martedì 28 aprile 2015

Anello da Corchia per miniere e Groppo Maggio, su sentieri vecchi e nuovi

A Corchia non puoi dire: il tempo si è fermato. Basta poco per sentire il rombare dei motori sulla vicina Autocisa; svoltando in uno dei vicoli, puoi imbatterti in una pizzeria, ma un pellegrino lungo la via Francigena un paio di secoli fa sarebbe stato ben più sorpreso di te nel trovarla qui. Corchia vive nel 2015, non si è fossilizzata come i vari ruderi e paesi fantasma di cui è ricco il nostro Appennino.


Corchia

Qui si è saputo valorizzare il passato, restaurando buona parte delle case, aprendo un piccolo museo, piazzando pannelli informativi come quelli lungo la passeggiata per le miniere del Groppo Maggio: vi si estraeva rame, forse con il miraggio di trovare oro... sono abbandonate da decenni, come tutte le altre cave di ofioliti disseminate per le valli di Taro e Ceno e non solo.

Giochi "didattici" per bambini lungo il sentiero per le miniere

E' possibile visitare le miniere in particolari occasioni; noi ci siamo accontentati di arrivare qui nel primo pomeriggio con l'ora legale, per goderci fino all'ultimo le aumentate ore di luce sperando in un tramonto “ofiolitico”. Purtroppo il tempo si rivelerà un po' bigio, ma comunque adatto per un giretto semi-tranquillo.

Verso il Groppo Maggio

Fino alla cava stiamo sul seminato; poi puntiamo alla sommità del Groppo Maggio risalendo un breve ghiaione (le Pietre verdi non sono certo famose per la loro solidità, ma spero vivamente di tornare da queste parti insieme a qualche geologo-alpinista in cerca di valide linee su granito. Geologo alpinista che sono certo mi richiamerà per varie castronerie trovate qua e là nell'articolo!).


Troviamo di nuovo terreno stabile in un ripido boschetto, dove sale una traccia prima labile, poi sempre più somigliante a un antico sentiero ormai non più battuto se non da bestie. Dagli alberi via via più radi, sbucano le bizzarre formazioni rocciose tipiche degli ambienti ofiolitici: improvvisiamo qualche facile passaggio di arrampicata e guadagniamo quota in mezzo a questo deserto di pinnacoli ruvidi e tozzi.

No-climb-zone

Non c'è una cima vera e propria, ma un piccolo altopiano da cui vediamo una carrozzabile. La raggiungiamo imboccandola a destra, pestiamo un po' dell'ultima neve marcia, e scendiamo di nuovo nel bosco. Un altro montagnotto simile a quello appena salito attrae la nostra attenzione: di profilo sembra quasi una cresta, e scende nella direzione giusta per tornare verso Corchia.

No-dry-zone

Riusciamo a raggiungerlo ravanando di nuovo fra ginepri e querce, e per fortuna che la primavera vera deve ancora cominciare! Come immaginavamo più che una cresta si tratta di un lungo pendio di rocce frastagliate, di cui però non vediamo il fondo... scendiamo costeggiando un filo spinato, e passo dopo passo la preoccupazione si materializza: la discesa termina in una rupe.

No-fly-zone

Sulla nostra destra una rupe quasi gemella delimita la forra di una vallatina molto stretta, percorsa da un rivo chiamato Cacanebbia: per fortuna oggi non l'ha cacata, altrimenti avremmo potuto trovarci in situazioni spiacevoli! Per fortuna la visibilità è ottima e possiamo tracciare un itinerario. Decidiamo di scendere sulla sinistra da un ripido boschetto, fino a riprendere la linea del filo spinato presso una pineta.

Scendendo verso il rio Cacanebbia

Sempre per boschi e prati, arriviamo quasi alle porte del paese, e nei pressi di un essicattoio ritroviamo dopo tanto tempo un sentiero, che poi sbuca in una carraia con bella maestà: ci siamo ritrovati su una strada antica almeno quanto la data iscritta sopra la Madonnina, e non possiamo che andare a finire nel cuore del paese, su un viottolo lastricato fra le case.

Stratificazioni di arenaria

Così concludiamo il nostro anello un po' improvvisato; sono le 19.30 e decidiamo di giocarci un'ultima carta. Ci daranno qualcosa da mangiare nella pizzeria, famosa in tutta la valle? (corrono leggende su prenotazioni da effettuare almeno due mesi prima). Ovviamente un tavolo per due si trova sempre, ci godiamo la nostra pizza in porzioni notevoli con tanto di gente che arriva - a Corchia sottolineo - per averla d'asporto! Le curve è meglio farle a stomaco vuoto in effetti.

Itinerario evidenziato in verde

sabato 18 aprile 2015

Tentativo (poco) invernale al monte Legnone, dietrofront panoramico

Dammi tre parole: voglia di cima. Questo lo stato d'animo con cui siamo giunti alla vigilia del primo weekend di primavera vera, dopo varie uscite invernali fra cascate e canali senza raggiungere alcuna vetta... la nostra educazione classica, due corsi Cai a testa, fa sentire qui tutto il suo peso. Passando in rassegna le montagne più ultra-super-mega-panoramiche delle Alpi a portata di escursione in giornata, la scelta cade sul Legnone.

Il versante ovest del monte Legnone

Questo pilastro di 2609 metri si innalza all'angolo fra Valtellina e Lago Maggiore, inizio e fine delle Alpi Orobie: già ci aveva ammaliati guardandolo dalla val Codera un paio di mesi fa. Nella fase di ricerca informazioni sbuca una perla: la relazione della prima salita invernale al Legnone da parte della sezione Cai di Como, conservata nell'archivio del Rifugio Loccoli Lorla; un bellissimo e interessante reportage datato 1891, traboccante di quella retorica descrittiva un po' decadente che mi piace tanto.

Fra inverno e primavera *

Lo spettacolo comincia già in autostrada, specialmente a Milano, con le Alpi innevate che fanno da quinte a grattacieli palazzi e scheletri di palazzi mai terminati. Risaliamo il lago di Como fino a Dervio, dove abbandoniamo la super-strada sotto-strada che risale la val Varrone. Un tornante dopo l'altro guadagniamo quota fino ai 1463 metri del rifugio Roccoli Lorla, tanto contorto da pronunciare quanto da raggiungere!

Lago di Como e monte Rosa *

Ci incamminiamo che sono le 9, un po' tardi forse vista la lunghezza dell'escursione. Imbocchiamo l'Alta Via della Val Sassina, attraversando un bellissimo bosco di larici alternati con qualche faggio; c'è già caldo, e la neve è discontinua. Seguiamo abbastanza fedelmente la linea spartiacque fra Val Varrone e Valtellina, e man mano che saliamo il bosco lascia spazio a praterie panoramiche sempre più ampie.


Raggiunta quella di Agrogno, con al centro una vecchia stalla, avvistiamo tre persone che stanno scendendo: subito pensiamo che i local devono essere davvero forti e mattutini, se già stanno rientrando dalla cima! Poi però scambiandoci due parole veniamo a sapere che in cima non ci sono arrivati, ma si sono fermati ben prima, scoraggiati da una neve instabile su traversi pericolosi.

Agrogno (si vedono i tre alpinisti in discesa)

Poco dopo incontriamo un altro trio in retromarcia, e poi un ulteriore quartetto, questi ultimi con tanto di corde: dai brevi racconti sembra proprio che il Legnone oggi sia off limits. Perdiamo buona parte dell'entusiasmo: forse siamo partiti un po' troppo alla leggera per questa salita, sottovalutando un po' il racconto pomposo dei nostri antenati di piccozza comaschi, che tanto avevano tribolato per conquistare il Legnone innevato.


Torta Grivel

Decidiamo comunque di andare a dare un'occhiata, e senza difficoltà raggiungiamo un ampio pianoro con un ulteriore alpeggio: qui gli alberi terminano e comincia la parte severa dell'itinerario. Il versante ovest del Legnone è abbastanza articolato, con al centro un lungo canale attraversato dal sentiero, e almeno due creste ben distinte. Gli alpinisti in ritirata ci hanno detto di aver trovato pessima neve già sul traverso, e ciò ci induce a optare per la cresta a sinistra, un po' più pelata.

Cercando la via di salita migliore

Avendo letto le relazioni, sappiamo bene che la pacchia durerà poco, ma ormai abbiamo già rinunciato ad arrivare in cima, per l'ora tarda oltre che per il caldo spropositato. Passiamo all'assetto alpinistico, e saliamo su per pendii via via più ripidi con alle spalle il blu del lago. Intercettiamo il sentiero e andiamo a esaminare il traverso dalla parte alte, che ci appare subito poco sicuro: lo strato superficiale di neve è apparentemente duro, ma non ben consolidato con quello sotto: il rischio, sul ripido, è di scivolare giù insieme al lastrone!

Testando traversi poco invitanti *

Torniamo così sulla cresta, dove i tratti più ripidi si possono superare con un po' di misto-erba e facili roccette, ed eccoci sbucare su una bella selletta vicino a un evidente gendarme roccioso: ora possiamo apprezzare in primo piano il versante nord-ovest del Legnone, percorso da canali lunghi e senz'altro molto difficili. Apprezziamo anche un paio di paretine rocciose che interrompono bruscamente la comoda cresta da noi percorsa, di fatto fuori dalla nostra portata. Fine del gioco!


Mario fa notare che siamo a quota 2017, il che è emblematico: forse avremmo dovuto salire sull'Alpe di Succiso oggi? Ci godiamo lo scenario severo che ci circonda, accentuato dal vento e addolcito dal lago di Como e la piana finale della Valtellina, 1700 metri più giù. Con la dovuta attenzione, facciamo retrofront fino all'alpeggio dove ci eravamo ramponati, e qui ormai fuori dalle difficoltà mangiamo con la dovuta calma.


La neve in discesa nel primo pomeriggio è marcia, ma marcia veramente, come uno di quei soldati giapponesi pazzoidi che credono non sia ancora finita la Seconda Guerra Mondiale e continuano a presidiare qualche isolotto sperduto nel Pacifico. All'auto sono le 14.30, ci sembra presto per tornare, così ci alleggeriamo degli zaini e saliamo ravanando per il bosco sul monte Legnoncino, vetta che domina buona parte del Lago di Como.


Ci si può arrivare anche con una stradina sterrata, quasi tutta sgombera dalla neve, adatta alle persone normali che oggi pomeriggio stanno salendo abbastanza numerose, qualcuno un poco meno normale addirittura con le ciaspole. Alla macchina un ragazzo trafelato appena arrivato con la moto ci chiede quanto ci vuole per andare sul monte Legnone... vabbé, potevamo consigliargli la parete nord.

Caldo!

Ripartiamo verso le 16.30, ma siccome non ci capita tutti i giorni di venire in Val Varrone, decidiamo di prolungare la via del ritorno passando dal paese più alto della valle: Premana. Gli alpinisti più informati sapranno di certo che la sigla CAMP sta per Concezione Articoli da Montagna Premana; infatti la nota ditta di attrezzatura alpinistica nasce e continua a vivere proprio qui, nel cuore delle Prealpi Lecchesi.

Panorama sul lago dal Legnoncino

La strada normale per Premana (che faremo a ritorno) sale dalla Valsassina, ma ci si può arrivare anche da Dervio, risalendo appunto tutta la Val Varrone. La provinciale, ufficialmente chiusa, da Aveno in poi diventa un percorso di difficoltà classificabile AEE (automobilisti estremamente esperti). Mi ricorda un po' la mulattiera per Codera asfaltata: rupi a picco sopra e sotto, tornanti a gomito di contorsionista, protezioni che fanno paura anche a piedi... una bella avventura!



Poi d'un tratto sbuca Premana, e mai ti aspetteresti di trovare un paese così grande in fondo a una valle del genere. Parcheggiamo vicino al Centro Ricerca e Sviluppo della Camp, e facciamo un salto allo spaccio aziendale, dove i prezzi sono particolarmente buoni. Fa piacere pensare che quando acquisti un moschettone o che ne so, un paio di ramponi (così a caso) di questa marca sostieni indirettamente gente che continua a produrre qui!

Il ripido versante NO del Legnone: torneremo!


venerdì 17 aprile 2015

Cascate di ghiaccio a Malga Sorgazza, destra e sinistra

Il trio dei ghiacciatori ritardatari si trova alle 4.45 al parcheggio della Metro: il ghiacciatore più esperto è puntuale, ma appena prima di partire si accorge di aver preso su uno scarpone suo e l'altro della morosa: dunque la partenza è ulteriormente posticipata, con timore per la spietata concorrenza e conseguente accanimento dell'autista (invisibile sul report in quanto mai fotografato ma solo fotografante) sull'acceleratore della Panda metano.

Grazie a Mario della bella foto!

Anche stavolta scegliamo il Trentino, ma a Trento ci defiliamo sulla Valsugana percorrendo la statale fino a Strigno, dove comincia la salita per l'altopiano del Tesino. A Pieve, paese natale di De Gasperi, svolitamo a sinistra per la val Malene, verso Cima d'Asta e Malga Sorgazza, dove lasciamo l'auto. Molti ghiacciatori sono già arrivati, del resto non tutti avranno dovuto spararsi tre ore di viaggio!

Luca va per cavolfiori

La giornata come previsto è nuvolosa, ma non ci importa; anzi è meglio così, siccome la temperatura è già al limite per arrampicare su ghiaccio, e il sole darebbe probabilmente il colpo di grazia. Un sentiero piuttosto ripido (consigliati fin da subito i ramponi!) ci porta in circa 15 minuti dalla Malga alla prima cascata, la Sorgazza di destra, classificata terzo grado.



Una cordata sta già salendo, ma c'è spazio anche per noi stando sulla parte destra della cascata. Sale Luca da primo, munito di viti, e fa tutta la cascata in un unico tiro, sostando su una betulla molto evidente e recuperando poi me e Mario. Il ghiaccio è diverso rispetto a due settimane fa al Bletterbach, un po' più molle e acquoso, comunque l'arrampicata è piacevole e l'uscita bella ripida!

Dalla betulla ci caliamo in doppia con le due mezze corde: nel frattempo la cascata si è affollata, e altri hanno sostato sul nostro stesso albero; molti pezzi di ghiaccio cadono alla base, le corde rischiano di incrociarsi... comunque arriviamo alla neve-ferma tutti interi. Aspettiamo che la parte centrale della cascata si liberi, e Mario esordisce da primo fino alla roccia al centro della cascata, dove sosta; il ghiaccio infatti sembra migliore nella prima parte della salita. Io e Luca saliamo poi in moulinette.


Comincia a nevischiare e fare fresco, l'orario chiamerebbe già la polenta in malga, ma resistiamo e scegliamo di andare a dare un'occhiata alla cascata Sorgazza sinistra, molto affollata al nostro arrivo per via di un corso del Soccorso Alpino che ora però sta finendo. Aspettiamo finiscano di calarsi i corsisti, apprezzando alcuni passaggi molto atletici degli istruttori, dopodiché partiamo.

Cascata Sorgazza di sinistra; in alto le colate del secondo tiro, breve ma difficile

Luca va primo, e fin da subito ci accorgiamo che il livello è un po' salito... Ce ne rendiamo conto ancora meglio quando tocca a noi salire! Il ghiaccio ora è meno generoso, non regala tutti i comodi buchi della cascata di destra (probabilmente perché qui sale meno gente), e allo stesso tempo rischia di squagliarsi se colpito nel posto sbagliato. Alcuni passaggi sono quasi verticali, ma non mancano pianori per riprendere fiato.

Si attrezza la doppia...
La sosta, che dalla base non vedevamo, si raggiunge più facilmente su traverso, ed è sovrastata da una bellissima candela. Il secondo tiro è nettamente più difficile, classificato di quarto grado, e sembra pure piuttosto magro... gli istruttori del Soccorso Alpino sono saliti e scesi di volata, ma noi ci riteniamo soddisfatti.

...e si cazzeggia

Calata in doppia (piuttosto sofferta per me, qualche cordino legato come non doveva forse...), poi ci fiondiamo giù in malga sperando in una polenta che purtroppo non c'è più... del resto sono le 15, già tanto che ci hanno portato canederli e uova con speck! Per concludere questo post scritto di fretta e con poca convinzione, la foto di un evento raro, escremento di canide applicato su antibot di ramponi Camp. Qualche ice-climber-abbestia piuttosto incivile meriterebbe di fare la stessa fine.

Rampone che ha pestato una cacca