sinistra, a ridosso della montagna: ma di nuovo preferisco mantenermi finché possibile sui prati. Il problema è che presto o tardi occorre per forza traversare, per raggiungere il fondovalle appena sotto un vastissimo ghiaione dove intravvedo la traccia. I prati infatti terminano su una ben più temibile scarpata.
Delicate cenge nella discesa dal Passo del Forno |
Non ci sono più mughi pronti a darmi una mano ora, al più qualche piantina spinosa. Di fatto la progressione è legata all'equilibrio, alla leggerezza estrema di ogni passo, alla scelta attenta di quel poco che tiene in mezzo a questa scabrosa, perenne frana di materiale. Ritrovo la traccia presso una cengia, che almeno mi dà qualche presa buona per le mani. Attraversato l'ennesimo ghiaione "pulito" (sono quelli più delicati e scivolosi) finalmente ne trovo uno "sporco", pieno di sassi che a ogni passo posso permettermi di lasciar rotolare a valle senza farmi troppi patemi.
Il versante da cui scende il "sentiero": il passo è la piccola sella erbosa a sinistra |
Sono sul fondovalle, sano e salvo: alcuni segni Cai, dopo tanto tempo, mi ridanno anche una spinta morale in più in vista della nuova, lunga salita del Vallon. Prima però scendo di un centinaio di metri in cerca di una sorgente di cui parlano le vetuste Guide dei Monti d'Italia. In mezzo a un terreno tanto arido l'acqua sembrerebbe un miraggio, ma quando ormai temo ne sia rimasto solo il ricordo, ecco, circondata da una vegetazione rigogliosa, la sorgente: luminosa, fresca, commovente. Quota circa 2000 metri.
Ne approfitto per mangiare, in compagnia di una curiosa farfalla e un ranocchio. E' l'una passata, la giornata è ancora lunga e sembra mantenersi stabile. Recuperate le forze, mi attende la salita in pieno sole del Vallon. Dopo gli equilibrismi sui sentieri di stamattina, questo risulta quasi una passeggiata; inoltre sono presenti segni di vernice che aiutano a non smarrire la traccia, comunque poco battuta.
Vallon, verso monte... |
Ad ogni nuova svolta, salendo, si aprono conche grandiose, con ai lati ghiaioni sui quali corrono spaventati e sorpresi nuovi camosci. Il sentiero è tutto sommato rilassante, spesso in piano: passo la Busa del Vallon inferiore e quella superiore, che costeggio tenendomi sulla mia sinistra. Ormai sono in vista delle pareti che chiudono (così almeno credo) il vallone, e purtroppo finisce il relax.
...e verso valle |
La traccia infatti si fa più debole fino a sparire, insieme ai segni di vernice che la identificano. Mi tocca così salire lo sterminato ghiaione nella direzione che mi sembra più logica, cioè verso sinistra. Di nuovo la progressione si fa faticosa, instabile, e le gambe non sono più fresche come prima. Tanti sassi rotolano a valle, i camosci probabilmente mi deridono mentre vedono che salgo con tanta fatica a quattro zampe dove loro probabilmente sono abituati a danzare!
Fatica pura! |
A un certo punto, lasciatomi ormai a sinistra un primo salto roccioso, devo decidere se proseguire dritto verso le pareti o tenere la sinistra seguendo il ghiaione, che sembra diminuire di pendenza. Ricordandomi di un canale e non volendomi spostare troppo dalla linea logica di salita, scelgo la prima opzione: il venditore di permessi aveva parlato di un canale, e dalla base del ghiaione mi era sembrato di intravvederlo qui... devo superare un paio di salti, sono le cenge che bordano la montagna, e qui formano come un angolo: quasi meglio questa roccia, comunque insana, rispetto ai sassi mobili del ghiaione!
In verde la mia linea di salita, con il senno di poi non così logica |
La provvidenza (che in montagna non dovrebbe mai intervenire...) mi fa ritrovare un segno rosso: la direzione era giusta, solo il diavolo sa dove salisse il sentiero abbandonato 100 metri sotto! I segni puntano alla parete, mi fanno passare da una cengia molto esposta con tetto (II grado) ed ecco finalmente il canale, incassato, ripido, dall'aria molto fragile. Probabilmente non è quello che mi diceva il rifugista, ma lo scoprirò soltanto all'uscita...
Inizio del canale |
Percorrerlo ghiacciato con piccozza/e e ramponi è senz'altro più semplice e meno rischioso che non ora, con il fondo cedevole di polvere e ghiaia. Salgo affidandomi alla parete a sinistra, che fornisce appigli non sempre buoni, ma pur sempre appigli. A valle rotola di tutto, per fortuna non io. L'ultimissimo tratto di fatto è un diedro (II, una decina di metri), ma sempre meglio che procedere sui rottami che ho in mezzo ai piedi!
Fine del canale |
Il canale non sbuca sul crinale come speravo, ma in una nuova conca, l'ultima di questa interminabile cavalcata del Vallon... e pensare che l'ho intrapreso soltanto da metà salita! Ormai però si distinguono gli intagli di quelli che penso siano i Passi Vallon Occidentale e Orientale (2800 circa). Dalle relazioni so che devo raggiungere quello a est, dal quale è possibile la discesa verso il rifugio XII Apostoli, mentre l'altro ha sotto delle pareti rocciose.
Proseguendo nella stessa direzione, puntando leggermente a destra, raggiungo brevemente il valico che penso sia giusto: ecco l'alta val Nardis, con le sue vedrette ormai magre, il "Dodici" là in fondo appollaiato come un'aquila sul bordo dell'antica morena, e i primi 3000 del Brenta che fanno capolino a nord-est.
Mi fermo per recuperare le energie, convinto che la discesa sia facile... ma sotto di me precipita una parete dalla quale nessun sentiero, per quanto cattivo, può scendere. E' ormai chiaro che mi trovo sul Passo occidentale!
La Vedretta dei XII Apostoli dall'alto |
Mi tocca dunque percorrere la cresta verso est. Ci sono segnavia bianchi e rossi che però spariscono subito mentre comincio a traversare mantenendomi sul versante del Vallon. Una cengia sembra condurmi direttamente sulla vedretta, ma la scarto perché troppo esposta. Poco dopo trovo una forcella con alcune scritte di vernice indecifrabili, e la battezzo definitivamente come il Passo di Vallon orientale.
Passo del Vallon Orientale |
Secondo il piano originale avrei dovuto salire a cima Pratofiorito per poi scendere dalla facile vedretta, ma preferisco rinunciare alla cima e scendere direttamente, vista anche l'ora (16.30). Sotto di me c'è una vedretta, di cui vedo un'interruzione a metà... i segni di vernice mi danno l'idea di indicare la discesa, che sembra fattibile, e anche se non c'è alcuna traccia - non è una novità oggi - scendo.
Campanile Alto |
Il pendio è ripido (30° / 35°) ma la neve molle facilita la discesa con i soli bastoncini. Raggiungo presto l'interruzione, che come temo è una paretina, bassa e non ripida ma percorsa dalle cascate dell'acqua che fonde dalla vedretta. Butto i bastoncini 4 metri sotto e disarrampico, attenzione massima, qui gli errori non sono consentiti... la parete continua ma è più semplice, e appena posso mi trasferisco sul ripido nevaio a destra (anche lui sui 35°) e mi tolgo dalle difficoltà.
Vedretta dei XII Apostoli e Passo di Vallon orientale |
Laggiù in fondo scorgo la traccia, e proseguendo un poco capisco anche da dove proviene: quella che ho disceso era la Vedretta dei XII Apostoli, dalla quale non passa alcun sentiero... la Vedretta di Pratofiorito, percorsa dal sentiero segnato per il rifugio Agostini, era più avanti (a destra, a est), e per accedervi dall'alto facilmente avrei dovuto salire l'omonima cima. Un errore stupido, che guardando con un po' di distanza i posti da cui sono sceso non avrei dovuto compiere!
La Vedretta di Pratofiorito |
Continuando a traversare i pendii rocciosi modellati dal ghiacciaio, raggiungo la suddetta traccia, segnata a ometti, che segue a lungo il nevaio su pendenze ormai dolci, per poi puntare diretta al rifugio XII Apostoli (2489). Rivedo dopo tante ore degli esseri umani, e per prendermi beffa di tutta la wilderness della giornata mi concedo niente meno che una lattina di Coca Cola, godendomi il sole ai tavoli e lo splendido panorama.
Il XII Apostoli dall'alto... |
La discesa a fondovalle lungo la "Scala Santa" è una caduta nel caldo, accelerata da qualche corsa giù per i ghiaioni: mi getterei volentieri in un torrente, ma una volta a valle, nel grazioso Piano del Nardis, scopro che l'acqua non c'è, sicuramente risucchiata dall'infame sottosuolo carsico di queste rocce calcaree. Alle mie spalle il rifugio Dodici Apostoli, che un paio di ore fa osservavo dall'alto, adesso si affaccia piccolo piccolo da un balcone roccioso che sembra chissà dove.
...e dal basso |
Al bivio seguo il sentiero 307 per Malga Movlina, salendo brevemente in un bel bosco di larici. Il sentiero diventa comodo, ombroso, pianeggiante: davvero un toccasana per le gambe dopo tanti sassi. Presto mi sono concessi begli scorci sul Lago di Val d'Agola, le cime nord del Brenta, i soliti Adamello e Presanella. Mi immetto poi nel 354, che seguo a sinistra fino al vicino Passo del Gotro (1848), rientrando così in val d'Algone.
Lago di val d'Agola |
Ultima sorpresa: un gregge di capre, non sorvegliate da pastori né cani, si spaventa al mio passaggio, e comincia a dirigersi frettolosamente verso Malga Movlina. Non c'è maniera di seminarle o aggirarle, sembra proprio che le capre vogliano rientrare in compagnia stasera. Una volta alla malga si mischiano con le mucche, tutte assiepate attorno alla fontana dove stamattina avevo riempito la borraccia.
Meee meee beee eeee |
Sono le 19 passate, l'aria è fresca e pulita, quanta voglia di fermarsi in questa valle meravigliosa... ma gli impegni, la fretta, la gravità mi riportano giù nell'afosa pianura, a tutto gas per arrivare al metano di Rovereto prima della chiusura. La giornata si concluderà dopo 19 ore con una lauta cena e lautissima dormita!
Muuu |