Punto di partenza: Rifugio Margaroli (2198)
Punto più elevato: Passo di Nefelgiù (2583)
Punto di arrivo: Canza (1418)
Dislivello: 400 circa in salita, 1200 in discesa
Tempo totale di percorrenza: 5/6 ore senza soste
Grado di difficoltà: F / EEI
Punti d'appoggio: Rifugio Margaroli, Rifugio Bim Se, bar a Riale
Periodo consigliato: Tardo inverno/primavera
Note segnaletica: Buona
Domenica mattina sveglia poco prima delle 6: dopo aver fatto colazione e pagato, ci ramponiamo direttamente al rifugio e ci mettiamo in cammino a giorno ormai fatto. La salita che intendiamo percorrere per fortuna è ancora tutta in ombra, e superata la valanga scesa ieri sera e l'imbuto di un canale, affrontiamo direttamente a zig zag il primo pendio (circa 30 gradi).
Distacco poco sopra al rifugio Margaroli (Fabio) |
La neve è quasi ovunque portante, o per lo meno porta me che sono leggero! Comunque aspettandoci e dandoci sostegno a vicenda superiamo tutti questo inizio faticoso di giornata, e con un traverso un poco più ripido a destra ci riportiamo nell'imbuto del canale. Da entrambi i lati sono scese (ieri) piccole scariche di neve: ora tutto sembra più compatto, ma preferiamo comunque spostarci il prima possibile!
Primo pendio sopra il rifugio Margaroli |
Seguiamo il canale fino all'ultima breve impennata, sui 40 gradi, che ci consente di guadagnare la parte superiore del vallone: il Passo di Nefelgiù, la nostra destinazione, è ben visibile e meno lontano di quanto temessimo. Con un breve traverso entriamo nell'ampio canale diretto al passo, dove notiamo le tracce di una volpe.
Seconda parte del vallone (Fabio) |
Passo di Nefelgiu |
Passo dopo passo alla fine la salita finisce, anche se in verità la spartiacque consiste in un enorme accumulo di neve, posto almeno 20 metri più a sud (e 10 metri più in alto) rispetto al masso con il cartello Passo Nefelgiù (2583). Ora possiamo finalmente affacciarci sulle vette dell'alta Formazza e del San Gottardo; purtroppo non si vedono i colossi dell'Oberland Bernese né quelli nostrani, ma ci accontentiamo dello scenario selvaggio che ci circonda, dove non un singolo sprazzo è lasciato alla pianura.
La compagnia in posa pesa |
Siamo ormai arrivati tutti sul passo e - magia della montagna! - il sole comincia ad affacciarsi dietro i Corni del Nefelgiù: la neve brilla di migliaia di cristalli, una sequenza di istanti carichi di emozioni accompagna la cascata di luce. Tutto è cambiato... sono le 9.30: è giorno, è caldo, è già ora di scendere!
Guardando verso sud |
Scorgiamo soltanto l'inizio del lungo Vallone di Nefelgiù, che ci condurrà fino al Lago di Morasco. La prima parte di discesa ce la godiamo in modo particolare, sotto il sole lungo pendii poco pronunciati in ambiente semplicemente favoloso. Poi vediamo una serie di valanghe enormi scese dalle montagne alla nostra sinistra, una delle quali ha coperto le tracce di due scialpinisti saliti con ogni probabilità ieri mattina.
Valanga 1 |
Valanga 2 |
Superata la strettoia, il vallone si apre verso destra, dove si distendono sterminati pendii (quasi) vergini. L'ennesima discesa ci conduce a una spianata più grande, la cosiddetta Alpe di Nefelgiù (2048). La vecchia capanna dei pastori è quasi totalmente sommersa dalla neve! La traccia di una carrozzabile prosegue al centro del vallone ormai ampio e pianeggiante. Ormai pensiamo che per arrivare al Lago Morasco sia tutto rose e fiori, invece non sarà così...
Raggiunto un dosso, ci affacciamo sul lago, che però si presenta quasi 200 metri sotto di noi... La comoda carraia si trasforma in un brutto traverso in pieno sole, probabilmente non pericoloso ma senz'altro scomodo con le ciaspole... così preferiamo tagliare in discesa diagonalmente verso sinistra, puntando sul lago attraverso un ripido versante sparpagliato di larici.
Lago di Morasco dall'alto |
Arrivati alle sponde del lago, non del tutto ghiacciato, traversiamo fino a raggiungere la diga; e qui con l'ultimo taglione ripido (ma qualcuno stavolta preferisce seguire la strada...) planiamo letteralmente sul rifugio Bim See / Al Lago (1800), che ci accoglie con sdraio e tavolini al sole. Possiamo finire di mangiare i nostri formaggi accompagnandoli con birra fresca, stringendoci finalmente la mano per la splendida e affatto banale traversata, affrontata in completa solitudine.
Dopo la pausa lunga e abbronzante/tendente all'ustionante, ci rimettiamo in cammino sulla comoda traccia della pista da fondo, che brevemente ci conduce all'incantevole borgo di Riale (1718), il più alto della val Formazza: fino al 1940 la palma spettava a Morasco, oggi sommerso dall'omonimo lago artificiale.
Diga di Morasco dal basso e corni di Ban (Fabio) |
Qui decidiamo di separarci: Fabio e Sarah ci aspettano a un bar insieme ai nostri zaini, mentre in 4 scendiamo alleggeriti a recuperare le auto a Canza. Un po' sulla strada asfaltata un po' sulla vicina pista da fondo, raggiungiamo località Frua, con il grande albergo giallo sotto cui il Toce si lancia nella famosa cascata; oggi si presenta un po' smagrita dai laghi artificiali, ma comunque abbastanza piena per il caldo e la neve in via di scioglimento.
Riale (Fabio) |
Proprio affianco al pulpito panoramico (vertiginosissimo) scende un sentiero non troppo ripido - ma da evitare con ghiaccio - che offre meravigliosi colpi d'occhio laterali sul salto d'acqua. Con qualche tornante scendiamo alla svelta fino alla piana dove sorge Sotto Frua, per poi proseguire alternando di nuovo strada e sentiero in un bellissimo bosco di larici, pieno di blocchi di granito isolati senz'altro noti ai boulderisti.
Discesa verso Canza |
Raggiungiamo le auto e la fontana di ieri - ora piuttosto ambita - e senza perdere tempo risaliamo a recuperare i nostri amici. Ci concediamo una sosta a Ponte, alla Latteria Sociale, per comprare un po' di formaggio e yogurt, che però a Parma si riveleranno deludenti... ma è l'unica nota stonata di un weekend perfetto!